I carichi di marijuana e hashish “abbordati” in alto mare
Nei primi quattro mesi del 2017 secondo dati attendibili, ancorché provvisori, elaborati mensilmente dalla Direzione Centrale per i Servizi Antidroga (DCSA), nelle “acque internazionali” sono stati sequestrati3.874kg di marijuana a seguito di interventi di natanti della nostra Guardia di Finanza.
Le operazioni hanno riguardato il traffico proveniente dalla vicina costa albanese che si conferma il punto di partenza della stragrande maggioranza di marijuana immessa sul mercato illecito italiano. Da rilevare che nell’intero 2016 non si sono annotati sequestri in mare mentre nel 2015, a giugno, si registrò il consistente sequestro di oltre 10 tonnellate di hashish a bordo di un veliero proveniente dal Marocco. Anche in questo caso l’operazione fu condotta, con il supporto della DCSA, dalla Guardia di Finanza che, come noto, dispone di un dispositivo aeronavale di tutto rispetto e nel contesto operativo internazionale di MAOC-N, il Maritime Analysis and Operations Centre-Narcotics, di Lisbona.
Anche nel 2014, sempre nell’ambito marino fuori delle acque territoriali, erano state sequestrate, complessivamente, oltre 20 tonnellate di hashish, sempre di provenienza marocchina. Dunque è in mare che occorre concentrare le attività di contrasto al narcotraffico perché è proprio dagli “..specchi d’acqua prospicienti le coste, in acque internazionali o all’interno del mare territoriale, e lungo la frontiera marittima..” che viene intercettato la maggior parte dello stupefacente sequestrato in Italia (cfr. la relazione annuale DCSA 2016 presentata alcuni giorni fa). Che arriva in grandissime quantità come sottolinea ancora la DCSA che cita le 41,6 ton sequestrate solo nel 2016, record degli ultimi dieci anni. Né, a mio parere, si può parlare di un incremento così notevole dei sequestri ricollegandolo ad “…una ripresa dei traffici di tale droga tra le due sponde del canale d’Otranto…” perché anche nel 2014, sul totale di poco più di 30ton di marijuana sequestrate dalle forze di polizia a livello nazionale, oltre 8ton erano state bloccate proprio lungo le coste pugliesi o nei porti di Bari, Brindisi, Lecce, Bitonto/Barletta. Insomma, la criminalità organizzata pugliese, in combutta con i sodalizi albanesi (che hanno una diffusa rete di trafficanti in gran parte del nostro paese), è da anni la “padrona” incontrastata nel traffico della marijuana proveniente dalla regione balcanica.
D’altronde che il traffico di marijuana sia un affare particolarmente redditizio per la criminalità è arcinoto in tutto il mondo. In Messico, dove i profitti derivanti dal commercio degli stupefacenti vengono stimati in oltre venti miliardi di dollari l’anno, se si legalizzasse la marijuana, il cartello di Sinaloa, la temibile organizzazione di narcos, subirebbe una perdita stimata in circa il 10% sul volume degli affari.
Una eventuale legalizzazione in Italia della cannabis (un progetto di legge è tornato, alcuni mesi fa, all’esame della Commissione Giustizia e Affari Sociali dopo una fugace apparizione in Aula), potrebbe portare nelle semivuote casse statali dai 6 agli 8 miliardi di euro di tasse su un giro di affari stimato tra gli 8 e i 12 miliardi di euro. Si tratta di calcoli fatti sulla scorta dei consumi annui stimati di droghe e sui dati dei sequestri effettuati dalle nostre forze di polizia e dalle dogane che rappresentano, in generale, solo una parte ( intorno al 20%) del quantitativo globale degli stupefacenti immessi sul mercato. C’è anche la marijuana made in Italy che sta riscuotendo un buon successo nella vendita nonostante le 465mila piante di cannabis eradicate nel corso del 2016 in diverse province italiane (la maggior parte localizzate in Puglia, Calabria, Sicilia e Lazio).
Anche in questo scorcio di 2017 i sequestri di piante di marijuana sono già oltre 15mila, coltivate per lo più in casa, nei giardini, nei sottotetti, nei campi. Uno dei fatti più recenti (fine maggio scorso) ha riguardato un fabbro,arrestato dalla polizia a Gambolò (Pavia) per aver coltivato circa 500 piante di marijuana in una parte del capannone dove,a tempo perso, praticava il suo mestiere. Al Gip che lo ha interrogato ha spiegato di aver iniziato a fare il coltivatore di “erba” a causa della crisi economica che stava vivendo. Particolare che non è servito ad evitargli la misura cautelare in attesa del processo.
Sessanta operazioni antidroga al giorno nei primi mesi del 2017
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