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Trapani, la mafia annidata dentro ai comuni

Rino Giacalone il . Mafie

WP_20171228_11_25_15_ProTrapani: lo scioglimento per mafia del Comune di Castelvetrano potrebbe non restare caso isolato. “La lotta a Cosa nostra passa anche attraverso un maggiore impegno sul fronte dei reati commessi all’interno della pubblica amministrazione”

Il comandante provinciale dei Carabinieri di Trapani, il colonnello Stefano Russo, nel presentare alla stampa i dati relativi all’attività condotta dall’Arma nel corso del 2017 sul territorio provinciale, non ha nascosto le strategie investigative che, con il coordinamento delle procure di Trapani, Marsala e Sciacca e con quella antimafia di Palermo, sono state condotte e “verranno implementate nel corso del nuovo anno” nell’ambito della Pubblica Amministrazione, dove piccoli e grandi reati – corruzione in particolare – sono da ricondurre al ruolo dei complici del latitante Matteo Messina Denaro, che si annidano dentro le istituzioni locali.

Il colonnello Russo è arrivato a Trapani oramai da due anni, carico soprattutto dell’esperienza romana, dove è stato tra gli investigatori protagonisti dell’indagine “Mafia Capitale”. Un investigatore, il colonnello Russo, che sta “scavando” assieme agli ufficiali del nucleo investigativo provinciale e del Ros molto dentro le amministrazioni locali. “Contrastare e combattere il fenomeno mafioso – ha detto incontrando i giornalisti per la conferenza di fine anno – non lo facciamo soltanto individuando e colpendo gli appartenenti all’organizzazione mafiosa capeggiata dal latitante Matteo Messina Denaro ma lo facciamo colpendo anche i reati commessi all’interno della pubblica amministrazione. Cosa nostra trapanese – ha proseguito – è provato che in questo ambito ha grande capacità di infiltrazione, possiamo non avere in taluni casi le prove di reati commessi con l’aggravante del favoreggiamento all’associazione mafiosa, ma ciò non di meno siamo convinti, e in questo abbiamo il conforto delle procure con le quali collaboriamo, che perseguendo i reati commessi nell’ambito delle amministrazioni locali riusciamo a infliggere, anche in assenza della contestazione dell’aggravante del cosiddetto art. 7, duri colpi al sistema mafioso”.

La “caccia” al capo mafia trapanese Matteo Messina Denaro, che va avanti dal 1993, passa oggi ancora di più attraverso investigazioni che puntano sulla vita degli enti locali, sui comportamenti di politici “che non rispettano la distanza di sicurezza dalla mafia”, come spesso ha ripetuto il pm Andrea Tarondo, e su dirigenti “dalla corruzione facile”. Sebbene ci sia chi si sforza nel sostenere che il “sistema Trapani” non esista, il report investigativo e giudiziario dell’ultimo anno rappresenta prova provata della sua esistenza: un sistema dove mafia e corruzione hanno imposto al territorio una illegalità diffusa, agevolata dall’amalgama rappresentato dalla massoneria, che è così storicamente radicata tanto da aver fatto diventare legale un meccanismo di grande illegalità. Per il comandante provinciale dei Carabinieri l’indagine “Mare Monstrum” – quella sulla cosiddetta tangentopoli del mare e che ha visti coinvolti tra gli altri l’ex sindaco di Trapani, Girolamo Fazio, finito ai domiciliari mentre ricopriva la carica di deputato regionale e vice presidente della commissione regionale antimafia, l’armatore della Liberty Lines Ettore Morace, indagati, ricordiamo, sono stati l’ex presidente della Regione Crocetta e l’uscente senatrice, ed ex sottosegretario Simona Vicari – è specchio perfetto di questa realtà: non c’entra l’associazione mafiosa, ma il “sistema di corruttela” impiegato è quello che in generale viene usato dall’organizzazione mafiosa.

Cosa nostra trapanese è stata colpita duramente in questi anni con diverse indagini, ma la massima espressione è da cogliere nella proposta di accesso al Comune di Castelvetrano avanzata alla Prefettura di Trapani, che ha condotto, grazie al notevole lavoro svolto dalla commissione prefettizia, al successivo scioglimento da parte del Ministro dell’Interno, del Comune per condizionamenti mafiosi e mala gestio e all’insediamento dei commissari straordinari. La proposta avanzata dal Comando Provinciale dei carabinieri di Trapani compendiava principalmente le importanti risultanzeemerse nel corso di due operazioni antimafia, Eden 2 ed Ebano, sviluppatesi nell’ambito dello sforzo investigativo, sviluppato dal Comando Provinciale e dal Ros, coordinati dalla Dda di Palermo, e finalizzato alla cattura del latitante Matteo Messina Denaro.

E a sentire il comandante provinciale Stefano Russo, il caso Castelvetrano potrebbe non restare un caso isolato. Altre attività ispettive potrebbero riguardare nel corso del 2018 anche altre amministrazioni comunali del trapanese. “L’impegno nella lotta all’organizzazione mafiosa che il Comando Provinciale di Trapani persegue in stretta sinergia con il ROS e che, se come scopo principale si prefigge quello della cattura del latitante Matteo Messina Denaro – dice il colonnello Russo – passa attraverso l’indebolimento la rete di protezione di cui ancora gode, ma non trascura di debilitare l’incidenza che famiglie mafiose esercitano sul territorio e i legami che queste intrecciano con la pubblica amministrazione. Mi piace ricordare in questo contesto le operazioni che nel corso del 2017 si sono sviluppate: l’operazione “Ebano”, coordinata dalla Dda di Palermo, che nello scorso mese di febbraio ha disarticolato un collaudato asse tra imprenditoria mafiosa e amministrazione locale a Castelvetrano conducendo all’arresto dell’imprenditore Rosario Firenze che in forza alla sua vicinanza alla famiglia del latitante Matteo Messina Denaro e con la compiacenza di due funzionari comunali riusciva ad aggiudicarsi gran parte dei lavori pubblici banditi dal Comune. Nell’operazione veniva arrestato anche il geometra dipendente del Firenze, denunicate altre otto persone e sequestrate due imprese; l’operazione “Visir”, coordinata sempre dalla Ddadi palermo, che ha disarticolato la famiglia mafiosa di Marsala conducendo all’arresto per associazione mafiosa, eestorsione e altro di 14 affiliati a quel sodalizio criminale, tra cui il reggente della famiglia Vito Vincenzo Rallo”.

Trapani, la città che non ricorda

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