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“Marie Anne Erize”, quando la periferia si fa centro

Donatella D'Acapito il . Lazio

sfilata due“Abbiamo dato vita a una bellissima sfilata, dimostrando coi fatti che il centro antiviolenza “Marie Anne Erize” vive e esiste. E questo basta”. Sembra di vederli, gli occhi luminosi di Stefania Catallo, la presidente del centro, mentre affida ai social la soddisfazione e la gioia per la serata appena conclusa.

È passata una settimana dal giorno in cui il centro “Marie Anne Erize” si è spostato dai locali di Tor Bella Monaca per arrivare a Palazzo Engelfield, a due passi da Piazza Venezia. E nel cuore della Città Eterna ha organizzato una sfilata per dire no alla violenza di genere. Una sfilata di donne e uomini perché, in questa battaglia che è anzitutto culturale, anche questi ultimi ci devono mettere la faccia. Così, nel palazzo che ospita la sede dell’Università Popolare, hanno sfilato dodici coppie speciali, perché formate da utenti e sostenitori del centro, con abiti speciali: quelli da sposa realizzati dalla Sartoria Solidale del centro.

Ma che c’entra un centro antiviolenza con un progetto di sartoria? C’entra eccome. Perché una cosa che è stata chiara a Stefania fin dall’inizio, è che le donne e il quartiere non avevano (e non hanno) solo bisogno di un luogo dove essere ascoltate e aiutate; lì non servivano solo le professionalità per assistere le donne abusate e gli abusanti: c’era bisogno di dare cultura, dignità e libertà a chi al centro si accostava. Bisognava superare il concetto di centro antiviolenza tradizionale per integrarlo con l’accesso alla cultura e alla formazione lavorativa.

sfilataCosì è nato il progetto della Sartoria Sociale, dove immigrate, ex detenute e donne in difficoltà imparano un mestiere e realizzano abiti da sposa partendo da quelli donati da altre donne. Abiti che vengono così riadattati per nuove spose che possono chiederli in prestito solidale. Un modo, quello trovato dal centro, per dare davvero corpo a un sogno. Avere una professionalità da spendere permette alle donne di tagliare la catena della dipendenza che rischia di tenerle attaccate agli uomini sbagliati. Il “saper fare”, l’essere apprezzate induce a pretendere dagli altri rispetto e a non tollerare più comportamenti che, con la scusa d’essere manifestazioni d’amore, sono semplicemente abusanti e prevaricatori.

Cultura e dignità. Uomini che ci mettono la faccia perché la realtà si cambia insieme. E certe cose vanno insegnate quasi per via endemica, già da piccoli. Ecco allora che i locali di Via Aspertini sono prima di tutto punto di riferimento.

“All’interno del centro abbiamo creato una biblioteca, l’unica in zona. Siamo pieni di centri commerciali, ma serve altro per tenere la testa buona. Senza cultura non si va da nessuna parte – dice Stefania Catallo. Qui abbiamo un problema di alfabetizzazione. Non che ci siano analfabeti, ma serve una alfabetizzazione da cultura perché se non crei cultura non puoi cambiare le cose. Qui la politica ha sempre funzionato male. Il quartiere nasce nel 1983 con un Piano Regolatore: ci sono scuola, autobus, aree verdi… poi hanno messo insieme soggetti con difficoltà fisiche e psichiche. E a Tor Bella Monaca oggi troviamo il più alto numero di detenuti alla firma della Capitale. Insomma, sembra proprio che Roma sia stata divisa in zone: in quartieri come questo o al Pigneto, a Tiburtino Terzo o San Lorenzo, assisti al mercato dello spaccio a tutte le ore. Paradossalmente hanno trovato un modo per contenere il fenomeno: se non vuoi entrare in contatto con questo mondo sai dove farlo; se vuoi evitarlo, basta non frequentare certe zone.

Una situazione triste ma ci sono molte realtà, per fortuna, che operano sul territorio e con cui si fa rete. Servono realtà come la nostra, che si spendono per il territorio, perché la prima cosa con cui Tor Bella Monaca deve fare i conti – continua Catallo – è la disabilità. E di questo non si parla. Quella fisica è gestibile, ma quella psichica fa paura a tutti. Spesso trovi i picchiatelli che vanno in giro per il quartiere: finché incontri quelli non pericolosi ti ci prendi anche il caffè insieme, ma ci sono anche quelli pericolosi, quelli che picchiano i genitori o quelli per cui i condòmini si chiudono in casa. Non è colpa loro, hanno un problema serio, ma li hanno concentrati qui. È una situazione di cui poi ci si vergogna pure, per cui i bimbi non invitano gli amichetti a casa. Il quartiere non è solo il centro di spaccio che vogliono dipingere, perché qui c’è tanta solidarietà, quella che viene dal basso. Non solo: se si rendono conto che lavori per loro, se capiscono che si possono fidare, allora non ti creano problemi”.

Qualcuno non vuole il centro

E a creare problemi, in effetti, non sono stati gli abitanti del quartiere, ma chi ha visto nel “Marie Anne Erize” uno specchio che non fa sconti perché mostra quanto si può fare anche senza gli appoggi di partito.

