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La Commissione antimafia scelga la via dell’inchiesta

Di Norma Ferrara il . Sicilia

Solo qualche giorno fa nell’operazione che manda in carcere 24 affiliati al clan Madonia si scopre che nonostante il 41 bis un boss riesce ad impartire ordini a familiari e “reggenti”. Non solo. Il presidente della provincia nissena, sarebbe coinvolto nell’operazione per presunto scambio di voti. Stato, mafia e politica e strumenti legislativi per combatterli. Il punto con il senatore Beppe Lumia.

Dopo l’operazione contro il clan Madonia, ancora polemiche sul 41 bis. Strumento a favore dei mafiosi, anziché dello Stato?

Il 41 bis così com’è purtroppo è un privilegio per i boss mafiosi.  E’ già pronta in parlamento una nuova proposta, in discussione al disegno 733 sulla sicurezza. Si tratta di un 41 bis in grado di bloccare il flusso di comunicazione verso l’esterno e capace di affrontare un tema molto delicato che è quello della riapertura delle carceri nelle piccole isole. Mentre si parla di carceri superaffollate, li sono state chiuse solo le sezioni dedicate al 41 bis: una contraddizione gravissima.

Un 41 bis svuotato o fatto male, dunque?

Nato nel post – stragi sulla scia dell’emergenza, il 41 bis aveva un carattere emergenziale temporaneo. Era una misura che si articolava ogni sei mesi  impedendo cosi di fatto il ricorso davanti al giudice di sorveglianza,  Successivamente il 41bis divenne una norma ordinaria allungando i tempi da sei mesi ad un anno. I  giudici di  sorveglianza sono spesso intervenuti con interpretazioni  – come abbiamo  constatato in Commissione antimafia – troppo agganciate al dettato normativo, in sostanza favorevoli ai boss mafiosi. C’è di fondo un dato importante. Non devono essere questi giudici ad occuparsi del 41 bis, ma il giudice competente per il territorio di provenienza del boss mafioso. Inoltre non deve essere lo Stato a dimostrare che il mafioso non ha più rapporti con l’esterno, ma il contrario.

Non solo 41 bis …. da anni sentiamo parlare sempre delle stesse “famiglie”, per destabilizzare Cosa nostra serve anche altro. Cosa?

Inasprire le condanne. Pene basse infatti non destrutturano le organizzazioni. Non mettono in crisi l’aspetto economico “assistenziale”del mantenimento da parte delle famiglie verso i mafiosi. Sto preparando in questi giorni, un disegno di legge che considero il più dirompente che si possa presentare; aumenta tutte le condanne per reati di mafia, da 20 anni  in su, proprio con questo obiettivo. Solo mettendo insieme queste norme potremmo colpire in modo intelligente le organizzazioni mafiose per distruggerle e non solo per combatterle.

Proprio in questi mesi si è insediata la nuova Commissione Antimafia, presieduta da Pisanu. Come procedono i lavori?

C’è una importante novità. La norma di supporto necessaria a far nascere, in ogni legislazione, la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia quest’anno ha inserito fra gli obiettivi dell’attuale commissione: i rapporti mafia e politica, la necessità di fare chiarezza sugli anni delle stragi e  sul sistema delle collusioni economico – politiche con le mafie.  La commissione si trova dunque ad un bivio: può scegliere di utilizzare poteri d’inchiesta (simili a quelli della magistratura) per individuare queste responsabilità politiche. Oppure imboccare l’altra strada,  quella più scontata: elaborare documenti dando contributo tutto sommato ordinario, senza andare alla radice, limitandosi a dare indirizzi, per contenere le mafie e non per sradicarle. Ci stiamo battendo perché scelga la prima. Vedremo se c’è la volontà di farlo.

Lei ha appena citato alcuni “buchi neri” della nostra storia italiana, come gli anni delle stragi. Il procuratore Antonino di Matteo l’ha ribadito più volte: “ su D’Amelio è mancata la volontà politica di indagare sui mandanti esterni”. Lei concorda su questa dichiarazione?

