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Barconi cercansi per traffico di persone

di Piero Innocenti il . L'analisi

Nell’aprile dello scorso anno, avevamo accennato al paziente lavoro di intelligence di alcuni analisti della Polizia di Stato, nel cui rapporto si parlava della ricerca affannosa di barconi in legno da parte dei trafficanti di persone che gestiscono il “servizio” in territorio libico. Un paio di giorni fa, infatti,  alcuni uomini armati  hanno costretto l’equipaggio di una nostra motovedetta, che, a ridosso delle coste della Libia, aveva soccorso dei migranti, a lasciare nelle loro mani l’imbarcazione. E’ la conferma di questa esigenza del recupero di mezzi, anche malridotti, da riutilizzare per soddisfare, in tempi brevi, una domanda in forte crescita. Tutto ciò in relazione anche all’aggravamento della situazione di guerra civile, in un paese allo sbando, e alla ipotizzata spedizione militare internazionale, sollecitata dall’Italia, che vede più vicina e concreta la minaccia dell’Isis, già presente in alcune città libiche della costa. I barconi sono diventati, dunque, con il passar degli anni, beni preziosissimi ( da ricordare che sono stati centinaia quelli abbandonati in mare alla deriva dopo i soccorsi) e sempre più difficili da recuperare sul mercato. In realtà, dopo gli arresti effettuati  dalle forze di sicurezza italiane, nel 2014, di alcuni equipaggi delle cosiddette “navi madre”, le organizzazioni criminali libiche preferiscono pescherecci in legno ( imbarcazioni a “perdere”) rispetto ai gommoni che possono trasportare un numero ridotto di persone. Per fronteggiare la crescente richiesta di traversate ( si parla di diverse centinaia di migliaia di persone in attesa), i trafficanti stanno rastrellando porticcioli e insenature costiere, per comprare il maggior numero di barche ( anche in pessime condizioni e riparate alla meglio). Gli affari vanno a gonfie vele e sulla spregiudicatezza e disumanità di queste persone basta ricordare alcuni colloqui emersi, nel corso di intercettazioni telefoniche, durante operazioni di polizia giudiziaria : un trafficante turco, nel 1998, parlava di “..un fatturato di 7,5 milioni d dollari in un mese..ogni nave ci costa 80/100 mila dollari…comprate nel Mar Nero..tolti 2,5 milioni di dollari pagati a poliziotti e politici…altrimenti non si riesce a far partire le navi dai porti turchi, ci è rimasto un utile di 5 milioni …versato in banche della Cipro turca..”.  Un trafficante albanese dichiarava al telefono che la loro “organizzazione è(ra) più seria” perché garantiva un secondo viaggio se andava male il primo e aggiungeva, con tono serio, “è come alla Standa, paghi uno..prendi due!. Un pakistano, invece, si attribuisce il ruolo di”benefattore,  perché “..do la possibilità di un avvenire a gente disperata…visto che non vengono offerte possibilità di migrazioni regolari”. Più recentemente (2009), un trafficante libico si definisce “connection man” e lamenta la perdita di una trentina di nigeriane dopo il naufragio di alcuni barconi partiti dalla Libia con circa 600 migranti; mentre un curdo, nel 2011, afferma, tranquillo, che in Italia si può permanere per almeno 4 o 5 anni in considerazione delle procedure di contenzioso e dei tempi lunghi dei tribunali per decidere sulle impugnazioni delle decisioni delle Commissioni territoriali che esaminano le domande di protezione, aggiungendo che “..in Italia con le mazzette si ottiene tutto, come in Turchia..”. Se ci vedono così, questi criminali, siamo messi proprio male!. E, intanto, mentre in mare e in terraferma, molti uomini e donne italiani si accingono a fornire il loro generoso servizio per salvare vite umane ( quasi 6mila quelli già soccorsi nel 2015, al 16 febbraio), le ridicole dichiarazioni di Salvini, segretario della Lega: “Fosse per me li aiuterei, li curerei e darei loro cibo e bevande. Li soccorrerei ma li terrei a largo e non li farei sbarcare.” (cfr. La Repubblica del 16 c.m pag 2). Parole che dovrebbero far riflettere sulla dimensione umana di questo signore della politica italiana.

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