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Brindisi, sgominato clan di narcotrafficanti

Antonio Nicola Pezzuto il . Puglia

I Carabinieri del Comando Provinciale di Brindisi hanno sgominato un sodalizio criminale dedito al traffico di sostanze stupefacenti. L’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal GIP del Tribunale di Lecce su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, ha colpito 10 persone (8 in carcere e 2 ai domiciliari), accusate di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e, a vario titolo, di plurime cessioni continuate di sostanze stupefacenti ed estorsione aggravata dalle finalità mafiose. Contestualmente sono state eseguite 48 perquisizioni domiciliari nei confronti di soggetti non destinatari di misura cautelare.  

L’indagine, condotta dal Nucleo Operativo e Radiomobile dei Carabinieri della Compagnia di Brindisi, prende il via con l’arresto in flagranza per spaccio di Angelo Lobuono avvenuto il 24 maggio 2012. L’uomo era stato trovato in possesso di 13 grammi di cocaina, di un bilancino di precisione, di 2000 euro in contanti e di una pistola a salve con 4 cartucce.

Grazie alle numerose intercettazioni telefoniche e ambientali e ai numerosi servizi di osservazione, gli investigatori sono riusciti ad acquisire molteplici e gravi elementi indiziari che hanno consentito di delineare la struttura di un’articolata organizzazione criminale. Il sodalizio, attivo nelle province di Brindisi e Lecce, era capeggiato da Giuseppe Perrone, alias “Barabba” e poteva contare su una considerevole disponibilità economica e di armi. Tutto ruota intorno al Comune di Torchiarolo, piccolo centro della provincia di Brindisi, popolato da poco più di 5000 anime. È qui che i narcotrafficanti avevano la loro sede operativa da cui dedicarsi al traffico di cocaina e marijuana. Altra figura apicale dell’associazione è Maurizio Maiorano, uomo di fiducia di Perrone, anche lui di Torchiarolo. Gli altri componenti del clan raggiunti dall’ordinanza sono: Luca Lorfei, Paolo Golia, Massimiliano Lasalvia, Maurizio Lasalvia, Giovanni Maiorano, Francesca Perrone e Gianluca Maiorano. Quest’ultimo aveva messo a disposizione la sua officina meccanica “Maiorano”, ubicata sempre a Torchiarolo, come base logistica ed operativa dell’organizzazione. Andrea De Mitri, invece, è l’unico arrestato a cui non è stato contestato il reato associativo ma l’accusa di aver commesso plurime e continuate cessioni di cocaina.

Nel corso delle indagini sono stati sequestrati complessivamente 1,5 kg. di cocaina e 1 kg. di marijuana, accertati oltre 600 episodi di spaccio di sostanza stupefacente, arrestate in flagranza 4 persone e segnalate alle competenti autorità prefettizie, quali assuntori, 350 individui. Per l’inchiesta è stato importante l’arresto di Paolo Golia, avvenuto a Lecce il 27 febbraio 2013, perché, oltre a permettere il sequestro di 613 grammi di cocaina, ha consentito di appurare la disponibilità di armi da parte del clan. Infatti, il Golia era stato trovato in possesso di una pistola Smith & Wesson 357 magnum con matricola abrasa e 12 proiettili.

Giuseppe Perrone, leader del gruppo, e Paolo Golia sono anche accusati di estorsione aggravata dalle modalità mafiose. Più precisamente sono due gli episodi contestati al Perrone che con metodi violenti si è impossessato di due autovetture sottratte ai legittimi proprietari come pagamenti di partite di droga. Al secondo episodio ha preso parte anche il Golia. Tra gli arrestati solo Francesca Perrone e Andrea De Mitri sono ai domiciliari.

Il sodalizio era dotato di una struttura gerarchica all’interno della quale ognuno aveva ruoli e compiti ben definiti. Perrone e i suo sodali, grazie a una notevole disponibilità finanziaria, erano riusciti a conquistare un’ampia fetta del mercato locale degli stupefacenti. Per approvvigionarsi erano in grado di predisporre mezzi e risorse per acquistare grosse partite di sostanza stupefacente spostandosi nella provincia di Andria e adottando cautele particolari al fine di eludere il controllo delle forze di polizia.

Gli indagati, temendo di essere intercettati, durante le conversazioni utilizzavano altri termini per fare riferimento alla sostanza stupefacente. “Cosa” per indicare la cocaina, “Erba” per indicare la marijuana, “A” o “B” per indicare la qualità dello stupefacente. “Minuti”, “Tavoli”, “Persone”, “Dito o Dita”, “Zio”, “Cugino”, “Cugina” per indicare il quantitativo dello stupefacente.

