Traffico di persone e conflitti: percorso difficile tra diritti, politica e istituzioni
La nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu 2388 (2017) in tema di traffico di persone nel contesto dei conflitti armati rafforza l’intervento del Consiglio di sicurezza e introduce previsioni importanti destinate ad avere effetto anche sui crimini non legati al traffico originato nelle aree di guerra e di conflitto.
1. Il 20 dicembre 2016 il Consiglio di Sicurezza Onu adottò su iniziative spagnola una importante risoluzione in tema di traffico e di violenza sulle persone in situazioni di conflitto armato e di post-crisi. Una specifica attenzione veniva dedicata alla necessità di contrastare le forme di violenza contro le donne e i minori. La risoluzione, che prese il numero 2331 (2016), affrontava questi temi per la prima volta in maniera esplicita e si chiudeva con la richiesta al Segretario generale di presentare entro un anno un rapporto sulla implementazione delle disposizioni contenute nel testo.
È stato Unodc (l’ufficio Onu con sede a Vienna che si occupa di droga e crimine) a curare la preparazione del rapporto, facendo in ciò tesoro anche del proprio rapporto globale sul traffico di persone presentato all’Assemblea generale nel 2016 in cui erano stati forniti i primi dati sui rischi connessi alle situazioni di conflitto e di guerra.
2. L’analisi del rapporto del Segretario generale ha convinto la Rappresentanza italiana a New York dell’esistenza di spazi di approfondimento e dell’opportunità di colmare alcuni vuoti lasciati dalla risoluzione del 2016. Tale analisi è stata arricchita dalla collaborazione con la “Special Rapporteur” sul traffico di persone, in particolare donne e bambini, la collega Maria Grazia Giammarinaro. Da lei sono venuti utili spunti in merito alle difficoltà operative che si incontrano sul terreno nel contrasto al traffico di persone e in merito alle situazioni di maggiore vulnerabilità. In questo contesto abbiamo inteso dare spazio anche ai problemi posti dai minori non accompagnati, tema su cui l’Italia è intervenuta con una apposita legge proprio nella prima parte del 2017.
In collaborazione con il Ministero degli Affari esteri e con il supporto di Unodc, la Rappresentanza ha redatto una prima bozza di risoluzione che, richiamati i principi generali e le definizioni contenuti nella risoluzione 2331, ha concentrato la propria attenzione su alcuni aspetti prioritari e sull’esigenza di adottare soluzioni operative suscettibili di reale applicazione. In particolare il testo affermava:
a) la centralità della “Convenzione di Palermo” e del suo Protocollo aggiuntivo dedicato proprio al traffico di persone;
b) la definizione di “traffico” contenuta in tale Protocollo, così evitando che differenze terminologiche possano indebolire la risposta delle istituzioni, ma, nello stesso tempo, ricordando come il traffico di persone si colleghi a crimini diversi, dalla violenza e sfruttamento sessuale, al traffico di organi, al lavoro forzato e altri;
c) che le azioni dei gruppi criminali che partecipano al traffico di persone possono essere affrontate anche contrastando i flussi finanziari illeciti collegati a tali crimini e che è necessario rafforzare le forme di cooperazione giudiziaria e di polizia;
d) che le condotte dei gruppi criminali e terroristi possono talvolta integrare veri e propri crimini di guerra, che richiedono un’effettiva risposta da parte degli Stati e delle istituzioni internazionali;
e) che i singoli Stati devono a tal fine rafforzare i propri meccanismi interni di risposta, compresa la capacità professionale degli organi amministrativi, di polizia e giudiziari;
f) che occorre dedicare una specifica attenzione alle vittime, favorendone l’accesso alla giustizia, evitando forme indirette di criminalizzazione, difendendole dallo stigma e sostenendole tramite i servizi pubblici necessari;
g) che occorre evitare l’utilizzo della detenzione allorché si è in presenza di minori;
h) che una particolare attenzione deve essere dedicata ai minori non accompagnati e comunque separati da chi dovrebbe prendersi cura di loro;
i) che le procedure di identificazione e registrazione debbono essere utilizzate anche al fine di proteggere vittime e minori;
j) che nei Paesi di partenza, di transito e in quelli di destinazione le autorità devono sviluppare meccanismi di «early warning and detection» in modo da identificare le vittime e le potenziali vittime e poter intervenire tempestivamente;
k) che l’azione degli organismi Onu a tutela dei minori coinvolti nei conflitti deve tenere conto anche dei pericoli legati al traffico allorché si occupa delle «six (grave) violations» previste dal loro mandato;
l) che il personale partecipante alle missioni di pace e alle missioni speciali Onu deve ricevere formazione e aiuto per essere in grado di comprendere e affrontare anche le realtà di traffico di persone cui possono trovarsi di fronte (traffico che fino ad oggi non fa parte del loro mandato).
