Essere preti in Messico
Sempre di più il Messico si rivela essere un narcostato. Lo ricordiamo oggi, anniversario del rapimento e della sparizione dei 43 studenti di Ayotzinapa. Ci sono situazioni e dinamiche che per molti di noi, da quest’altra parte del mondo, sono difficili da comprendere. Come, ad esempio, quella delle famiglie delle persone scomparse (desaparecidos), che non possono nemmeno denunciare la sparizione dei propri cari perché molto spesso gli stessi funzionari e agenti di polizia sono al soldo dei narcotrafficanti e, invece di avviare indagini e ricerche, informano le stesse organizzazioni malavitose dell’avvenuta denuncia. E così la vita degli stessi familiari è messa in pericolo. In questo contesto le parrocchie e i loro pastori costituiscono una scialuppa di salvataggio e quindi si prende il coraggio di confidare al prete quel che è successo. A quel punto sarà lo stesso prete a farsi carico della denuncia che a volte avviene tramite i mezzi di informazione. Ieri Papa Francesco ha chiesto di pregare per la violenza di cui la popolazione messicana è vittima e per i tre preti che sono stati rapiti e uccisi nel corso dell’ultima settimana. Tempo fa un parroco messicano mi confidava che durante la messa, alla preghiera dei fedeli, una signora anziana ha levato la propria voce per pregare per un suo figlio che era stato rapito. Subito dopo di lei anche un’altra si è sentita incoraggiata a fare lo stesso e poi un’altra e poi un’altra ancora… Nessuna di loro aveva sporto denuncia e lo stesso parroco non era a conoscenza dei fatti avvenuti. Insomma quel che succede è che spesso la chiesa diventa un’oasi di speranza e spesso sono gli stessi preti a pagare con la vita.
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