Omicidio Cutuli, 24 anni ai due afghani accusati di aver ucciso la giornalista nel 2001
Gli imputati, collegati in videoconferenza dal carcere di Kabul, dovranno risarcire i danni pari a 250mila euro ciascuno alle parti offese: la Rcs e i familiari di Maria Grazia. Il processo era cominciato il 14 settembre 2015. Il pubblico ministero aveva chiesto la condanna a 30 anni.
La prima corte d’assise di Roma ha condannato a 24 anni di reclusione gli afghani Mamur Gol Feiz e Zar Jan per l’omicidio della giornalista del ‘Corriere della Sera’ Maria Grazia Cutuli. I due imputati, collegati in videoconferenza dal carcere di Kabul, dovranno risarcire i danni pari a 250mila euro ciascuno alle parti offese: la Rcs e i familiari della giornalista.
Un’attesa durata sedici anni. Tanto ci è voluto per avere una prima sentenza in Italia nei confronti degli assassini della giornalista 39enne uccisa assieme a tre colleghi (l’inviato spagnolo del ‘Mundo’ Julio Fuentes, il fotografo afghano Azizullah Haidary e l’australiano Harry Burton della ‘Reuters’), il 19 novembre 2001 durante un agguato lungo la strada tra Jalalabad e Kabul.
Il processo ai due imputati era cominciato il 14 settembre 2015. Il pubblico ministero aveva chiesto la condanna a 30 anni. Il presidente della corte, Vincenzo Capozza, ha disposto la pubblicazione per estratto della sentenza sul ‘Corriere della Sera’, su ‘Repubblica’ e sul ‘Corriere di Sicilia’.
Con questa sentenza «si è dato valore al lavoro svolto da una giornalista italiana che ha rappresentato l’Italia all’estero portando avanti il diritto all’informazione per il suo Paese», è stato il commento del legale di parte civile per la famiglia Cutuli, Paola Tullier. «Registriamo molto positivamente la sentenza, anche per l’importante lavoro svolto dalla Digos, dai Servizi segreti afghani, dall’Ambasciata italiana a Kabul e dalla procura di Roma», ha aggiunto.
Quello della giornalista Maria Grazia Cutuli «è stato un delitto politico orribile», ha detto Caterina Malavenda, legale di parte civile per conto di Rcs. «Voglio ringraziare procura e Digos – ha commentato la penalista – per il lavoro eccezionale. La condanna in Italia conferma quella comminata all’estero ma di sicuro ha un altro valore. La sentenza della corte d’assise non potrà restituire Maria Grazia alla famiglia, ma è sicuramente di conforto per i parenti perché sanno che almeno lo Stato italiano c’è».
I difensori dei due imputati hanno annunciato che ricorreranno in appello. «Aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza. Certo è che i profili di diritto e di fatto da approfondire sono tantissimi», ha osservato l’avvocato Valentina Bevilacqua, legale di Mamur.
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