Il testo è stato negoziato con gli altri quattordici membri del Consiglio e non pochi sono stati i punti oggetto di resistenze o contrasti rispetto a una risoluzione che è stata alla fine adottata all’unanimità il 21 novembre scorso.
Provo a concentrami sui punti che possono presentare maggiore interesse per l’interprete nazionale (il testo finale della risoluzione è allegato).
3. La iniziale proposta italiana ha incontrato tre diverse forme di resistenza di carattere generale.
3.1. La prima proveniente da quei Paesi che tendono a contenere le competenze del CdS in termini strettamente collegati alle situazioni di conflitto e alle condotte di terrorismo. Ciò comporta la opposizione a introdurre deliberazioni consiliari legate a situazioni sociali, politiche e culturali che fanno da contorno o, comunque, interagiscono in modo non diretto con le situazioni di conflitto o di terrorismo. Di qui la resistenza a occuparsi di aspetti legati essenzialmente alla prevenzione: diseguaglianze, conflitti sociali, questioni di genere o legate ai rapporti sociali, e così via (elementi che, tuttavia, anche sulla scia di precedenti risoluzioni è stato possibile richiamare in modo esplicito nel paragrafo preambolare 12). Fa corollario a questa impostazione la resistenza a disciplinare le situazioni che dal conflitto derivano, come il trattamento delle fasce più vulnerabili o gli interventi di rieducazione e riabilitazione delle vittime; anche in questo caso i linguaggi della risoluzione possono alla fine essere considerati positivi.
3.2. La seconda forma di resistenza viene dai Paesi più direttamente interessati dai conflitti in quanto responsabili a vario titolo delle missioni Onu (di pace o speciali) o in quanto contributori delle truppe e/o del personale impegnati in missione. Tali Paesi tendono ad evitare ogni ampliamento dei compiti e delle responsabilità connesse alle attività previste. Premesso che le missioni hanno natura diversa e che tale natura è strettamente legata al mandato che l’Onu assegna a ogni singola missione, il discorso diventa qui particolarmente tecnico e provo a sintetizzarlo enucleando le due principali obiezioni a includere il traffico di persone fra gli oggetti di attenzione delle missioni stesse. In primo luogo si obietta che il traffico è una realtà complessa, quasi sempre transfrontaliera e comunque non inclusa espressamente nei mandati; dunque, non inclusa nei doveri del personale militare e non militare. Alla osservazione che spesso il traffico di persone si collega proprio ai contrasti (etnici, sociali, religiosi) che sono alla base del conflitto che le missioni devono affrontare, e alla osservazione che ciò assume ancora maggiore rilievo allorché i mandati includono la “protezione dei civili”, si obietta che il “traffico di persone” è disciplinato dal protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Palermo e rappresenta un vero e proprio crimine, con la conseguenza che si tratta di vicenda di competenza degli organi di polizia e giudiziari del singolo Paese, difettando compiti di polizia giudiziaria in capo alle missioni Onu. Questo contrasto di posizioni, che aveva impedito nel 2016 di giungere a una risoluzione che affrontasse il problema, si è protratto con particolare durezza per l’intero negoziato e ha condotto al testo di compromesso presente nella risoluzione 2388 (paragrafi operativi 25-27): spetta alle missioni Onu assistere lo Stato ove la missione si svolge al fine di mettere le sue autorità in condizione di dare risposta anche agli episodi (o al fenomeno) di traffico di persone. È dunque sullo Stato assistito che grava la “primaria responsabilità” di dare risposta ai fenomeni di traffico di persone (paragrafo preambolare 21). Tale soluzione deve essere letta alla luce del fatto che lo Stato assistito è tale in quanto non in grado di dare da solo risposta al conflitto e alle situazioni di violenza, con la conseguenza che i partecipanti alla missione non dovrebbero avere un approccio puramente conservativo e neutrale, bensì operare avendo presente le conseguenze che la realtà del traffico quasi certamente ha e avrà sul conflitto e sulla gestione del post-conflitto. Corollario della soluzione adottata in risoluzione è la decisione del Consiglio di impegnarsi affinché, ove necessario, il mandato delle future missioni includa anche la risposta al traffico di persone. Ulteriore corollario, l’impegno del Consiglio a muoversi nella medesima direzione anche con riferimento ai comitati sanzione.
