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Duro colpo alla Sacra Corona Unita Squinzanese: ma sarà veramente “l’ultimo atto”?

di Antonio Nicola Pezzuto il . L'analisi

Déjà Vu – Ultimo Atto. Questo il nome dell’ultima operazione dei Carabinieri del Comando Provinciale di Lecce coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia. Al centro delle indagini, ancora una volta, i clan della Sacra Corona Unita del Nord Salento. Riflettori puntati, in particolare, sul Comune di Squinzano.

Uno sforzo enorme quello che stanno compiendo gli investigatori, non sempre adeguatamente supportati dai cittadini come evidenziato dal Procuratore Capo Cataldo Motta: «Questo è il terzo tentativo per riportare la legalità a Squinzano. È un territorio controllato dalla famiglia Pellegrino. Ci sono imprenditori intimiditi o contigui per scelta che, in alcuni casi, decidono spontaneamente di fare il cosiddetto “pensiero”, donando denaro o oggetti senza neanche aspettare la richiesta del criminale». Un rischio di assoggettamento totale che può sfociare nell’assuefazione o, peggio ancora, nel consenso sociale.

«L’assuefazione rappresenta un rischio concreto e gravissimo perché potrebbe sfociare nel consenso sociale. Se dovesse verificarsi questo, non avremmo più la possibilità di conoscere per intervenire e reprimere», afferma deciso e perentorio Motta.

Parole durissime quelle del Procuratore. Parole che rappresentano un ultimatum nei confronti di una comunità che sembra non voler affrontare in maniera seria e adeguata il problema. Una comunità che, purtroppo duole dirlo, dà l’impressione di voler spostare l’attenzione dal problema con improbabili e maldestre operazioni di maquillage. La gravità della situazione è descritta nelle tre ordinanze emesse nel giro di pochi mesi dalla magistratura. Basta leggerle e studiarle per rendersi conto che i tentacoli della Scu stanno soffocando il tessuto economico e sociale della Città.

«Almeno lo ringrazi, ti ha voluto fare un “pensiero” estivo, mi ha dato un orologio», è il contenuto di una conversazione dei fratelli Pellegrino che facevano riferimento a un gioielliere che regalava loro un orologio.

Altri episodi contenuti nelle ordinanze parlano di commercianti “invitati” a fornire gratis indumenti al Pellegrino.

Uno dei fatti, che meglio evidenzia l’”autorevolezza” della famiglia Pellegrino sul territorio, si verifica il 5 marzo 2011. Accade che Antonio Pellegrino, alias Zu Peppu, segnala ai Carabinieri il tentativo di effrazione della sua autovettura. I militari si accorgono di un biglietto che il Pellegrino aveva lasciato sul parabrezza per scongiurare eventuali e ulteriori azioni di questo tipo. «Suntu lu Zu Peppu la machina è mia». Questo c’era scritto su quel pezzo di carta, «spendendo senza mezze misure la forza d’intimidazione derivante dal suo appellativo ormai ben noto in zona», recita l’Ordinanza. E ancora, si riscontra forte la presenza dei Pellegrino nell’azione di “recupero crediti” per conto di persone a loro vicine e l’interessamento per il settore delle bische clandestine, delle aste giudiziarie e per il mondo del calcio. Episodi di evidente sottomissione degli imprenditori sono citati nelle carte della magistratura che evidenziano la “capacità della famiglia Pellegrino di infiltrarsi nel tessuto amministrativo e politico del Comune di Squinzano”.

Esemplare, in tal senso, «l’occupazione illegittima di un alloggio IACP sul falso presupposto dei problemi di salute della madre, grazie al “morbido” e “succube” benestare degli organi comunali». Chiara e significativa la dichiarazione di un vigile: «Antonio Pellegrino diceva che aveva una lista di case… aveva verificato personalmente che erano vuote… aggiunse che dovevamo prodigarci per trovare fra quelle indicate una casa che lui stesso avrebbe occupato… disse testualmente: una casa per me deve comunque uscire!».

Sull’effettivo potere dei Pellegrino si è espresso il collaboratore di giustizia Ercole Penna, ritenuto attendibile dai magistrati: «… Ricevetti le doti di “sgarro” e di “santa” e al “movimento” partecipò Antonio Pellegrino… con riferimento alla zona di Squinzano, da circa 20 anni conosco la famiglia di Zu Peppu… da allora i nostri rapporti non si sono mai interrotti e ad alcune doti di rialzo hanno partecipato anche i Pellegrino… nel 2000 Tonio Pellegrino si affiliò a Grasso di Surbo schierandosi contro Toma… il clan dei Pellegrino è molto rispettato in quell’area, lo paragonerei al rispetto che su Mesagne nutrono per noi… nel tessuto imprenditoriale e nell’amministrazione comunale si muovono come meglio credono… nel momento in cui dovessero aver bisogno di denaro, sanno di poter contare su numerosi imprenditori che si mettono a loro disposizione… in più circostanze Pellegrino Antonio mi ha ribadito che vuole che Squinzano sia tranquilla e tutti stiano bene in modo da farsi apprezzare ed ottenere il riconoscimento del loro ruolo sul territorio…».

