Trapani, torna in cella l’erede del boss
La Squadra Mobile ha arrestato ieri pomeriggio Epifanio Agate. Per lui ripristinata la misura cautelare in carcere. Obbligo di dimora per la moglie.
Gli agenti della Squadra Mobile di Trapani sono andati a bussare alla sua porta di casa il pomeriggio del 7 luglio scorso, e subito lo hanno ricondotto in carcere. Epifanio Agate, 44 anni, figlio del defunto boss di Mazara, Mariano Agate, è tornato in cella con le accuse di intestazione fittizia di beni. Mafia e affari.
Il rampollo della famiglia Agate a dicembre dell’anno scorso era stato già arrestato con le stesse accuse nell’ambito dell’operazione antimafia “Ermes 2”, un nuovo filone investigativo sviluppato dai poliziotti della Mobile trapanese diretta da Fabrizio Mustaro. Poi era intervenuto un pronunciamento del Tribunale del riesame, adesso nuovamente ribaltato. Per i giudici Epifanio Agate deve stare in carcere; obbligo di dimora invece per la moglie Rachele Francaviglia, 34 anni.
Dietro Epifanio Agate gli investigatori avrebbero individuato un filo, nemmeno tanto sottile, che lo avrebbe unito al boss latitante Matteo Messina Denaro. Intercettato, il giovane Agate è stato sentito parlare di “quello di l’ogghiu”, quello dell’olio, e olio, anzi ogghiu in siciliano, è uno dei soprannomi di Matteo Messina Denaro. Agate avrebbe avuto il controllo di due società, la My Land e la Fishmar, ma attorno a lui si sarebbe continuato a muoversi il mondo di Cosa nostra di Mazara del Vallo.
Agate punto di riferimento per una serie di affari, soprattutto nel campo della produzione del cemento. E si sa che nel trapanese la produzione di calcestruzzo, il controllo di aziende e mercato non sono cose secondarie per la mafia. Epifanio Agate nel tempo è risultata figura essenziale anche per i traffici di droga. Il padre, don Mariano, padrino super fidato di Totò Riina, tanto che spesso si è sentito dire che se lui fosse stato libero avrebbe guidato la mafia trapanese scalzando lo stesso Matteo Messina Denaro, quando dal carcere riuscì ad organizzare un maxi traffico di cocaina dalla Colombia, mettendo d’accordo Cosa nostra e ‘ndrine calabresi, affidò proprio al figlio Epifanio l’incarico di farsi portavoce dei suoi voleri. Fu questa l’occasione, fotografata nella indagine sempre della Mobile trapanese denominata Igres, per Epifanio Agate di guadagnarsi spazi e fiducia tra i boss trapanesi e di mezza Sicilia.
Con la morte del padre, avvenuta nell’aprile 2013, il ruolo di Epifanio è via via cresciuto. Gli investigatori della Squadra Mobile di Trapani spesso hanno così scritto nei loro rapporti alla Dda di Palermo, lo hanno visto interfacciarsi con l’anziano VIto Gondola, l’anziano capo mafia messo da Messina Denaro a capeggiare la mafia di Mazara dopo la morte di don Mariano Agate. Rapporti stretti tanto da far dire a Gondola nel giorno della morte del padrino di Mazara che “le condoglianze dobbiamo farcele a vicenda, a lui (Epifanio ndr) è morto il padre, a me è morto l’amico più caro”. E sarebbe stato proprio Gondola a tenere i rapporti diretti col latitante Messina Denaro, pare interloquendo anche nel nome di Epifanio Agate, che a sua volta si giustificava dicendo che per lui era impossibile parlare direttamente col latitante. Ci avrebbe pensato Vito Gondola.
Intanto Epifanio si occupava di commercio di prodotti ittici con aziende intestate a terzi che lui avrebbe tenuto sotto controllo anche attraverso minacce. Minacce che si sarebbero fatte più forti quando gli intestatari della società, Francesco Mangiaracina e la moglie Natalyia Ostashko , avevano cercato di tirarsi fuori. Lui, Mangiaracina, imparentato con l’ex boss Vincenzo Sinacori, diventato collaboratore di giustizia, aveva come ricevuto un perdono dal giovane Agate, per via di quella parentela diventata ingombrante. “Ermes 2” ha disvelato, ancora una volta, il tradizionale interesse delle famiglie mafiose del territorio trapanese verso il sistema degli appalti e lo hanno dimostrato i sequestri che furono eseguiti dalla Mobile trapanese, lo scorso dicembre, contestualmente a 11 arresti. Tre aziende produttive sequestrate alla piena disponibilità della cosca di Mazara del Vallo, aziende impiegate per sottrarre denaro contante e ripulirlo restituendolo alla criminalità mafiosa.
In questo senso l’accordo: il “patto di ferro” tra le famiglie mafiose di Castelvetrano e Mazara, le cosche dove regna un altro patto, quello tra mafia e massoneria. Ed è un territorio d’improvviso diventato caldo quello di Mazara, con un delitto eccellente di pochi giorni addietro. Killer di mafia hanno eliminato un “picciotto” in crescita, Giuseppe Marciano’ di 47 anni. Un omicidio di mafia che ancora non ha ricevuto una lettura ben definita dagli investigatori dei Carabinieri che se ne stanno occupando, ma le dinamiche rimandano ad una delle classiche inappellabili sentenze di morte pronunciate da Cosa nostra.
Deve essere accaduto qualcosa di grave per avere indotto i boss a tornare a far sentire la loro mortale violenza. La mafia oggi è meno sotterranea di ieri.
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