Conferenza sulle droghe, i dubbi degli operatori sociali
Leopoldo Grosso: cercare spiragli di dialogo
Non è ancora terminata, ma la Quinta Conferenza governativa sulle
droghe in svolgimento a Trieste fa già parlare di sé per la ridotta
adesione all’iniziativa da parte di quelle associazioni che sul campo
lavorano da anni. Segno di un profondo scollamento tra la realtà politica
italiana che su questa tematica sta portando avanti iniziative quanto
meno “poco attente” alle proposte e il dibattito che i soggetti
operanti nel sociale avanzano da tempo. Sono diverse le associazioni
che hanno disertato l’incontro (Forum Droghe e Comunità di San Benedetto
al Porto di Genova), tante quelle che hanno inviato una delegazione
con buoni propositi, anche se il timore di incorrere in una situazione
poco costruttiva era percepibile da tempo. Tra questi il gruppo Abele,
che ha inviato a Trieste una delegazione con lo scopo di capire, commenta
il vicepresidente Leopoldo Grosso, «se ci siano spiragli di dialogo,
margini di confronto senza preclusioni».
Conferenze nazionali: voglia di dialogo?
Perché, effettivamente, i soggetti che lavorano nel campo denunciano
da tempo poca attenzione ad un reale dialogo sul tema. Seconda la legge
il presidente del Consiglio convochi ogni tre anni una conferenza nazionale
sulle droghe con la finalità di con quei soggetti, siano essi
privati siano essi pubblici, che sono attivi nel campo della prevenzione
e della cura della tossicodipendenza. Per raggiungere delle conclusioni
che, inviate al Parlamento, possano concorrere anche a correggere eventuali
punti deboli della legislazione antidroga vigente.
L’Osservatorio dell’Associazione Antigone in una nota pubblicata
a fine febbraio ricordava la precedente esperienza, quella della
Quarta Conferenza, tenutasi a Palermo nel dicembre 2005 «organizzata
senza alcun desiderio di un autentico dialogo con gli operatori del
settore, con il mondo delle professioni e con l’associazionismo».
La scelta di operare l’inasprimento penale che poco dopo sarebbe stato
approvato con la cosiddetta Fini-Giovanardi era già stata presa, e
nessuno intendeva metterla in discussione. Quindi, conclude l’associazione:
« sono di fatto nove anni che si attende un confronto con il Governo
su questi temi. Ma oggi a Trieste si rischia di ripetere l’esperienza
palermitana».
A Trieste senza dogmi né pregiudizi
Il dialogo gli operatori di settori l’hanno sempre sostenuto. Anche
a fine febbraio, quando un comunicato congiunto firmato da Antigone,
Cgil nazionale, Cnca, Cnnd,
Forum Droghe, Forum Salute Mentale, Gruppo Abele e Itaca Italia sottolineava
la necessità di riformare l’appuntamento perchè «la V Conferenza
nazionale governativa sulla droga e la tossicodipendenza, per come è
stata finora progettata e organizzata, rischia di trasformarsi più
in un puro evento mediatico e di non poter adempiere alle sue vere finalità
istituzionali e alle aspettative e ai bisogni del sistema di intervento».
Il riferimento specifico era la quasi totale assenza di momenti di confronto
sui risultati raggiunti dalla legislatura vigente e la drammatica minoranza
degli operatori sociali rispetto a un parterre ministeriale molto più
nutrito (leggi il documento).
La proposta del Gruppo Abele
«Il lavoro attuato dal governo attuale è di forte discontinuità
con quello del precedente governo Prodi» sottolinea Leopoldo Grosso,
«si rischia di isolarci rispetto alle direttive europee».
Partendo da queste premesse il gruppo Abele ha portato a Trieste
una documento di analisi e proposte partendo, appunto, dal rapporto
tra la politica europea sul tema delle droghe e la situazione italiana.
Nel documento (leggi integralmente) che il gruppo torinese ha reso pubblico si riconosce come
l’Unione europea abbia progressivamente costruito una politica comune
di intervento sul tema delle dipendenza conosciuta come “la strategia
dei quattro pilastri”: contrasto al narcotraffico, la prevenzione,
la cura e la riabilitazione, e la riduzione del danno. Una una politica
su cui «l’Italia fa fatica a tenere il passo».
Il contrasto al narcotraffico secondo il Gruppo Abele non va affrontato
solo sotto il profilo della repressione, ma nella prospettiva dei diritti
umani: «gli aiuti europei devono riuscire a rendere competitive le
coltivazioni alternative, definendo e preparando i nuovi raccolti col
consenso e l’alleanza delle organizzazioni contadine e delle autorità
dei territori locali». Anche il settore della prevenzione «necessita
di un’attenta rivisitazione e, soprattutto, di un’adeguata riorganizzazione»
perchè non sembrerebbe costituire più una priorità per le istituzioni
e per i servizi e ciò , continua il gruppo, «costituisce un
grave errore strategico». Per quanto riguarda le cure, secondo il Gruppo
Abele si riscontrano problemi sia nelle comunità terapeutiche sia nella
progettualità, che ha sofferto il venir meno del Fondo nazionale della
legge sulla droga e l’impossibilità di continuare a sperimentare
nuovi programmi e tipologie di interventi. In ultimo la riduzione del
danno rischia di rimanere la Cenerentola della strategia complessiva
di contrasto alle dipendenze. Secondo il Gruppo Abele le politiche di
riduzione del danno risentono di una mancanza di clima adeguato ad una
«serena valutazione della sua efficacia».
«La posizione dell’Italia a seguito di queste scelte politiche sta
disgregando un fronte comune unitario; – dice Grosso – si creerebbe
una situazione difficile e l’Italia con il mancato riconoscimento della
efficacia della riduzione del danno si sta sganciando dalle linee guida
europee».
Carlo Giovanardi aveva infatti ribadito come l`Italia (con la Svezia
tra le altre) si è fatta promotrice di una revisione della dizione
«riduzione del danno» che «può nascondere altro, cioè la
cronicizzazione della tossicodipendenza attraverso, ad esempio, le cosiddette
stanze del buco. Impostazioni che il politico italiano non vuole
a quanto pare rivedere, rinunciando ad un confronto con quegli operatori
che sul tema lavorano direttamente da anni, e avviando quella che si
preannuncia l’ennesima conferenza “blindata”.
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