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Legalizzazione della cannabis, troppa sottovalutazione

Piero Innocenti il . Senza categoria

Non sappiamo, naturalmente, quale potrà essere l’esito della proposta di legge parlamentare per legalizzare l’uso della cannabis che, sottoscritta da oltre duecento tra deputati e senatori, approderà per l’esame il prossimo 25 luglio nell’aula di Montecitorio. Benedetto Della Vedova, primo firmatario, attuale sottosegretario agli Esteri, è già particolarmente soddisfatto e lo sottolinea in una recente intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano del primo luglio scorso, parlando di “..politica proibizionista che ha fallito su tutta la linea..”, di vedere in questa iniziativa “..solo un Paese più moderno, libero, che offre maggiori diritti e tutele ai cittadini..” ribadendo quanto già detto in passato, e cioè che con la legalizzazione  “..si creano posti di lavoro ed entrate per lo Stato e, soprattutto si toglieranno miliardi di euro alle mafie”.
Di certo sarebbe stato meglio che, parlando di maggior occupazione e più entrate nelle esangui casse statali, si fosse fatto riferimento ad una lotta seria -che non si è mai vista- contro la corruzione e l’evasione. L’erario ne avrebbe tratto maggiori benefici. Ma tant’è. D’altronde, va ricordato, la nostra ricchezza nazionale dipende anche dai generosi “contributi” che provengono dai narcotrafficanti, dagli sfruttatori della prostituzione e dai contrabbandieri di sigarette. Già più volte è stato sottolineato come la guerra alla droga nel mondo sia stata fallimentare nonostante le molte battaglie vinte da forze di polizia e magistratura. Ma è stato anche più volte detto che nuove politiche antidroga nazionali debbono essere adottate nel quadro di un concerto internazionale richiedendo, con le procedure previste, modifiche, ritocchi, alle Convenzioni Onu del 1961, del 1971 e del 1988 che riguardano il tema. Punto, questo, che non è stato preso in considerazione nella recente sessione speciale delle Nazioni Unite (19/21 aprile 2016) in cui si è ribadito che le tre Convenzioni restano “la pietra angolare del sistema di controllo delle droghe” e che anche innanzi a “sfide nuove e in evoluzione esse prevedono una sufficiente flessibilità per gli Stati di progettare e attuare politiche nazionali sulle droghe secondo le loro priorità ed esigenze”. In questa cornice il dibattito sulla legalizzazione, in particolare della cannabis, che va avanti da anni, dovrà proseguire.
In Italia, nel settembre del 200 la Commissione Igiene e Sanità del Senato, sotto la guida dell’allora Presidente Francesco Carella, aveva svolto una relazione a seguito di una indagine conoscitiva sulle modalità e sui risultati degli interventi per la lotta alle tossicodipendenze adottati nel nostro Paese, nonché sulle principali esperienze straniere (in particolare Amsterdam, Francoforte sul Meno, Zurigo, Lisbona, Madrid). Un atteggiamento di maggiore tolleranza sociale ( i coffeeshop olandesi) verso le droghe leggere in quei contesti non era stato del tutto convincente e legittime riserve etiche erano state espresse anche nei confronti dei progetti di distribuzione controllata di eroina ( attraverso le safe injection rooms) adottate in Svizzera, Germania,Olanda e Spagna. Iniziative che avevano dato impulso anche al cosiddetto drug tourism con giovani ( e meno giovani) diventati pendolari verso i suddetti paesi. Quando ci si è accorti che la situazione stava degenerando si è tornati alla repressione, sia pure con modalità meno dure. Come, per esempio, è accaduto alcuni giorni fa nel quartiere Christiana di Copenaghen, dove la polizia ha dovuto fare ripetuti interventi per interrompere l’imponente spaccio di droghe leggere che si svolgeva alla luce del sole. Preoccupazioni non minori nel nostro Paese dove quotidianamente, in moltissime città, i fatti di cronaca che riguardano le droghe in genere rappresentano una realtà di grave impatto sociale. Così leggiamo di tre minorenni arrestati mentre confezionavano dosi di marijuana nella casetta per giochi di una villa comunale di Ragusa agli inizi di luglio; di due giovani spacciatori marocchini che sugli arenili di Castelporziano e Capocotta (Roma) offrivano hashish, marijuana e cocaina ai bagnanti; di un “bravo ragazzo” appena diciottenne che a Massa Carrara preparava le dosi di hashish in casa per andarle a venderle dietro l’angolo. Per non parlare dell’imprenditore straniero che a Milano, in momentanea difficoltà, nei ritagli di tempo, si dedicava al commercio di una trentina di chilogrammi di hashish, mentre a Rocca di Papa (Roma) e nelle zone boschive di Reggio Calabria la Polizia di Stato sequestrava una piantagione di marijuana in una villa (ben 40 quintali) e oltre settemila arbusti di cannabis. Quantitativi di stupefacenti che vanno a sommarsi alle oltre 27 tonnellate sequestrati dalle forze di polizia al 30 giugno del 2016, in gran parte hashish e marijuana, e che sono un segnale di come vada avanti quel processo di “narcotizzazione” del Paese che meriterebbe un’attenzione maggiore di quella riservata da alcuni anni a questa parte.

Riciclaggio e narcotraffico

 

 

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