L’elevato grado di organizzazione e professionalità dell’associazione criminosa era testimoniato anche dal fatto che i partecipi disponevano di diversi tipi di sostanza stupefacente che commercializzavano imponendo il loro prezzo.

“No questa non la tiene nessuno questa mattina l’ho aperta…di quella la tengono…un altro paio di amici miei vanno forti con quella…è buona forte, forte, forte…è micidiale”, diceva Perrone per rivendicare l’esclusiva sul mercato.

Il clan disponeva di luoghi di occultamento della sostanza stupefacente. In più occasioni gli indagati si davano appuntamento in tarda serata in un casolare situato in agro di Squinzano nei pressi del quale nascondevano la sostanza stupefacente che per cautela evitavano di custodire all’interno delle loro abitazioni. In particolare, dal contenuto delle conversazioni intercettate il 4 marzo 2013, emergeva che Maurizio Maiorano, Sebastiano Esposito e Giampiero Alula, su sollecitazione di Giuseppe Perrone, si davano appuntamento in questo luogo convenzionalmente indicato come quello “dove rubano le olive”.

Il sodalizio disponeva di una sorta di scrittura contabile in cui venivano annotati i nomi degli acquirenti e gli importi di denaro di volta in volta versati o ancora dovuti. Questo viene comprovato da alcune conversazioni avvenute il 3 gennaio 2013 tra Luca Lorfei e la moglie Marinella Tondo circa la custodia di alcuni “quaderni”, inizialmente indicati da Lorfei come “libro”, a lui affidati dagli altri sodali. L’uomo chiedeva di occultarli presso l’abitazione del nonno. La preoccupazione mostrata dalla donna rispetto alle richieste del marito e la scelta del luogo certamente insospettabile per le forze di polizia fanno pensare che si trattasse di un documento molto importante per l’attività criminosa del gruppo. Quanto fosse rilevante la tenuta di questo libro per il clan è appurato anche dal particolare interessamento mostrato da Perrone riguardo alle modalità della sua custodia di cui chiedeva conto a Maiorano. Le intercettazioni evidenziano come il Perrone, saputo che il libro era nella disponibilità di Lorfei, si preoccupava che questi non lo tenesse per sé per eludere eventuali controlli che potessero smascherare i traffici del gruppo.

La caratura criminale degli indagati viene valorizzata dal fatto che essi disponevano di diverse armi. Tanto emerge dalle intercettazioni e, soprattutto, dall’arresto di Paolo Golia.

Giuseppe Perrone era a capo dell’organizzazione criminosa, gli altri dovevano soggiacere ai suoi ordini in merito all’organizzazione e gestione del commercio di sostanze stupefacenti. In una conversazione, Perrone, che era sottoposto alla misura della detenzione domiciliare, pretendeva la consegna degli introiti delle attività di spaccio da parte dei gregari, sollecitando Gianluca Maiorano con tono autoritario, ad impegnarsi nell’attività di recupero crediti poiché lui, a causa della loro inerzia, si trovava in una situazione di ristrettezza economica rispetto al passato in cui, invece, aveva avuto una vita agiata. Perrone veniva indicato con il pronome “Lui” dai suoi sodali durante le conversazioni, al fine di evitare riferimenti espliciti alla sua persona che poteva cadere nella rete degli inquirenti. Anche questo particolare dimostra che all’interno dell’associazione criminale ricopriva un ruolo di leader. Inoltre, svolgeva anche personalmente l’attività di recupero crediti ricevendo presso la propria abitazione gli acquirenti debitori.

Interessante notare, a supporto della tesi dell’esistenza del vincolo associativo, lo spirito solidaristico che lega gli associati nel perseguimento del comune interesse costituito dalla realizzazione di guadagni ingenti con il commercio della droga. A tal proposito, è bene evidenziare che in più occasioni sono state appurati reciproci scambi di sostanza stupefacente tra gli indagati quando qualcuno tra loro ne è rimasto temporaneamente sprovvisto. Questo al fine di impedire che si fermasse l’attività di spaccio.

Infine, occorre rilevare come alcuni acquirenti non erano meri assuntori di sostanza stupefacente ma a loro volta cedevano a terzi la droga acquistata da Perrone e dai suoi sodali. Tanto emerge dalle indagini, per cui, per evitare il pericolo di reiterazione criminosa è stata avanzata richiesta di misura cautelare nei confronti di taluni acquirenti-venditori.  

 

Antonio Nicola Pezzuto

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