Truffa antiracket Salento, vittima anche io
Venerdì 12 mi hanno svegliato presto. Eseguivano ordinanze di custodia cautelare. Scossone giudiziario a Lecce. Quattro arresti tra cui la presidente di Antiracket Salento, associazione con sedi a Lecce Brindisi e Taranto, decine di persone indagate, altre interdette dai pubblici uffici tra cui un amministratore.
La mia memoria, di cittadina e giornalista ha riavvolto il nastro dei ricordi…
Tutto ebbe inizio l’1 settembre del 2012, negli uffici leccesi di Antiracket Salento.
Firmai il contratto di addetta stampa, con scadenza nell’aprile 2015. Avrei seguito e pubblicizzato l’attività degli sportelli a difesa e tutela delle vittime di usura ed estorsione. Compenso ottimo, mille euro al mese per cinque accessi tra conferenze stampa, comunicati e altre attività in linea con le mie qualifiche.
Ero diventata giornalista professionista a maggio, dopo aver perso il lavoro a gennaio. La redazione leccese dell’emittente televisiva per cui lavoravo chiuse, restai per strada insieme ad altri colleghi. Reagì mettendomi a studiare per l’esame di Stato, iniziai di fatto la mia onorata carriera da free lance, espressione che a conti fatti, altro non significa che “precaria”.
L’incarico presso Antiracket Salento, previo colloquio e valutazione del mio curriculum da parte della presidente, fu motivo d’orgoglio. L’imprimatur al progetto da parte del Ministero dell’Interno mi diede sensazione netta di serietà.
Una nuova avventura, valigia in mano, pronta a ricominciare.
Un anno di soddisfazioni fra incontri pubblici, realizzazione di spot e campagne di sensibilizzazione. Ci misi pure la faccia – scura per incarnato olivastro ma grazie a Dio pulita, semmai da schiaffi ma pulita – per uno di quegli spot. Conservo le foto, ero contenta di contribuire ad una causa sposata come cittadina prima, e operatrice della comunicazione poi. Interviste, conferenze stampa, approfondimenti sugli organi di informazione. Il rapporto tra me e la committente sembrava andare a gonfie vele.
Qualche inciampo nei pagamenti, talvolta previa fattura talaltra con vera e propria busta paga. Ma dopo il mio invito a contattare INPGI per la contribuzione giornalistica, tutto sembrò essersi appianato.
Negli uffici di Antiracket Salento ho incontrato facce buie e disperate, quelle di alcune vittime, violentate nella dignità da chi le aveva taglieggiate. Per loro lo sportello era l’ultima spiaggia, un tentativo per risalire la china. Ricordo a Taranto un padre di famiglia. Poteva essere il mio.
Grande e grosso, piangeva. “Mi vergogno davanti mia moglie e ai miei figli, ho paura a camminare per strada da solo”, fu redarguito per la sua capacità di piangersi addosso.
Fu un campanello d’allarme per me. Iniziai allora ad appaiare al mio ruolo di addetto stampa, il piglio indagatore del giornalista.
Non avevo mai modo di incontrare gli psicologi e gli esperti che, al di là dell’istruzione delle pratiche per l’accesso al fondi di solidarietà per le vittime, dessero sostegno interiore a chi bussava alla porta dell’associazione. Strano.
La cordiale simpatia della presidente col passare del tempo si trasformò in distanza di sicurezza dalla sottoscritta, anche nei comportamenti. Strano.
Mi rifiutai di firmare col mio nome comunicati stampa il cui contenuto potesse essere diffamatorio nei confronti di altri. Fu l’inizio delle ostilità, ma non lo sapevo.
Era giugno del 2013 quando la presidente Maria Antonietta Gualtieri mi convocò in ufficio per dirmi che difficoltà economiche non le consentivano di pagare il mio onorario e mi invitò a dimettermi.
Ma come? Il Ministero non aveva forse già stanziato le somme per la mia figura? Ad ogni modo, mi dichiarai pronta a dare il mio apporto gratuitamente fino a che le cose non si fossero appianate. Semmai avrei chiesto una aspettativa. Non altro.
Ancora aspetto il pagamento del lavoro effettuato e documentato per il mese di giugno 2013. Come di tutte le spettanze previste dal disciplinare, almeno fino alla rescissione del contratto, che mi fu notificata a ottobre 2013.
Dal mobbing alle accuse diffamatorie, dalle spettanze non pagate alla paradossale richiesta di danni. Ho pagine e pagine di carte che documentano la pressione nei miei confronti, il tentativo di farmi paura, farmi saltare i nervi, farmi desistere
Una rescissione dal chiaro tono diffamatorio nei miei confronti. Non solo. La presidente presentò querela nei miei confronti alla Procura della Repubblica di Lecce e proprio nei giorni scorsi ho avuto modo di incontrarla in udienza presso il tribunale civile di Lecce poiché mi ha citato per danni. Si, si, lei ha citato me per danni. Il procedimento è in corso, ci sarà un’altra udienza a luglio, mi difenderò per quanto mi venga da sorridere.
Per gradi. Nella rescissione Gualtieri scriveva che la sottoscritta “nonostante i ripetuti richiami a chiedere prima della diffusione il parere della coordinatrice sui comunicati, ha sempre agito in totale autonomia”, che “nonostante lei sia stata fornita di apposito indirizzo mail riferibile ad Antiracket Salento, tale casella non è stata usata, ledendo l’immagine dell’Associazione” (sic!). E ancora, tutto ciò che potesse in qualche modo gettare fango sul mio operato, per fortuna rimasto impresso nella documentazione da me prodotta, come nei rapporti con tanti colleghi che ben mi conoscono.
