Sicurezza pubblica, immigrati irregolari e Cie
“Conferire massimo impulso all’attività di rintraccio dei cittadini di paesi terzi in posizione irregolare, in particolare attraverso una specifica attività di controllo delle diverse forze di polizia (…) con un’azione di prevenzione e contrasto dell’attuale contesto di crisi a fronte di una crescente pressione migratoria e di uno scenario internazionale connotato da instabilità”. È un passaggio dell’articolata circolare di fine anno emanata dal Capo della Polizia Prefetto Gabrielli, nella sua veste anche di Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, e inviata ai questori per l’attivazione su tutto il territorio nazionale di straordinari piani di controllo.
Spetterà ai prefetti, ai quali il ministro dell’interno Minniti ha indirizzato analoga circolare di sollecitazione, effettuare il richiesto coordinamento delle forze di polizia in sede locale. Queste sollecitazioni da parte dell’autorità nazionale di pubblica sicurezza (il ministro) e da chi deve far adottare le conseguenti linee operative (il direttore generale della pubblica sicurezza), hanno fatto titolare molti quotidiani come un invito a fare retate ed espulsioni senza andare troppo per il sottile, parlando di “svolte” nell’azione di contrasto all’immigrazione clandestina, di riapertura dei Cie da attivare in ogni regione, in alcuni casi da ricostruire. Sarà bene restare con i piedi per terra e non farsi troppe illusioni sul punto.
Vediamo perché partendo dalla considerazione che i Cie (Centri di identificazione ed espulsione) fanno stabilmente parte, da molto tempo, del nostro ordinamento (analogamente a gran parte dei paesi dell’ UE dove vengono indicati con altri nomi) e risultano indispensabili per una efficiente gestione dell’immigrazione irregolare. La finalità del trattenimento degli stranieri irregolari (il provvedimento è del questore ma va convalidato dal giudice di pace) è di rimuovere gli ostacoli che, transitoriamente, impediscono di eseguire i rimpatri, laddove ricorrano una o più delle seguenti condizioni :il rischio che la persona da allontanare si renda irreperibile;l’esigenza di accertare la sua identità poiché priva di passaporto; la necessità di acquisire un vettore di trasporto idoneo al rimpatrio. L’attuale capacità ricettiva dei quattro Cie operativi su tutto il territorio nazionale è di 360 posti.
Le “retate” che eventualmente si realizzassero in modo più accentuato, come sollecitato, per il rintraccio degli irregolari, porterebbero alla immediata saturazione dei Cie dove, nel frattempo, arrivano, quotidianamente, altri stranieri irregolari da varie regioni italiane rintracciati nei normali servizi di polizia. I Cie (attualmente sette centri sono chiusi, alcuni da anni, in parte per i gravi danneggiamenti subiti in occasioni di rivolte degli “ospiti”) inoltre, presentano sempre particolari criticità dovute essenzialmente alla forte eterogeneità degli status giuridici dei trattenuti e alla promiscuità delle persone presenti (ex detenuti, immigrati irregolari non ancora identificati, immigrati che restano sul territorio dopo la scadenza del titolo di soggiorno). La distribuzione degli stranieri nei Cie e la divisione di zone all’interno di tali strutture non tiene conto delle ragioni per cui gli stranieri sono presenti irregolarmente sul territorio. Non sono previste, ad esempio, distinzioni tra autori di reati e incensurati, tra stranieri irregolari senza occupazione né fissa dimora, tra familiari di immigrati regolari entrati irregolarmente in Italia per ricongiungersi, tra ex lavoratori che non sono riusciti a rinnovare il permesso di soggiorno e stranieri entrati irregolarmente ecc..L’unica divisione attuata all’interno di un Cie riguarda il genere. A tutto questo si aggiunga la turbolenza che può generarsi dalla convivenza forzata di persone di differente provenienza geografica.
Erano punti ben evidenziati nel rapporto Ruperto dell’aprile 2013, elaborato dopo la visita di una Commissione del Ministero dell’Interno (istituita dall’allora ministro Cancellieri, dopo le molteplici proteste sulle modalità di gestione dei centri) a tutti i Cie italiani. Si tratta, alla fine, ancora di problemi irrisolti sui quali, forse, bisognerebbe riflettere prima di lanciare operazioni di “bonifica” del territorio che appaiono, tuttavia, necessarie per migliorare la sicurezza pubblica nazionale.
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