3.3. La terza e articolata forma di resistenza è venuta dalle stesse istituzioni Onu. Sia l’ufficio che gestisce le missioni di cui abbiamo parlato sia quello che si occupa dei minori nei conflitti armati si sono dimostrati molto prudenti nei confronti della impostazione della risoluzione allorché tendeva a includere il tema del traffico di persone fra le vicende oggetto di attenzione e, nei fatti, di mandato. Anche in questo caso la preoccupazione manifestata è quella di un aggravamento degli oneri e delle responsabilità sia in termini assoluti sia considerando l’assenza di un corrispondente [1] ampliamento delle risorse messe a disposizione. Particolare attenzione viene posta da tali uffici sulla circostanza che affrontare il tema del traffico di persone richiede risorse e modalità di lavoro non previsti finora, in particolare personale specializzato e forme di cooperazione specifiche, oltre a modificare in modo tutt’altro che secondario l’attuale impostazione complessiva delle strutture e dei servizi.
4. A queste tre difficoltà di ordine generale si sono affiancati numerosi altri aspetti critici, legati sia a posizioni culturali sia a specifiche questioni normative dei singoli Stati. Pochi esempi.
4.1. Merita interesse il fatto che proprio da Stati europei siano giunte resistente alla iniziale previsione del divieto di utilizzo del carcere per i minori legati a qualsiasi titolo al traffico di persone; la soluzione raggiunta (paragrafo operativo 21) si limita a fissare limiti (ma non un divieto assoluto) alla detenzione amministrativa applicata per violazioni delle norme in materia di immigrazione. Il testo approvato costituisce, comunque, un passo in avanti importante.
4.2. Anche l’iniziale formulazione dei paragrafi operativi 14, 15 e 19 in materia di identificazione e registrazione è stata oggetto di resistenza per il timore che la risoluzione risultasse troppo invasiva delle normazioni nazionali, in particolare in materia di minori e minori non accompagnati. Tuttavia, il testo finale conserva elementi di grande importanza per la tutela dei diritti delle persone trafficate e per il positivo utilizzo degli strumenti giuridici (si vedano anche i paragrafi operativi 17 e 20).
4.3. Infine, non è stato affatto agevole mantenere nel testo (paragrafo operativo 16) le previsioni relative all’obbligo per gli Stati di adottare e utilizzare in concreto «early warning and early screening framework» al fine di identificare «potential or imminent risk of trafficking in persons» e di «proactively and expediently detect victims and persons vulnerable to trafficking, with special attention to women and children, especially those unaccompanied». Si tratta di una misura essenziale da porre in essere sia nei Paesi di origine sia in quelli di transito, una misura a cui possono contribuire autorità e soggetti diversi, compresi tutti gli apparati amministrativi e sanitari che a qualsiasi titolo vengono in contatto con le persone trafficate e quelle a rischio di diventarlo. Tale previsione va posta in relazione con gli obblighi fissati per i Paesi di destinazione.
5. Pur con i limiti e le riserve derivanti da un negoziato assai complesso, la risoluzione costituisce un importante passo in avanti nel contrasto internazionale al traffico di persone. Il numero elevatissimo di persone “displaced” a seguito di guerre e conflitti e di coloro che in tale contesto sono a rischio o vittime di traffico sarebbe sufficiente da solo ad attribuire rilievo alle nuove previsioni contenute nella risoluzione. Accanto a questo va considerato che il funzionamento dei meccanismi di «early warning and early screening», così come i miglioramenti nelle procedure di identificazione e registrazione assumono una portata generale, di cui finiranno per beneficiare anche le persone che sono vittime attuali o potenziali di traffico originato da altre e diverse situazioni. Lo stesso può dirsi per le previsioni che impegnano gli Stati a operare in maniera selettiva e a prevedere forme di intervento che mitighino le sofferenze di chi è stato vittima di traffico, anche favorendone il reinserimento nelle comunità di origine o l’inserimento in quelle di destinazione.
Per tutti gli altri aspetti rinvio al testo della risoluzione che per comodità viene allegato.
*Le opinioni contenute nel presente intervento sono espresse a livello personale e non impegnano le Amministrazioni di appartenenza.
[1] Quella delle risorse “aggiuntive” è una questione particolarmente complessa, che condiziona pesantemente i negoziati e le decisioni sul testo delle risoluzioni approvate in AG e in CdS. Il tema sta divenendo ancora più problematico dopo l’annuncio Usa dei tagli al contributo annuale in favore delle nazioni Unite, tagli che in questi giorni sono stati quantificati in circa 280 milioni di dollari.
*magistrato, distaccato alla Rappresentanza permanente d’Italia presso le Nazioni Unite, New York
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