La mafia calabrese nella relazione DIA 2017 (parte seconda)
Alle forti e più che comprensibili preoccupazioni, almeno per il cittadino comune, derivanti dalla presenza di molteplici organizzazioni criminali straniere sul territorio nazionale, come illustrato nella relazione della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) presentata nei giorni scorsi dal Ministro dell’Interno al Parlamento (sciolto per fine legislatura), si aggiungono le ulteriori ansie derivanti dalle mafie di “casa nostra” presenti e “operative” ormai in quasi tutte le regioni. A cominciare dalla ‘ndrangheta alla quale, non per caso, la DIA riserva la parte introduttiva della relazione che, di norma, in tutte le edizioni degli anni passati, era stata dedicata alla criminalità organizzata siciliana. Una criminalità organizzata calabrese che conserva il primato di mafia più potente tra quelle italiane e nel mondo e per la quale “il traffico internazionale di stupefacenti rimane la primaria fonte di finanziamento”, ma che si muove costantemente alla ricerca di “nuovi mercati e spazi criminali, ivi compresi quelli offerti dalle maglie larghe di frange colluse della pubblica amministrazione”.
Diverse, in tutto il 2017, le indagini delle forze di polizia che hanno evidenziato condizionamenti delle cosche in tema di assegnazione delle commesse pubbliche e questo “tanto in Calabria quanto fuori regione”. Alle estorsioni che restano comunque una delle “primarie fonti di accumulazione”, con la partecipazione anche di “nuove leve criminali”, si sono aggiunti altri interessi criminali che si sono infiltrati nei settori economici “delle costruzioni, dei trasporti e magazzinaggio, dei servizi per l’impresa, della fornitura di energia elettrica (anche da fonti rinnovabili) nonché quelli delle sale gioco e scommesse”.
Diversi i Comuni sciolti nel corso del 2017 per collusioni con la mafia in regione ma anche fuori, come è accaduto con il Comune di Lavagna (Genova), a conferma di quella strategia di espansione ‘ndanghetista in altre regioni, in particolare del centro nord. Anche su questo punto il rapporto della DIA è drammatico dal momento che parla esplicitamente di “riproduzione delle strutture criminali calabresi” in Liguria, Piemonte e Lombardia, di “influenza, in Valle d’Asta, “delle ‘ndrine stanziate in Piemonte”, di “significative presenze” in Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Abruzzo, Molise, Basilicata, di tentativi di inserimento nel tessuto economico del Friuli Venezia Giulia, di presenze delle ‘ndrine nelle Marche e in Umbria, di “contiguità tra sodalizi locali” ed esponenti di alcuni clan reggini in Campania, Puglia e Basilicata, di “integrazione affaristica tra clan siciliani e ‘ndrine” in Sicilia e di presenze di alcune “famiglie” reggine persino in Sardegna. Insomma, la mafia calabrese è presente dappertutto e, in alcuni casi, in sinergia criminale con le altre mafie di casa nostra e con organizzazioni straniere.
Si tratta, lo ripetiamo, di evidenze emerse in diverse attività investigative delle forze di polizia che hanno portato ad individuare, in Piemonte, la “riproduzione (..) delle strutture criminali calabresi (..) la presenza di autonome locali..”, in Liguria, addirittura una “macroarea criminale” con numerose ‘ndrine nella provincia di Imperia e una sorta di “uffici di coordinamento” con la “casa madre” reggina, denominati “Camera di controllo” (con sede a Genova) e “Camera di passaggio” (a Ventimiglia). Anche in questo caso il traffico di stupefacenti (cocaina) concentrato negli scali portuali liguri ha rappresentato l’attività più redditizia che si affianca alla “..infiltrazione del tessuto politico amministrativo locale e all’acquisizione di posizioni di monopolio in settori economici nevralgici..”.
Altra “Camera di controllo” anche in Lombardia le cui “potenzialità economiche e finanziarie (..) costituiscono una fonte di attrazione (..) per le iniziative imprenditoriali delle cosche”. Si segnalano, ancora, le infiltrazioni nel Mercato Ortofrutticolo di Milano ad opera della cosca Piromalli che, in effetti, posso affermare in base ad una esperienza professionale personale, risalgono al lontano 1976. Le presenze criminali vengono segnalate non solo nel capoluogo lombardo e in diversi Comuni dell’hinterland (Paderno Dugnano, Cesano Boscone, Cormano, Cesano Maderno, Bollate, Novate Milanese, Corsico) ma anche in Monza Brianza ( Seregno e Carate Brianza), in provincia di Como (Calbiate), di Brescia e di Pavia. Se in Veneto, sino ad ora,è stata segnalata “..la presenza, non radicata, di soggetti collegati alle cosche reggine e catanzaresi,attivi innanzitutto nel riciclaggio e reimpiego di capitali..”, in Emilia Romagna le ‘ndrine sono diventate di ” casa” oltre che a Bologna (Grande Aracri), a Modena, Reggio Emilia e a Parma (Arena e gruppi legati ai Dragone), a Ravenna (i Mazzaferro), a Ferrara (i Pesce Bellocco), nel riminese (i Vrenna e i Pesce Bellocco), senza contare altri personaggi vicini alle ‘ndrine di Taurianova, di San Lorenzo, alla famiglia Longo Versace, individuati sempre a Bologna, Modena e Parma e alla cosca Morabito-Bruzzanti-Palamara (quest’ultima, in particolare, coinvolta nell’importazione di cocaina dal Sud America).
Un panorama ancor più desolante nel Lazio dove le indagini mettono in evidenza una “interazione e coesistenza, dal punto di vista criminale, di fenomenologie di diversa matrice..” ma con diverse cosche calabresi presenti nella capitale tra cui quella di Fiarè di Vibo Valentia, particolarmente attiva nella acquisizione e gestione di attività commerciali per operazioni di ripulitura di capitali illeciti. Nel settore della ristorazione la relazione della DIA segnala ancora la ‘ndrina Alvaro-Palamara mentre nelle zone di Spinaceto e Tor de’ Cenci si danno un gran da fare con il traffico di stupefacenti ed il riciclaggio, le cosche crotonesi Arena e reggine Bellocco, Piromalli, Molè e Mazzagatti-Polimeni-Bonarrigo. “Collaborazioni”, con pregiudicati romani, sono state evidenziate con alcune “compagini legate alle ‘ndrine reggine Pelle, Pizzata e Strangio ed al clan Muto di Cetraro, specializzate nell’usura, nelle estorsioni, nelle rapine, nel traffico di stupefacenti ed armi..”. Anzio e Nettuno sono, poi, le due piazze di spaccio di stupefacenti sotto il controllo assoluto dei Guardavalle di Catanzaro in combutta con la “famiglia” romana dei Romagnoli-Cugini e Andreacchio di Nettuno. Il comparto agroalimentare nel basso Lazio è “curato” dai Piromalli ma nella zona, in particolare ad Aprilia (Latina), gli “affari” si fanno anche con gli Alvaro e a Fondi (Latina) con i Bellocco, i La Rosa-Garruzzo e i Tripodo. Un quadro, come si può intuire, per niente tranquillizzante che richiederebbe, oltre al grande impegno che già c’è di tutte le forze di polizia, degli investigatori della DIA, delle diverse direzioni distrettuali antimafia, la presenza di una classe dirigente politica che affronti con forza e serietà le mafie nel nostro paese.
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