Malapolitica e criminalità a braccetto, da sempre, ovunque.
Nessuno sembra scandalizzarsi più di tanto quando si afferma che le mafie vivono, sono diventate strapotenti e si arricchiscono sempre di più grazie alle protezioni e agli appoggi della malapolitica. In realtà, che politici e criminali facessero “affari” insieme ce lo ricordava, sin dal 1898, il questore di Palermo Ermanno Sangiorgi che, in un rapporto redatto di suo pugno indirizzato all’autorità politica dell’isola e alla magistratura locale, sottolineava come “..i caporioni della mafia stanno sotto la salvaguardia di senatori, deputati e altri influenti personaggi che li difendono per essere poi, a loro volta, da essi protetti e difesi: fenomeno questo che mi asterrò dal qualificare ma che ho il dovere di segnalare..”.
La situazione, da allora, anche a livello nazionale, non è molto cambiata e le vicende giudiziarie degli ultimi anni che hanno visto coinvolto parlamentari, funzionari pubblici e uomini di Governo, ne sono la triste conferma. Né lo scenario internazionale appare meno avvilente. Il fenomeno è strettamente collegato – oltre che al voto di scambio – alla dilagante corruzione, pratica criminale per natura silenziosa con cui si riesce a creare un clima di complicità per raggiungere gli obiettivi desiderati con minori rischi.
Corrompere, infatti, è più conveniente che uccidere.
La violenza determina effetti visibili all’esterno, allarma l’opinione pubblica e costringe l’autorità di polizia a reagire con maggiore rigore. Alcune vicende internazionali che hanno vissuto e vivono molti paesi sono emblematiche di quel degrado civile e democratico. Si pensi, ad esempio, a quando, nel 1989, fu arrestato per narcotraffico il presidente di Panama, Manuel Noriega, estradato dalla Francia nel 2011 dopo alcuni anni di galera. Non fu esaltante neanche la vicenda, pochi anni dopo, nel 1994, sempre a Panama, con il vice presidente Felipe Virzì, di origini italiane, titolare di un conto corrente bancario per conto del presidente Ernesto Pérez Balladares, su cui furono accreditati 51mila dollari dal cartello di Cali per sponsorizzare la campagna elettorale.
Campagne elettorali sempre costose, come lo fu quella del 1994, vinta alla seconda tornata, dal presidente colombiano Ernesto Samper Pizano grazie al “contributo” di alcuni milioni di dollari avuti dai capi del cartello di Cali. Né si può dire che il cerchio dei suoi sostenitori politici fosse “immacolato”. Una foto, in campagna elettorale, ritraeva persino un noto sostenitore di Samper, tale Guillermo Ortiz Gaitan ricercato in Italia per narcotraffico. Più recentemente, nel 2008 e 2010, sono stati almeno una ottantina i parlamentari colombiani arrestati o comunque indagati per complicità con narcos e paramilitari. Narcos colombiani che hanno inquinato anche paesi vicini come il Perù, dove nel 2000 fu destituito il presidente Alberto Fujimori (condannato a 25 anni di prigione gli è stata concessa la grazia in questi ultimi giorni) per aver intascato un milione di dollari dal cartello di Medellin e con lui Vladimiro Montesinos, il potente capo dei servizi segreti risultato sul libro paga (50mila dollari mensili) di Demetrio Chavez, noto narcotrafficante colombiano.
Negli stessi anni, in Indonesia, la famiglia presidenziale restava coinvolta in una inchiesta sul traffico di eroina e di armi mentre nelle Filippine, il presidente Joseph Ejecito Estrada, veniva travolto da un’inchiesta per aver ricevuto denaro dai narcotrafficanti. In Gambia, nel 2010, finiscono in carcere il Capo di Stato Maggiore della Marina e dell’Antidroga perché coinvolti in traffici di stupefacenti.
In Honduras, sempre nel 2010, dopo un golpe, assume la presidenza Roberto Micheletti, ricco latifondista di origine italiana che finirà coinvolto in una inchiesta giudiziaria per aver messo a disposizione, in un’azienda di sua proprietà nella regione dello Yoro, piste di atterraggio per piccoli aerei carichi di cocaina provenienti dalla Colombia e diretti negli Usa.
Nel 2011, dopo la rivolta in Tunisia, il presidente Zine el-Abidine Ben Alì è stato condannato ad una sessantina di anni per detenzione illegale di armi e stupefacenti.
In Messico, poi, quest’anno sono finiti in carcere ben quatto ex governatori tra cui Javier Duarte di Veracruz ed Eugenio Hernandez Flores, di Tamaulipas, entrambi accusati di corruzione, di lavaggio di denaro e di collusioni con la criminalità organizzata.
Gli esempi potrebbero continuare anche se c’è da dire che in molti casi vi sono stati processi, condanne (anche esemplari) e pene scontate realmente in carcere. Nel nostro paese, vuoi per il sistema di garanzie vigente, per le immunità riconosciute, per le cavillosità giuridiche, per la vischiosità dei legami che caratterizzano il nostro mondo politico, è sempre particolarmente difficile neutralizzare un politico colluso con la mafia o con altri soggetti criminali. E, nei casi in cui succede, spesso le condizioni di salute diventano improvvisamente precarie e si chiedono altre misure meno dure di quelle carcerarie.
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