Mafia e usura all’ombra del Barocco
La mafia salentina si inabissa e cerca di fare affari in silenzio condizionando l’economia del territorio. Tanto emerge dall’operazione di polizia denominata “Twilight”. L’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal GIP Cinzia Vergine su richiesta del Sostituto Procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce Alessio Coccioli, è ricca di contenuti che inducono a riflettere.
Il provvedimento custodiale, eseguito dai Carabinieri del Comando Provinciale di Lecce, ha colpito 23 soggetti (22 in carcere e uno agli arresti domiciliari) ritenuti responsabili a vario titolo di associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione di tipo mafioso finalizzata all’usura, all’estorsione aggravata, alle rapine, all’esercizio abusivo di attività finanziaria, al riciclaggio, alle truffe, allo sfruttamento della prostituzione e alla detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e altro. Ottantatré gli indagati a piede libero.
Il Nucleo Investigativo dei Carabinieri ha effettuato anche il sequestro preventivo di trentasei immobili (appartamenti, villette residenziali e terreni), quattro attività commerciali, un’autovettura, due società, due imprese individuali e circa trenta rapporti bancari. Questo patrimonio, accumulato illecitamente dalle famiglie mafiose dei Persano e dei Caroppo, ha un valore di circa dieci milioni di euro.
Le indagini affondano le loro radici in un’altra importante inchiesta, denominata “Shylock”, che ha accertato l’esistenza di un’associazione di stampo mafioso attiva nella provincia di Lecce, dedita all’usura, alle estorsioni e al riciclaggio.
Fondamentali le denunce presentate da un imprenditore vittima di usura e le dichiarazioni rese da Alfredo Scardicchio che ha deciso di collaborare dopo il suo arresto. Così nasce nel 2011 l’attuale procedimento che porta all’individuazione di diversi sodalizi mafiosi conviventi sullo stesso territorio in virtù di una pax che consente la divisione delle attività e dei proventi illeciti e permette di evitare conflitti che attirerebbero l’attenzione delle Forze dell’Ordine.
Le dichiarazioni di Scardicchio hanno fornito le prime prove dell’esistenza del gruppo mafioso costituito dai fratelli Fabio, Giuliano e Stefano Persano e dal cugino Oronzo, attivo anche in materia di usura ed abusivo esercizio di attività finanziaria. Sin dall’inizio emerge la figura di Ivo Venturi, odontotecnico leccese, buon conoscente dello Scardicchio.
Il Venturi, che era avvezzo alla pratica di “scambiare assegni”, aveva diversi conti intestati a sé e gestiva quelli di altri familiari. “La pratica di cambio-assegni risultava avallata dalla complicità del direttore della filiale Unicredit di Conversano, Orsini Maurizio”, si legge nell’ordinanza. La disponibilità del funzionario di banca che erogava credito pur in mancanza di acquisizione di garanzie reali veniva premiata con regali in natura e in denaro.
I Persano, facendo leva sul proprio nome e forti di un “tractatus” da “uomini d’onore”, hanno ottenuto la “compiacenza” di alcuni funzionari e impiegati di banca.
“In tal senso rilevano i contatti con le filiali del Banco di Napoli agenzia Lecce 2 e agenzia di Viale Gallipoli, talvolta integranti disponibilità ultronea rispetto a quanto ordinariamente concesso anche a clienti fidelizzati”, scrive il GIP Cinzia Vergine.
Le indagini hanno appurato l’esistenza di una cassa comune dell’associazione, gestita autonomamente dai Persano, alimentata con i proventi delle loro attività illecite e utilizzata anche per il mantenimento dei sodali detenuti.
I canali privilegiati per acquisire denaro liquido erano, quindi, i “circuiti bancari”. Dalle intercettazioni, però, emerge un altro sistema, parallelo a quello bancario, mediante il quale i fratelli Persano incassavano il denaro delle vittime, ovvero la società “Western Union” della cartoleria di Maurizio Marzo, “complice dei Persano anche nella pratica usuraria, con il ruolo di bancomat in favore dell’organizzazione, elargendo denaro da prestare alle vittime”. A tal fine i Persano facevano intestare i vaglia al sodale Mario Lagonigro.
Per evidenziare la caratura criminale della famiglia Persano è sufficiente ricordare che Oronzo Persano è stato condannato per associazione mafiosa con sentenza divenuta irrevocabile.
Dei Persano hanno parlato anche diversi collaboratori di giustizia; le loro dichiarazioni vengono ora rinforzate dalle indagini del Nucleo Investigativo che ha riscontrato i collegamenti della famiglia Persano con altri gruppi mafiosi del Salento in un rapporto di reciproco riconoscimento e accreditamento.
A tal proposito sono emersi i contatti con il clan dei fratelli Caroppo e con quello di Pasquale Briganti, detto Maurizio, entrambi attivi su Lecce e con quello di Luigi Sparapane di Galatina, tutti nomi storici della Sacra Corona Unita che oggi ha una struttura di tipo orizzontale che consente di definire la mafia salentina come un “network” di gruppi mafiosi.
Usura ed esercizio abusivo del credito non erano gli unici interessi dei Persano. Infatti Maurizio Persano (fratellastro di Fabio, Giuliano e Stefano) usava la sua attività di agente immobiliare per favorire la prostituzione. Non si può trascurare, inoltre, l’interesse del sodalizio per il traffico di sostanze stupefacenti.
Il gruppo Persano si occupava anche di riciclaggio di auto di lusso, come dimostrato dai contatti che intratteneva anche fuori provincia con Saracino Egidio Steven da cui i Persano, pur consci della provenienza delittuosa, acquistavano tranquillamente auto che poi reimmettevano nel circuito commerciale “legale”. Questa attività era legata all’usura. I Persano, infatti, avevano messo in atto un sistema basato sulle attività delle loro società “Auto Prestige”, “Auto Persano” e “Per Car” finalizzato alla gestione e copertura dei loro affari illeciti. In particolare avevano creato un complesso meccanismo per stringere i debitori nella morsa usuraria cambiando assegni post-datati su cui prelevavano un tasso d’interesse mensile del 10% circa; vendendo autovetture a quotazione di mercato con la consapevolezza che le persone in difficoltà economica, loro vittime, erano costrette a rivenderle subito ad un prezzo inferiore rispetto a quello d’acquisto perché avevano necessità di ottenere liquidità; acquistando autovetture dalle persone in difficoltà economica, anch’esse loro vittime, ad un prezzo inferiore rispetto alla quotazione di mercato che i venditori/vittime erano costretti ad accettare per monetizzare; vendendo autovetture a rate a persone che desideravano avere un’auto di lusso e alle prime scadenze non pagate, per sopraggiunte difficoltà economiche, erano costrette a subire le minacce dei Persano che tentavano di impadronirsi con la forza del mezzo venduto costringendo il cliente di turno ad entrare nel loro vortice usurario.
Un meccanismo che dimostra il nesso tra usura, vendita di autovetture e riciclaggio delle stesse.
È questo il complesso sistema criminale mafioso ordito dai Persano.
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