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Il ruolo di Messina Denaro nella “cupola” palermitana

Di Rino Giacalone il . Sicilia

C’era lo «zio Franco», al secolo Franco Luppino di Campobello di Mazara, a tenere i rapporti tra i mafiosi che volevano riorganizzare la «cupola» della provincia di Palermo (arrestati dai Carabinieri nel maxi blitz «Perseo») e il capo mafia belicino, il super latitante di Castelvetrano Matteo Messina Denaro. Era questo «zio», forse lo stesso che frequentava il covo di Giardinello dove sono stati trovati i boss Lo Piccolo, ad avere tra le mani un filo di collegamento tra i palermitani e il boss di Castelvetrano. «Matteo vi manda a salutare» è stato sentito dire il bagherese Pino Scaduto (tra gli arrestati), che con Messina Denaro si sarebbe raccordato «per corrispondenza» (con i pizzini) e che invece con l’«intermediario», lo «zio Franco» si incontrava, così come facevano altri due palermitani, Sandro Capizzi e Giovanni Adelfio (anche loro in manette).

I carabinieri li hanno sentiti parlare di Matteo: «Il discorso parte da là….da Castelvetrano…dobbiamo creare qualcosa in armonia». Messina Denaro oltre ai saluti avrebbe mandato a dire anche altro: «Ognuno si deve guardare le sue cose, ma se volete “noi” siamo a disposizione»; che in pratica significa che in questo capitolo della storia mafiosa palermitana «è stato lui, (Messina Denaro ndr) a decidere di non entrarci». Ma un fatto è non «mettere mano nella riorganizzazione mafiosa palermitana» e un’altro e non interessarsene del tutto. Il boss del Belice è fuori dalle «logiche» del nuovo potere mafioso palermitano ma non tanto da non fare conoscere il suo pensiero sulla «nuova cupola»: «Rispettate i figli di chi è in galera e rispettate quelli che sono in galera».

Due operazioni antimafia nel giro di otto giorni tra Trapani (Cosa Nostra resort) e Palermo (Perseo), ad opera di Polizia e Finanza la prima e Carabinieri la seconda, hanno svelato le «facce» e le intenzioni delle organizzazioni mafiose nella Sicilia Occidentale. Se a Palermo Cosa Nostra cerca di trovare nuovo assetto, a Trapani la mafia c’è ed è viva e vegeta, «costituisce un blocco monolitico» assoldato a Matteo Messina Denaro come hanno messo in evidenza magistrati, come il procuratore aggiunto Roberto Scarpinato e investigatori come il capo della Mobile Giuseppe Linares.

La mafia trapanese ha i boss che dal carcere continuano a comandare, riescono a passare gli ordini, a gestire appalti e forniture, a veicolare finanziamenti pubblici a favore delle proprie aziende, a tenere a bada politici e a corrompere funzionari per intascare i fondi delle 488, a gestire le false fatturazioni, a parlare attraverso internediari con prefetti. A Trapani la mafia non ha convenienza a fare le estorsioni, meglio le imposizioni nelle forniture, cemento, ferro e sabbia, materiali inerti, la mafia è oramai una «holding» imprenditoriale.

A Palermo le indagini antimafia fino ad ora non hanno intaccato poteri pubblici, funzionari, non si scoprono appalti pilotati, il «terzo livello» nel capoluogo dell’isola resta inviolato. A Trapani questo è successo e resiste semmai l’incredulità di tanti quando si scopre il coinvolgimento di politici e professionisti. Palermo vive di estorsioni ai commercianti, traffica in droga e non ha leadership mafiosa, Trapani è saldamente in mano a Messina Denaro che è boss riconosciuto anche da quei mafiosi della vecchia mafia nel frattempo tornati liberi. Un «potere» che non si discute e che non ha bisogno di «grandi summit» quello di Messina Denaro circondato da diversi complici. Le ultime indagini antimafia trapanesi lo hanno certificato.

A Trapani Matteo Messina Denaro comanda le 17 «famiglie», ha posto il pacecoto Francesco Pace a capo della «cupola» di Trapani. La mafia trapanese ha cambiato pelle e al posto degli uomini d’onore ci sono i «colletti bianchi» che hanno anche il compito di rendere la mafia sommersa, che così dalle stragi è passata al controllo degli appalti. Gli ultimi interessi dicono sono per i lavori pubblici per le grosse condotte idriche. Su un altro bisogno della gente, quello di avere l’acqua nelle proprie case, i mafiosi sono pronti a mettere le loro mani.

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