Azione penale e civile nei miei confronti. Io intanto ho dovuto rivolgermi ad un legale, e sappiamo bene cosa questo voglia e possa significare. Dal mobbing alle accuse diffamatorie, dalle spettanze non pagate alla paradossale richiesta di danni. Ho pagine e pagine di carte che documentano la pressione nei miei confronti, il tentativo di farmi paura, farmi saltare i nervi, farmi desistere. Pure ad un ufficio di mediazione si sono rivolti! Ho conosciuto più da vicino il mal di stomaco e l’insonnia, da rabbia. Mai da paura.
Il procedimento, scrivevo, è in corso. Evito ulteriori commenti a margine, la giustizia come dimostra l’operazione di queste ore, fa il suo corso.
Di sicuro non sono stata a guardare. Questo no. I bavagli si strappano, con la dignità. Ho dettagliatamente documentato quanto a mio avviso ci fosse di torbido e passibile di sospetto in quella Associazione; ho inviato il 13 gennaio 2014 opportuna comunicazione al Commissario straordinario di Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e usura presso il Ministero, al Ministro dell’Interno, alla Procura della Repubblica di Lecce. Sulle indagini non proferisco parola, non sta a me. Ci sarà un processo, staremo a vedere. I reati contestati a vario titolo sono truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, corruzione, concussione, falso.
Come altri sono stata ascoltata dai militari della Guardia di Finanza di Lecce più di un anno fa. Ho incrociato le dita perché la verità venisse fuori. Sono stata testimone, ho denunciato, leggo il mio nome spesso nelle 372 pagine dell’ordinanza. Risulta che non ero addomesticabile, ed anzi ero “pericolosa”. Bene. Ne sono orgogliosa, lo ammetto.
Per chi in quell’associazione aveva trovato l’ennesima delusione di un percorso già di suo fortunoso, per chi nell’antimafia crede davvero e lo dimostra col lavoro silente e costante cui immola la sua vita e il suo privato, per chi ci mette la faccia. E anche per me, che ho sentito il dovere morale di tirarmi fuori e denunciare. Rinunciando a uno stipendio, che mi serviva allora e che mi serve oggi.
Resta l’amarezza però, nell’anima. Per l’isolamento vissuto, per il costo elevato che comporta essere minoranza ed andare contro vento. Intervistai un testimone che aveva denunciato un usuraio ai carabinieri. Si era rivolto allo Sportello. Mi raccontò drammi e vessazioni. Decisi di farne un’inchiesta.
Ma mi hanno chiuso in faccia molte porte. Chi con “vedremo, ti faremo sapere”, chi con “non abbiamo spazio, eventualmente ti ricontatteremo”. Le parole che però mi sono rimaste impresse sono quelle del collega che mi disse “tu hai lavorato lì, non puoi scriverne. Saresti scorretta”. Ed io che pensavo di essere dalla parte giusta! Se si sollevava una questione di conflitto di interesse sarei stata pronta a dare il mio materiale e il mio supporto ad altri colleghi, dissi. Ma niente.
Capii. E conservai quella intervista. Anche a Roma la portai….Niente. Oggi di quella vicenda scrivono in molti. Oggi che la notizia è “di giro”, e non occorre mettersi le corna in fronte e farsi nemici. Eppure se avessi avuto la possibilità di scrivere allora, nel 2014, avremmo potuto dare una mano all’attività degli investigatori e ancor più, alle vittime. Già, di loro poco si parla e s’è parlato. Chi subisce usura o estorsione è una persona a pezzi, e ce ne sono tante di persone così. Io non le dimentico e non dimentico il ragazzo che ripose nelle mie mani la sua sorte. Aprendosi, parlandomi e seguendo il mio consiglio di scrivere al Ministero.
Mi sono sentita sola, se non fosse stato per il conforto dei miei genitori, le pacche sulla spalla di Giuseppe, il mio avvocato. Le battute dell’altra metà del mio cielo, sempre pronto a spronarmi e a credere in me. Gli affetti, sacrosanti.
E poi la gente, le persone comuni, i lettori. Chi ti conosce, e ti segue. E si fida di te e crede in ciò che fai. Coloro per i quali vale ancora la pena credere nelle sfide di questo mestiere. Scrivo queste righe e ascolto Salento di Renè Aubry…le note mi portano alle contraddizioni di questa terra di cui sono figlia.
Piegata, piagata dal malaffare. Eppure forte di radici e d’orgoglio, pronta a rialzarsi nonostante gli altri.
Ho chiamato il comandante provinciale della Guardia di Finanza, dopo l’accaduto. “Non la chiamo per chiederle notizie, ma per dirle grazie, mi avete tolto un peso dal cuore. Non cambieremo il mondo, né io né lei, ma possiamo fare molto per migliorare ciò che è intorno a noi, passo dopo passo…”.
Mi ha risposto che il grazie va ai ragazzi che ci hanno lavorato, a questa inchiesta.
Si, grazie a loro. E a chi ha remato contro, come ha saputo. Perché ha alimentato l’ostinazione mia e di chi la pensa come me.
In manette presidente antiracket Lecce
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