Quelle parole scolpite nelle coscienze
Venticinque anni dopo la strage di Via D’Amelio, Paolo Borsellino è ancora qui a indicarci la via maestra.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino eliminati col tritolo mafioso in quella terribile stagione del 1992, perché in quell’epoca di cambiamenti – erano gli anni segnati dalle sentenze definitive che colpivano profondamente Cosa nostra e dalle indagini di tangentopoli contro le icone politiche scoperte compromesse fino all’osso col malaffare – loro potevano andare a sedere in quei posti che avrebbero permesso loro e a tutta la società civile di infliggere i colpi mortali alle mafie e alla corruzione imperante.
E la loro morte, violenta, i loro corpi straziati assieme a quelli di Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina, ha invece fatto fare retromarcia a tante buone intenzioni. Il festival delle buone intenzioni che si accende ad ogni anniversario delle stragi del 1992, quella di Capaci, il 23 maggio, e quella di via D’Amelio, il 19 luglio. Spesso per tanti resta solo una “fiera delle vanità”, perché poi ogni giorno si torna a fare quello che in molti facevano con Falcone e Borsellino in vita, cioè attaccare la magistratura, impedire il corretto esercizio della giustizia, fare in modo che verità e giustizia non fossero davvero parti indispensabili del vivere quotidiano.
È vero, rispetto a quegli anni terribili per Falcone e Borsellino, e non solo per loro due, l’elenco che dovremmo fare è lungo: oggi c’è una società civile più viva, più attenta, ci sono i giovani, le associazioni, e, torniamo a dire, ci sono i giovani e le associazioni, un pezzetto di politica, e…nessun altro. Abbiamo gli occhi aperti e non possiamo dire che tutto è identico a quegli anni, ma sarebbe da ipocriti non riconoscere che siamo ripiombati in quegli anni.
La retorica non è il nostro pane quotidiano, e guardandoci intorno non possiamo non scorgere che i mali di quell’epoca ci sono ancora tutti, molti integri, tanti sotto l’ala della mafia che oggi è più potente perché ha saputo costruire una unica entità con quei poteri, come la massoneria, che ci hanno allontanato da verità e giustizia, che hanno buttato all’aria senza più aver bisogno del tritolo, la verità e la giustizia a cominciare dalle stragi del 1992. E poi non c’è scenario dove ancora oggi non ci imbattiamo con corruzione e tangenti. A 25 anni dalle stragi c’è una società che nel suo insieme celebra Falcone e Borsellino ma appena pochi giorni fa, è successo a Trapani, non si scandalizza, anzi solidarizza, con certi politici pesantemente chiamati a rispondere delle loro malefatte davanti ai Tribunali.
Una società dalla memoria labile, fortemente labile. Tranne oggi per ritrovarsi a far passerella.
Ci sono impresse nella storia di questa nostra martoriata terra siciliana parole dalle quali ogni giorno dovremmo ripartire. E sono le affermazioni che ci lasciò proprio Paolo Borsellino. “Sono morti per noi e abbiamo un grosso debito verso di loro; questo debito dobbiamo pagarlo continuando la loro opera, rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che possiamo trarne, anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro, facendo il nostro dovere; la lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità; ricordo la felicità di Falcone quando in un breve periodo di entusiasmo egli mi disse “La gente fa il tifo per noi”; e con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l’appoggio morale della popolazione dà al lavoro del giudice, significava qualcosa di più, significava soprattutto che il nostro lavoro stava anche smuovendo le coscienze”.
Venticinque anni dopo c’è consapevolezza, ma c’è chi ha scelto di restare timoroso e pretende che anche gli altri siano timorosi. E non va bene.
Non possiamo ricordare oggi Borsellino se non onoriamo il debito che abbiamo con lui e con chi come lui ha combattuto fino all’estremo sacrificio Cosa nostra. Non possiamo vedere celebrato Borsellino da uomini delle Istituzioni che in questi anni hanno ostacolato il lavoro di magistrati e giudici con norme, cavilli e con azioni tutt’altro che destinate a rendere agevole il lavoro nei Palazzi di Giustizia.
La mafia in quella stagione del 1992 dopo avere piazzato le bombe in Sicilia, andò a metterle in mezza Italia, a Roma, Milano e Firenze. Poi il silenzio. I piani di morte si fermarono, ma ci sono sentenze, come quella sulle stragi del 1993, ci dicono che il silenzio non fu conseguenza di una sconfitta ma di una trattativa, l’ultima delle trattative che costellano la storia della nostra Democrazia.
Vogliamo ricordare Falcone e Borsellino? E allora ricordiamoli facendo ognuno di noi la propria parte per scoprire la realtà di quei giorni, sgombriamo il campo dai segreti e dai misteri: la mafia fece da service a qualcuno in quegli anni tra il 1992 e il 1993 e allora fuori i nomi di chi oggi usa Stato e potere per restare nascosto. Lo si faccia perché siamo oggi come allora in un periodo di cambiamento, non diamo tempo ai criminali col colletto bianco di rinnovare il proprio salvacondotto.
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