Mafia gialla in Italia?
Sette anni di indagine sono stati necessari per concludere giovedì 18 gennaio l’operazione “China Truck”, condotta dalla Polizia di Stato di Prato e coordinata dalla Direzione Distrettuale di Firenze, nei confronti di un’associazione a delinquere di stampo mafioso. In manette sono finiti 33 cinesi, mentre altri 21 sono indagati in stato di libertà. Un’indagine complessa che ha coinvolto anche le squadre mobili di Roma, Firenze, Milano, Padova, Pisa, con il coordinamento info-investigativo del Servizio Centrale Operativo, interessando anche Francia e Spagna. Un’organizzazione criminale rigidamente gerarchizzata che si avvaleva di una “cellula” per risolvere con intimidazioni e vere e proprie violenze le “controversie”.
L’organizzazione, oltre ad aver assunto la gestione in regime di monopolio dei trasporti su strada di merci provenienti dalla Cina, si interessava anche della gestione del gioco d’azzardo, della prostituzione, dello spaccio di stupefacenti e di prestiti a usura. La conferma, insomma, di come anche la criminalità cinese si stia trovando a suo agio nel nostro paese e, francamente, di tutto avevamo bisogno in Italia fuorché di avere altri gruppi criminali che si spartiscono il territorio con la criminalità di “casa nostra”.
Non è neanche una novità se proviamo a rileggere quello che scrivevano, anni fa, i nostri organismi della sicurezza. A cominciare dal CESIS (l’organismo di coordinamento dei Servizi di intelligenze, oggi DIS, Dipartimento Informazioni per la Sicurezza) che, nella relazione sullo stato della sicurezza del 2006, annotava la criminalità cinese in ragione del suo potenziale di rischio “..tra le priorità della ricerca informativa”. Ed erano proprio i due Servizi di allora, Sisde e Sismi, a evidenziare “..il radicamento di una rete transnazionale che, da una parte alimenta circuiti globali della tratta dei connazionali e, dall’altra, controlla le colonie in Italia gestendo lo sfruttamento della manodopera, il racket, il sequestro di persona, la falsificazione documentale e forme illegali di assistenza sanitaria”. A tutto questo, già allora, si aggiungevano anche “..collusioni con la camorra”.
Naturalmente non poteva mancare lo zampino nel narcotraffico e, se nel 2008 la criminalità cinese non appariva neanche nelle relazioni annuali della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga (DCSA) tra i principali gruppi criminali stranieri coinvolti nel narcotraffico, già tre anni dopo, nel 2011, i gruppi cinesi si facevano notare anche in questo redditizio settore. È sempre la DCSA che nel rapporto di fine anno sottolineava come “..le organizzazioni delinquenziali cinesi, anche grazie alle già collaudate, numerose e affermate modalità e rotte sia commerciali che illecite (…) stanno iniziando ad inserirsi, anche se al momento principalmente all’interno delle proprie comunità locali, anche nel mercato nazionale degli stupefacenti, specie delle droghe sintetiche e, in particolare, della ketamina, un anestetico veterinario prodotto prevalentemente in Cina”.
Così, se nel 2016 erano stati 122 i cinesi denunciati all’autorità giudiziaria per delitti collegati al traffico/ spaccio di stupefacenti, nel 2017 il numero è salito a 162 ( dato provvisorio). Tra le sostanze trafficate anche il mefedrone che è nato come sostanza fertilizzante ed è, oggi, annoverato tra le droghe sintetiche assimilabile alle fenetilamine, un mix di amfetamine e Mdma (metilendiossimetamfetamina). Una criminalità cinese che, almeno per tutti gli anni Novanta, non aveva creato particolari problemi in Italia perché, secondo la DIA (cfr. le relazioni del 2000), tale fenomenologia criminale rimanendo confinata nell’ambito di quell’etnia, non creava grande allarme sociale”. Qualche anno dopo, nel 2016, la stessa criminalità cinese aveva raggiunto livelli di assoluto rilievo, gestendo traffici illeciti di portata transnazionale, per arrivare, in alcuni ambiti, ad assumere, per esempio a Roma, “..una connotazione tipicamente mafiosa” (relazione DIA, 2016).
Come è potuto accadere tutto questo?
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