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Pippo Fava e il coraggio di informare

Di Franco Siddi il . Interviste e persone

Venticinque anni dopo la
lotta alla mafia chiede ancora uomini e donne per bene che credono e
vivono nella legalità, che raccontano gli orrori e i misfatti senza
peccati di omissione, senza complici reticenze. Venticinque anni dopo
l’assassinio di Pippo Fava, giornalista e scrittore ucciso dalla mafia,
il ricordo di una tragedia tanto grande non si cancella con il silenzio
o per gli effetti del tempo che passa. La memoria deve rivivere in un
rinnovata testimonianza, nella professione, nel lavoro, nella vita di
tutti i giorni perché la necessità di combattere la mafia e la
criminalità organizzata, di stare dalla parte della legalità
,democratica non è cessata.

Ricordare Pippo Fava significa
rievocare un grande dolore, in primo luogo per la famiglia e per chi
più gli era vicino nella condivisone di un’azione civile, ma
soprattutto ha un senso se non si cede alla tentazione del silenzio.

Fare
informazione sulla mafia, sulla camorra, sulla criminalità organizzata
è faticoso ed è ancora rischioso. Lirio Abbate e Rosaria Capacchione,
due giornalisti costretti, in Sicilia e in Campania, a vivere sotto
scorta e decine di colleghi, spesso free lance malpagati, che operano
nelle frontiere dei territori maggiormente sotto pressione delle mafie,
sono il segnale di quale sia l’esposizione al pericolo di chi fa il
proprio dovere; di chi racconta i fatti e i misfatti, di chi voglia
fare il giornalista come si conviene. C’è bisogno più di ieri di
giornalismo rigoroso e concreto, che informa senza indulgenze per
chicchessia; c’è bisogno di una fatica collettiva rinnovata per far
emergere il valore della legalità costituzionale e democratica, del
rispetto delle opinioni attraverso una conoscenza fondata su
un’informazione piena e libera, base primaria di un’opinione pubblica
consapevole.

C’è chi indulge a rifugiarsi nei cantoni della
propria convenienza, che perciò sceglie di essere accondiscendente
verso i manovratori di turno, chi sceglie di non vedere e di non
sentire. Un quarto di secolo dopo l’assassinio di Pippo Fava
continuiamo a considerare, queste. cattive pratiche; un morbo, per
fortuna non un’epidemia, da estirpare con rinnovata fatica civile prima
ancora che professionale.

Il Sindacato dei giornalisti, la
Federazione Nazionale della Stampa Italiana, per storia e natura è
resta su questa frontiera. Ricordando Pippo Fava e con lui tutti i
giornalisti caduti per mano di mafia e criminalità organizzata è il
caso di rilanciare, anche agli editori e alle istituzioni, la portata
di un impegno: raccontare e far conoscere ancora di più  le cose che
contano per la vita di ciascuno, per la libera convivenza delle nostre
comunità, per la libertà e il diritto del lavoro, dell’istruzione,
della salute. Stare dalla parte della legalità, per i giornalisti,
significa stare dalla parte per cui non solo, nell’autonomia delle
scelte ideali di ciascuno, non solo è lecito ma è diverso per tutti
schierarsi.

Ricordando una vittima di mafia come Pippo Fava, si tratta di non fare, quindi, semplice celebrazione della memoria.

E
il ricordo migliore, allargando il ragionamento agli editori, è quello
di dare valore, di premiare  chi racconta l’Italia che c’è, così com’è,
così come l’ha osservata, non chi la racconta omettendo nomi e cognomi.

da Articolo21

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