Per i giornalisti uccisi da mafie e terrorismo
Le ricorrenze, gli anniversari impongono delle riflessioni. Richiamano alla memoria fatti, eventi, circostanze, sensazioni, umori. Così è avvenuto anche mercoledì 3 maggio a Torino, in occasione della decima edizione della “Giornata della Memoria dei giornalisti uccisi da mafie e terrorismo” organizzata dall’Unci (Unione nazionale cronisti italiani), svoltasi in concomitanza con la XXIV Giornata mondiale della libertà di stampa.
Come il Giano bifronte, giornalisti e addetti del settore del mondo dell’informazione hanno guardato al passato e al futuro passando per il presente, ricordando sia i colleghi uccisi sia i cronisti minacciati. “Diversi giornalisti – ha dichiarato Alessandro Galimberti, presidente dell’Unci – sono stati colpiti a Torino, Palermo e in altre città perché erano stati lasciati da soli e messi alla berlina. Noi dobbiamo riflettere sul fatto che oggi, intorno al giornalismo, stanno maturando le stesse condizioni di intolleranza, isolamento di allora. Commemorare oggi questi giornalisti ha quindi un significato di estrema attualità, che trova il proprio valore aggiunto nella presenza, qui oggi, dei familiari di questi colleghi”.
Dopo Roma – dove nel 2008 si è svolta la prima edizione della Giornata – Napoli, Milano, Genova, Palermo, Perugia, Cagliari, Firenze e Reggio Calabria, è stato dunque il capoluogo piemontese a ospitare questa giornata di memoria e di riflessione, all’indomani della classifica dell’organizzazione non governativa per la libertà d’informazione Reporters sans frontières che pone l’Italia al 52esimo posto della sua classifica, contro il 77esimo posto del 2016.
Alla giornata, celebrata nella sede dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, sono intervenuti numerosi familiari di giornalisti uccisi o feriti: Rita Cocozzello, Fulvio e Francesco Alfano, Mimma Barbaro, Giuseppe e Francesco Andreozzi, Nadia Ferrero, Carla e Maddalena Rostagno, Mariella Sandrin, Luigi Necco. I loro interventi sono stati preceduti dalla visione del docufilm Anni spietati di Stefano Caselli e Davide Valentini (tratto dal loro omonimo libro edito da Laterza) e dalla lettura del messaggio del Presiedente della Repubblica Sergio Mattarella. “Rinnovo il mio commosso pensiero alla memoria di tutti coloro che, animati dall’irrinunciabile valore della libertà di stampa, non si sono piegati alla sopraffazione e hanno rifiutato l’omertà, fino al sacrificio della loro vita. Molti nostri cronisti sono stati uccisi, in Italia e all’estero, mentre svolgevano il lavoro per il bene della collettività. Uomini e donne di cui dobbiamo onorare la memoria per sottolineare quanto importante sia il valore della ricerca e della verità. Giornalisti che con le loro inchieste hanno contribuito a combattere l’illegalità, a svelare affari e collusioni della criminalità organizzata, a fare luce su traffici illeciti e denunciare gli orrori delle guerre. Per questo va ribadita con determinazione la necessità di proteggere i cronisti che subiscono minacce e intimidazioni. Sono voci da tutelare perché espressioni di una democrazia matura che non ha paura della verità”.
Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale stampa italiana, ha sottolineato il valore della memoria, esortando a “diffidare di chi dice che è meglio cancellare e dimenticare la storia. Essere qui oggi, con tanti familiari delle vittime della mafia e del terrorismo, non riguarda solo il passato, non è solo un gesto di doveroso omaggio nei confronti di chi non c’è più ma anche un gesto di speranza nei confronti di chi c’è. Ricordare queste vite significa dimostrare che si è vicini ai tanti ragazzi e ragazze che spesso lavorano come precari in zone terribili del Paese e che con il loro mestiere di giornalista contrastano mafia, malaffare e corruzione. Il modo migliore per aiutare i cronisti minacciati non è elogiarli ma essere con loro, non permettere che siano isolati. Dobbiamo imparare ad arrivare il giorno prima e non quello dopo, perché è troppo tardi”.
La Giornata della Memoria dei giornalisti uccisi da mafie e terrorismo non ha solamente guardato al passato e al presente, ma anche dentro la casa ospite, cioè la città di Torino. In corso Re Umberto 54 si è svolto, prima dell’incontro nella sede dell’Ordine regionale dei giornalisti, un momento di raccoglimento e di ricordo per Carlo Casalegno. Vicedirettore del quotidiano La Stampa, la sera del 16 novembre 1977 Casalegno stava rientrando a casa quando due brigatisti sbucarono dal fondo del lungo androne del palazzo dove abitava e gli esplosero quattro colpi di pistola in volto. Morì dopo tredici giorni di agonia, “il 29 novembre, giorno del mio 33esimo compleanno” ha ricordato commosso il figlio Andrea. La sua figura, definita “generosa” è stata ricordata anche da Alberto Sinigaglia, all’epoca dei fatti suo collega: “Abbiamo chiuso insieme la terza pagina e bevuto un caffè, poi lui è andato a casa. Lo considero il mio maestro. Seguendo il suo insegnamento, dobbiamo dimostrare che il giornalismo non è morto, specie a chi spera che lo sia”. Giuseppe Giulietti ha infine ricordato la rubrica Il nostro Stato curata da Carlo Casalegno sul quotidiano torinese: “In un momento drammatico per la città, fu fermissimo a respingere l’eversione, molto attento a descrivere l’eversione, capacissimo di raccontare da dove arrivava l’eversione. Era un grande giornalista, un grande cittadino che aveva nel cuore la Costituzione. Quegli articoli, almeno parlo per me stesso, bisognerebbe portarseli in tasca”.
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