Però Stefania e gli altri operatori non hanno mai fatto un passo indietro. Mai. Neanche quando in piena notte, a luglio di quest’anno, sono venuti a sapere per vie informali che il giorno dopo sarebbe stata discussa – nella seduta del consiglio municipale di Roma VI – una mozione con cui la maggioranza chiedeva di tornare in possesso dei locali in cui il centro opera, locali ottenuti per affidamento diretto dalla precedente amministrazione.

“Ho saputo a mezzanotte – racconta Catallo – della mozione che serviva per contestarci un contratto scaduto e una morosità, cose non vere che abbiamo smontato rapidamente con le carte alla mano. Abbiamo chiesto un tavolo alla Commissione municipale Controllo e Garanzia: abbiamo portato dati del lavoro svolto, le statistiche, e abbiamo sottolineato la necessità della continuità del rapporto terapeutico per le donne che stavamo seguendo. Ma il locale, ci è stato detto, doveva servire “per fare reddito”.

Ci hanno accusato di aver ricevuto un favore dall’amministrazione passata, per questo ci hanno intimato lo sfratto e hanno detto di voler mettere a bando i locali di Via Aspertini. Qualcuno, a mezza bocca, ha detto che, in realtà, la sede di “Marie Anne” è stata già promessa a parole a un’altra associazione.

Noi non ci siamo arresi, grazie anche al sostegno della Presidente della Camera, Laura Boldrini, e dell’opinione pubblica. Allora loro hanno cambiato strategia e hanno provato a screditarci. Hanno cominciato a far leva sul fatto che non siamo iscritti all’albo dei centri antiviolenza riconosciuti, ma questa è una nostra scelta per non essere “di scuderia”, per non dipendere dai finanziamenti della politica. Noi ci autofinanziamo”.

Il 16 luglio 2017 arriva la seconda commissione e con essa la promessa di non variare la destinazione d’uso dei locali, ma alla fine si mettono a bando i locali per ospitare un centro per la genitorialità. Peccato che nel “Marie Anne” c’è anche questo servizio inserito nel progetto “Comunità di destini”…

“Sembra proprio una guerra ad personam – commenta Stefania -, evidentemente abbiamo pestato i calli a qualcuno. Siamo qui da quasi tre anni e abbiamo sempre pagato regolarmente. Abbiamo avuto l’assegnazione per merito straordinario e abbiamo presentato una petizione con 31mila firme raccolte. L’assegnazione doveva essere perfezionata da tempo, ma la fine della Giunta Marino ha bloccato tutto. Il contratto resta comunque valido e, a meno che non si rescinda, si rinnova d sei mesi in sei mesi. Ora siamo a novembre e non ci sono novità ma non per questo siamo tranquilli. Noi continuiamo a svolgere le nostre attività. Questa settimana e la prossima saremo in scena, al teatro Manhattan di Roma, che prende spunto proprio dal mio libro sugli stupri di massa nel 1944 in Ciociaria. Noi siamo vivi e loro non si fanno sentire”.

 

La violenza di genere

Il 25 novembre si celebra la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. A Tor Bella Monaca la richiesta di aiuto delle donne abusate è la stessa che in altre parti di Roma, ma il centro “Marie Anne Erize” accoglie anche molte donne provenienti da altri quartieri che si recano qui per non essere riconosciute e giudicate. Per le donne di Tor Bella Monaca, però, a fare la differenza è la paura, che è maggiore. Trovare il coraggio di denunciare significa uscire definitivamente di casa, a volte fuggire, portando con sé solo i propri figli e lo stretto necessario. C’è la paura del futuro, l’incertezza su cosa accadrà, ma in questo le donne sono accompagnate.

E come è importante trovare la forza per andare via da una situazione di violenza, è altrettanto necessario formare le nuove generazioni al rifiuto della violenza. Per questo il centro ha lanciato a gennaio scorso la campagna “Io ci metto la faccia”, inaugurata al liceo scientifico “Edoardo Amaldi” di Tor Bella Monaca. Alla presentazione del progetto ha voluto partecipare anche un maltrattante, un uomo che per anni ha usato violenza contro le sue compagne. Marco, così si chiama, attraverso un lungo percorso, a volte molto doloroso, è riuscito a cambiare. Marco ci mette la faccia, raccontando quando può la sua vicenda senza risparmiarsi.

E sempre nell’ambito delle iniziative rivolte ai ragazzi, “Marie Anne” arriverà venerdì 24 novembre al Centro Metropolitano di Formazione Professionale di Civitavecchia.

È passata una settimana da quella sfilata. Parlarne oggi, all’indomani di manifestazioni avvenute in un altro pezzo di Capitale luogo di violenza – quello di Ostia – ha il senso della speranza. Quella che nasce dal lavoro costante e competente fatto da chi non si arrende alle etichette attribuite ai luoghi. Violenze diverse ma accomunate dal vuoto culturale che qualcuno alimenta perché tutto resti così e contro cui c’è chi combatte.

Il centro “Marie Anne Erize”, come tante altre realtà, non ha nessuna intenzione di arrendersi. Tor Bella Monaca – e non solo – ringrazia…

 

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