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Dalla memoria all’impegno
12 storie di Lotta Civile

Di Luigi Colombo il . Campania, Dai territori

Il presidente di Libera Don Luigi Ciotti l’aveva già scritto nell’introduzione e ha voluto ripeterlo dal vivo. «In questo libro non troverete parole rabbiose né anatemi indiscriminati. Sono descritte le traiettorie umane di persone che hanno compiuto il faticoso percorso che muove dal dolore e approda all’impegno». Perché  “Lotta Civile” (Chiarelettere, pag. 310 – 14,60 euro) della giornalista Antonella Mascali – presentato ieri sera all’Istituto per gli Studi Filosofici di Napoli – non vuole essere un tributo agli “eroi”, non vi si scorge alcun attacco generalizzato. La scrittrice, formatasi con i ’Siciliani’ di Pippo Fava per poi approdare a Radiopopolare, ha il merito di portare all’attenzione dei lettori soggetti individuali e trasformarli in un soggetti collettivi, vissuti tragici e testimonianze «per difendere i beni comuni, la propria terra», affinché la memoria diventi impegno. Un appuntamento a cui hanno preso parte, oltre l’autrice e don Ciotti, anche il giornalista di Repubblica Raffaele Sardo, Franco Roberti, capo dell’Antimafia di Napoli e il referente di Libera In Campania Geppino Fiorenza. Un ulteriore passo verso quel «camminare insieme» del 21 marzo prossimo, quando insieme agli oltre 500 familiari delle vittime delle Mafie – provenienti da diverse parti d’Europa – si griderà la voglia di lottare e di cambiare.
In «Lotta Civile» Antonella Mascali racconta le storie dei familiari di dodici vittime delle mafie che hanno trasformato la sofferenza in denuncia e in lavoro concreto nella società nelle scuole, nelle carceri, nella pubblica amministrazione. Non facendosi  travolgere dall’odio e trasformando il loro dolore in impegno civile, continuano idealmente la battaglia che i loro familiari – giudici, giornalisti, commissari di polizia – portavano avanti contro la mafia.  Attraverso le interviste ai figli, alle mogli, ai mariti e ai genitori ha così ricordato Giuseppe Fava, Rocco Chinnici, Beppe Montana, Roberto Antiochia, Marcello Torre, Silvia Ruotolo, Libero Grassi, Vincenzo Grasso, Barbara Asta e i figli Giuseppe e Salvatore, Mauro Rostagno, Francesco Marcone e Renata Fonte.
«Ho avuto il piacere di scrivere l’introduzione di questo bel libro – ha detto Don Luigi Ciotti nel corso della presentazione. L’ho fatto, però, con molta sofferenza, perché conoscevo personalmente, uno ad uno,  gli intervistati, le loro storie, i loro tragici vissuti. Sono persone che si sono messe in gioco, trasformando la memoria in impegno, non chiudendosi in se stessi, nel dolore. Non hanno pensato che quella morte che li ha coinvolti così da vicino sia stata vana. In questo libro c’è l’ossatura della nostra società, la coerenza, la continuità, piccole cose ma cose vere. Perché è di quello che abbiamo bisogno: della normalità del bene e del coraggio. E alla fine di questa lettura non si può non rimanere un po’ muti e commossi. Ma c’è un grande valore etico e politico che emerge da queste righe e ci ricorda che il cambiamento ha bisogno di ciascuno di noi».
Nando dalla Chiesa, nell’intervista che chiude il libro, afferma: che «bisogna cominciare a dire le cose che provocano reazioni ma che sono vere». I dodici protagonisti del libro, lo hanno fatto con le loro testimonianze di resistenza civile. «Se noi pensiamo che chi è stato ucciso è un eroe ci forniamo l’alibi per non fare niente» afferma Giovanni Chinnici, figlio del giudice Rocco Chinnici, ucciso a Palermo nel 1983. O Dario Montana, fratello del commissario Beppe Montana, ucciso a Palermo nel 1985, con amarezza ricorda come è stato «doloroso sentire colleghi di mio fratello, magari diventati questore o prefetto, che mi hanno detto: ‘Glielo dicevo a Beppe che doveva stare più calmo’. Gente come loro ha contribuito all’uccisione di mio fratello».
Il dolore privato che diventa pubblico, per «intervenire sui ragazzi, fare in modo che non dicano più a me nun me ne fotte niente» (Lorenzo Clemente, marito di Silvia Ruotolo, uccisa a Napoli nel 1997). «A voi ragazzi dico: non lasciate soli i magistrati, le forze di polizia. Ciascuno di voi non deve essere chiamato a fare l’eroe, ma a essere un cittadino consapevole» (Antonello Ardituro, pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli).
Per «non abbassare mai la guardia», non lasciarsi «ingannare da quanti vogliono farvi credere che ci si possa sentire immuni dal cancro delle illegalità» come ribadiscono Lucia e Annamaria Torre, moglie e figlia del sindaco di Pagani Marcello Torre, ucciso nel 1980.
Concetti alla base anche dell’intervento del pm Franco Roberti, per il quale «la lotta alla mafia non si fa solo con la repressione, ma con la collaborazione di tutti», soprattutto in momento storico in cui è in atto un «attacco al alzo zero contro la Costituzione»,  guida di ogni cittadino consapevole. E il rischio è proprio che in un momento di crisi economica, di «disuguaglianze sociali che alimentano le mafie» rischiamo tutti di diventare «portatori sani di camorra». Non chiede ai cittadini di essere eroi ma di essere «cittadini attenti», ognuno col proprio ruolo e il proprio impegno civile.

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