Non basta un “sì”: ma domenica è necessario
Saremo chiamati ad esprimerci attraverso il referendum sulla riforma della seconda parte della Costituzione, già approvata dal Parlamento, ma inevitabilmente il giudizio porta con se’ anche la valutazione sulla nuova legge elettorale, sottoposta per altro al sindacato della Corte Costituzionale. So che la prudenza argomentativa invita a tenere distinti i due temi, ma io non ho più tempo per le prudenze e quindi li terrò uniti, perché è indubbio che questi due testi traccino insieme un orizzonte omogeneo. Ed è questo orizzonte che va messo a fuoco ed è su questo orizzonte che bisogna decidere.
Mi piacciono questi testi?
Non mi entusiasmano. La riforma della seconda parte della Costituzione appare meno coraggiosa di come l’avrei voluta e quindi a tratti ostica. Io avrei abolito il Senato, rafforzando la Conferenza Stato-Regioni, con ciò evitando le complicazioni degli articoli 70 e seguenti, relativi al procedimento legislativo, che feriscono uno dei principi del costituzionalismo: almeno la Carta, che è il patto di convivenza fondamentale di ciascuno con tutti, deve essere accessibile alla lettura da parte di chiunque, perché nessuno si senta escluso. D’altra parte la nuova legge elettorale l’avrei preferita con i collegi uninominali, anziché con queste mini liste ancora troppo condizionate dai segretari di partito.
Mi preoccupano questi testi?
Certo che si. Il partito che vince le elezioni si ritroverà con un potere sostanziale, decisivo. Qualunque sia la volontà politica portata dal partito vincente, sarà senz’altro più netta la manifestazione in atti legislativi e di governo di questa volontà, con tutte le conseguenze del caso (positive e negative). I così detti “contrappesi” rappresentati anche da un rafforzamento degli istituti di democrazia diretta ci sono, ma per funzionare abbisognano di leggi successive, che potrebbero essere ritardate ad arte, così come quelle che imporrebbero maggiore trasparenza nella gestione delle lobby, dei partiti medesimi, delle primarie. Un’altra delle conseguenze prevedibili è la polarizzazione “Piazza-Palazzo”: chi vince governa, ma trovandosi addosso un dissenso sociale meno mediato, più impaziente, potenzialmente violento (e viceversa).
“Però” numero 1
In questa Italia marcia di corruzione endemica, dove proliferano gli “schettino”, i furbetti e i trasformisti, che grandi sofferenze causano al popolo tutto perché poi le navi si schiantano sugli scogli e le case sotto il terremoto; in questa Italia che ha spesso risolto i conflitti di potere non attraverso le meraviglie della Costituzione del ’48, ma più prosaicamente attraverso Portella della Ginestra, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Bologna, Capaci e Via D’Amelio (…), una riforma che metta al centro il principio di responsabilità nel processo decisionale mi pare igienica, benedetta, necessaria. Chi vince le elezioni, governa e indirizza l’attività legislativa, attraverso una archittettura istituzionale semplificata, soprattutto grazie al superamento del bicameralismo paritario. Chi perde si oppone e cerca di vincere al giro successivo. Senza che questo significhi che “il vincente fa ciò che vuole” (ovvero la dittatura della minoranza divenuta maggioranza): perché la nostra Costituzione resta rigida, il 138 Cost. intatto e le maglie del diritto europeo stringenti. Per questo a me della legge elettorale piacciono proprio il ballottaggio e il premio dato alla lista e non alla coalizione. “Eh, ma così vincono i 5 stelle!!” E allora? Almeno chiariscono quel che valgono. E se dovessero fare bene, meglio per il Paese. Chi ha paura di perdere (in politica), è bene che perda. All’Italicus, preferisco l’Italicum.
“Però” numero 2
In questa fase storica segnata dalla globalizzazione dell’economia di mercato, gli Stati nazionali non hanno più una capacità adeguata di governo. Non è questa riforma che rischia di consegnare l’Italia alle multinazionali: le nostre democrazie nazionali piccole ed inefficienti sono già perfettamente funzionali alla forza supernazionale di questi poteri reali. Chi pensa che la globalizzazione sia un’opportunità da vivere senza abbandonare la democrazia non può quindi che lavorare affinché da una parte nascano Repubbliche continentali capaci di stare al Mondo, con una forza negoziale in grado di trattare tanto con la Cina, quanto con la Apple e dall’altra vengano conseguentemente semplificati l’organizzazione e i processi decisionali nazionali. Insomma: noi abbiamo bisogno degli Stati Uniti d’Europa! La riforma della Costituzione va in questa direzione: è un passo necessario, anche se non sufficiente. Il resto è la politica che faremo dal “si” in avanti. La forza politica che in Italia più sta lavorando per andare in questo senso, il Partito Democratico, è anche la principale forza social democratica d’Europa, insieme alla SPD tedesca ed è la comunità politica che più promette di impegnarsi per questo duplice obiettivo: io ci scommetto. UK e “brexit”, Ungheria, Polonia, Austria, la Spagna, i travagli balcanici e quelli baltici, la guerra febbricitante in Ucraina e le terribili traversate del Mediterraneo, fino a Jo Cox e i giovani massacrati ad Utoya: tutto quello che vedo attorno a me mi fa pensare che soltanto investendo sulle migliori forze socialdemocratiche europeiste noi riusciremo a farcela (e a chi teme il “partito della nazione” con Verdini&C. mi permetto di dire: prendi la tessera del PD e vieni ad abitare il conflitto, contendo cm su cm).
Insomma: voto si, per poter continuare a cambiare, camminando verso questo orizzonte. Sapendo che dovremo correggere quel che non va ancora nella seconda parte della Costituzione e nella legge elettorale. Che dovremo realizzare al più presto quel che serve per far funzionale la riforma (gli istituti di democrazia diretta, le leggi elettorali regionali…). Che dovremo batterci duramente per fare un’Europa migliore.
*Deputato Pd
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