Sono d’accordo con lui e aggiungo: il tema delle stragi ha avuto due limiti. Un primo limite interno alla magistratura stessa  e un secondo di ordine politico. Ci sono zone d’ombra che devono essere affrontate con gli strumenti dell’inchiesta istituzionale per giungere al giudizio politico capace di consegnare al Paese la verità sulle  responsabilità di cui si macchiarono esponenti politici di allora . Quelle che  portarono al passaggio fra la morte della Prima repubblica e la nascita della Seconda al fine di individuare quegli accordi, quei compromessi , grazie a cui le organizzazioni mafiose osarono  sfidare lo Stato non solo con l’obiettivo di punire i loro storici nemici ma di ricollocare Cosa nostra dentro le strategie e la vita democratica del Paese.

Pensa che la nuova commissione posso condurre un’inchiesta sui mandanti esterni delle stragi di Palermo?

Lo spero. La Commissione parlamentare antimafia deve imboccare la strada dell’inchiesta e deve dire al Paese che la lotta alla mafia è la prima delle priorità, intorno a cui raccogliere, questioni delicate in Parlamento e verso cui non lesinare risorse, dando alle istituzioni, politica, società civile e comunità internazionale, strumenti legislativi operativi e amministrativi per eliminare le mafie per puntare alla testa delle organizzazioni mafiose e disintegrarle.

Ci sono aree del Paese dove la sovrapposizione mafia e istituzioni è giunta a livelli ormai altissimi. Lei si è più volte occupato di denunciarle, soprattutto in relazione alla provincia di Messina. Qual è la situazione oggi sul versante siciliano dello Stretto ?

La situazione messinese presenta negli ultimi anni una novità. Sono  sempre più convinto che il “sistema barcellonese” (rif. al paese di Barcellona pozzo di Gotto (Me)) oggi sia in grado di condizionare tutta la provincia compresa la città di Messina.Questo è il punto vero dell’inchiesta che bisognerebbe produrre, per cui da anni mi batto, su cui ci sono tutta una serie di elementi ben chiari, noti, su cui mi appresto a richiedere l’ intervento della Commissione antimafia. Ritornerò a chiedere che si indaghi ancora sul Caso Alfano, sul Caso Manca, sul delitto Campagna e sul suicidio del prof. Adolfo Parmaliana. Tutti casi che hanno messo in luce il collegamento mafia e politica, mafia e massoneria, mafia apparati e che hanno consentito a Cosa nostra di tenere quei territori sotto un controllo ferreo.

Perché un paesino come Barcellona Pozzo di Gotto diventa strategico per Cosa nostra e contemporaneamente per l’intera politica nazionale?

Perché storicamente è stato il punto di confluenza delle più importanti organizzazioni mafiose. E’ stato scelto come base logistica per la grande latitanza per cui bisognava tenerlo sotto controllo ma in silenzio. Perchè le mafie locali sono sempre state abili a fornire supporto in quest’ottica proprio a Cosa nostra, palermitana e catanese, e alla ‘ndrangheta. Infine, non ultima, c’è stata una borghesia e una classe dirigente che per ottenere il potere e competere con gli altri territori della Sicilia ha utilizzato anche la mafia per legittimarsi, avere rilievo e forza. Questo ha portato Barcellona ai più alti livelli di controllo mafioso di affari politici ed economici. Non solo locali.

E’ stato annunciato proprio nella città del Longano, per la prima volta, la nascita di un movimento antimafia (collegato al gruppo Ammazzateci tutti_ Sicilia). A guidarlo una giovane ragazza di soli 17 anni. C’è voglia di reagire, finalmente a tutto questo, che ne pensa?

Si. Quando mi reco nella provincia e a Barcellona pozzo di Gotto, ai  dibattiti trovo sempre tanta gente dunque la voglia di partecipazione c’è. Questo lo reputo un segnale positivo su cui costruire un fronte antimafia più forte e più coeso.

 

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