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Informazione e terrorismo. Scuola Ucsi nel casertano

Donatella D'Acapito il . Campania

Scegliere la periferia per parlare di terrorismo. Non una periferia qualunque e non un incontro qualunque, ma tre giorni di formazione per i giornalisti a Casal di Principe.
“Il giornalismo investigativo ai tempi del califfo”: è questo il tema della seconda edizione della Summer School Ucsi di Caserta, organizzata dal 9 all’11 settembre in collaborazione con Agrorinasce, agenzia pubblica per la legalità che si occupa di dare una seconda vita ai beni confiscati alle mafie.
Una rivincita per questi territori, dove la presenza del Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Franco Roberti, o di Stefano Dambruoso – oggi questore della Camera e magistrato in aspettativa impegnato fin dalla prima metà degli Anni Novanta nelle inchieste sul terrorismo di matrice islamica, quando ancora la minaccia per l’Occidente sembrava lontana -, così come quella di Valerio Cataldi, inviato del TG2, o di Francesca Paci, inviata de “La Stampa”, significa stavolta non raccontare il brutto ma riprendersi un territorio per restituirlo alla cittadinanza. E questo parlando di temi tutt’altro che lontani, anche da Casal di Principe, come ricorda Rosaria Capacchione, giornalista e oggi senatrice anche lei presente alla tre giorni, che ben conosce questa terra.
E di questo ne è convinto Renato Natale, sindaco della cittadina casertana, che dice: “Questa è una terra che ha accolto i migranti, dove si vive e ci si impegna per l’integrazione. Un tempo Casal di Principe aveva dei padroni. Oggi, questi padroni, non ci sono più. Questa è la terra di don Giuseppe Diana. A lui, prima che venisse ucciso, ho promesso che il suo nome non sarebbe stato dimenticato. Bene, questo è il modo migliore per ricordarlo: siamo a Casale per fare formazione e non per altro”.
Molti gli aspetti affrontati: dalla necessità di una contronarrazione che si opponga alla strategia comunicativa messa in piedi dall’Isis, alla valenza dell’espulsione (misura amministrativa di prevenzione) in un paese come l’Italia, che ancora non conta molti cittadini di immigrati seconda generazione, fino all’anticipazione della soglia di punibilità per alcuni reati. E ancora: riflettere su come e quanto i media e i social abbiano fatto –tante volte loro malgrado- da cassa di risonanza agli atti terroristici messi in campo dal Daesh e come invece sia necessario riappropriarsi del compito di raccontare per mediare.
E poi vedere nelle parole del colonnello del Ros Giovanni Fabi o in quelle del dirigente reparto investigativo Polizia Postale Italiana Paolo Solimene l’impegno costante dei nostri gruppi di intelligence nel prevenire e sventare qualsiasi tipo di minaccia per il Paese. Impegno che, forte dell’esperienza specializzata che le forze di polizia hanno acquisito nel contrastare le mafie e altri reati associativi o di natura informatica, ha portato fino ad ora a risultati positivi e che forse viene troppo spesso sottovalutato dai più.
Gestire una minaccia costante informando correttamente e senza creare allarmismi implica il raggiungimento di un equilibrio. Un equilibrio che tocca ognuno di noi. “Dobbiamo chiederci: fin dove possono spingersi le indagini senza ledere la nostra riservatezza? – ha detto Franco Roberti nel suo intervento-. Va trovato un equilibrio fra le libertà costituzionalmente riconosciute del singolo e la necessità di garantire la sicurezza del Paese. Si dovrebbe intanto partire con il fidarsi dei nostri servizi di investigazione e del corretto uso che essi potranno fare delle informazioni che riguardano i cittadini”.
Il terrorismo ha aspetti concreti che riguardano tutti noi ancor prima di diventare catastrofe. Basta pensare alla questione dei migranti che non solo è un fenomeno che deve essere politicamente affrontato, ma che prima di tutto interroga le coscienze di ognuno di noi. Non ci sono risposte immediate per questioni così complesse e che abbracciano realtà sovranazionali. Franco Roberti ha ricordato quanto sia inutile pensare che l’introduzione di immigrazione clandestina possa rappresentare una giusta soluzione e non tanto perché ci sarebbero degli appesantimenti degli uffici giudiziari o per un surplus di costi che l’Italia non potrebbe sostenere: il reato di immigrazione clandestina sarebbe inutile anche e soprattutto perché le persone fermate si potrebbero avvalere della facoltà di non rispondere ed invece – per sconfiggere questa piaga – c’è bisogno che i migranti diventino testimoni contro chi organizza questi viaggi della speranza.
E come Roberti ha poi sottolineato l’importanza di fermare gli sbarchi per arginare il fenomeno della tratta di essere umani, colpendo chi si macchia di un reato e riuscendo ad aiutare queste popolazioni nei loro paesi, non può cadere nel vuoto la riflessione fatta da Valerio Cataldi: “Mentre ci chiediamo se sia giusto o meno aprire i confini – ha detto Cataldi – dobbiamo ricordarci che fermare gli sbarchi significa abbandonare quelle donne, quegli uomini, quei bambini al loro destino”. Significa spesso lasciarli alle torture e al rischio di morte.
Tre giorni di formazione e confronto, quindi, ma anche una occasione per riprendersi una città considerata periferia. Una scelta che – sottolineano Luigi Ferraiuolo, direttore della Summer School, e l’amministratore delegato di Agrorinasce, Giovanni Allucci – significa fare proprio l’appello fatto più volte da Papa Francesco di ricordarsi dei territori più difficili.
I Casalesi negli ultimi anni avranno anche ricevuto colpi duri, ma Casal di Principe continua a rimandare quell’immagine claustrofobica figlia dell’architettura che ha caratterizzato il suo sviluppo urbano. Un tratto ormai distintivo, fatto da strade strette e case che incombono da una parte e dall’altra della via. E poi scheletri di abitazioni sequestrate e muri alti, grezzi, ostentati, che stridono con il mondo che racchiudono.
Eppure quando le strade si animano tutto cambia. O almeno così almeno è sembrato quando i partecipanti della Scuola si sono diretti verso la parrocchia di San Nicola di Bari, quella di don Diana, quella dove ancora adesso si accolgono i migranti e si vive l’integrazione. Proprio come aveva iniziato a fare don Peppe.

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