Uso i virgolettati per riportare fedelmente quanto contenuto nell’Ordinanza affinchè il lettore si renda conto che ciò che scrivo non è frutto di fantasia e di improbabili soffiate ma il risultato di un lungo e duro lavoro portato avanti in sinergia da forze di polizia e magistratura.

In tutto sono tre le operazioni antimafia che hanno interessato il Comune nord salentino: la prima, “Vortice – Déjà vu”,  eseguita l’11 novembre 2014, la seconda, “Paco” dello scorso 15 gennaio, la terza, la più recente in ordine di tempo, del 24 marzo scorso, “Déjà vu – Ultimo Atto”.

Queste tre inchieste hanno appurato l’esistenza sul territorio Squinzanese di tre clan affiliati alla Sacra Corona Unita: quello dei fratelli Pellegrino, quello di Sergio Notaro e quello facente capo a Marino Manca.

Questi sodalizi, che tenevano sotto scacco l’intero territorio, sono stati indeboliti da lotte intestine che hanno facilitato l’intervento delle forze dell’ordine. L’operazione “Paco” aveva documentato gli attriti interni al clan Notaro con affiliati che avevano deciso di ribellarsi allo strapotere del presunto boss.

L’indagine “Déjà Vu – Ultimo Atto”, invece, nasce nel 2012 e descrive il contrasto tra il gruppo di Sergio Notaro e quello di Marino Manca. Undici le ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Gip del Tribunale di Lecce, Carlo Cazzella, su richiesta del Pubblico Ministero Giuseppe Capoccia. Agli indagati vengono contestati, a vario titolo, i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e porto abusivo di armi da guerra, estorsione, lesioni gravi e minaccia aggravata. Il blitz è stato eseguito dagli uomini del Reparto Operativo guidati dal Colonnello Saverio Lombardi, da quelli del Nucleo Investigativo, coordinati dal Capitano Biagio Marro, dai militari della compagnia di Squinzano diretti dal Maresciallo Giovanni Delli Santi insieme ai colleghi della Compagnia di Campi Salentina del Maggiore Nicola Fasciano.

La prima azione di fuoco che attira l’interesse degli investigatori si verifica l’8 settembre del 2012.  Un agguato in piena regola che aveva come obiettivo Marino Manca e il suo sodale Luca Greco. Un duplice omicidio che non si è concretizzato per l’inceppamento dell’arma utilizzata. Marino Manca approfittando del cattivo funzionamento della pistola riuscì a fuggire, mentre Luca Greco fu aggredito con un coltello e rimase gravemente ferito. Secondo la Procura, gli esecutori materiali dell’attentato furono Salvatore Milito e Michele Intermite, condannati nello scorso aprile dal Gup Simona Panzera rispettivamente a 18 e 17 anni di carcere. L’accusa sostiene che i mandanti siano Sergio Notaro e il trafficante internazionale di stupefacenti Cyril Cedric Savary, all’epoca dei fatti molto attivo sul territorio.

Da allora cominciarono una serie di episodi di fuoco e ritorsioni varie tra i due gruppi.

L’arresto di Marino Manca consentiva agli inquirenti di avviare un’intensa e proficua attività d’intercettazione in carcere che consentiva di scoprire l’esistenza del clan mafioso dedito al traffico di sostanze stupefacenti.

Le indagini hanno appurato che gli affiliati di maggiore spessore erano Roberto Napoletano, Marco Greco ed Emiliano Vergine. Durante il periodo della detenzione in carcere, Manca faceva riferimento a loro tramite la convivente Alessandra Amira Bruni per la gestione delle attività criminali.

In particolare, Manca si avvaleva della collaborazione di Roberto Napoletano che, con atteggiamenti tipicamente mafiosi, controllava il territorio e si occupava del recupero crediti nei confronti degli acquirenti delle sostanze stupefacenti il cui traffico costituiva la principale fonte di guadagno del clan.

Contrasti si riscontrano anche tra il gruppo di Marino Manca e un gruppo di Torchiarolo. Dissidi nati per il controllo del territorio e “per il mancato pagamento di qualche fornitura di droga” da parte di Marco Greco. Si susseguono azioni intimidatorie come gli spari contro la masseria di Roberto Napoletano e il ferimento del torchiarolese Giuseppe Ricchiuto. Insomma, una vera e propria guerra di mafia che solo per pura casualità non ha mietuto vittime.

Questo articolo è solo l’estrema sintesi di quello che è successo negli ultimi anni a Squinzano e cerca di spiegare quanto sia problematica la situazione di questo territorio soprattutto in un momento di forte crisi economica.

Chi si affanna a dimostrare che nulla o poco è accaduto compie un’opera di disinformazione di cui deve assumersi la piena responsabilità. Le carte processuali parlano chiaro. Chi vuole rimanere indifferente è libero di farlo ma nessuno si meravigli se, fra qualche tempo,  si scoprirà che questo non era, purtroppo,  “l’ultimo atto”.

(27 marzo 2015 )

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