“Gandhi nel deserto del Sinai”
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite il traffico di esseri umani praticato nel deserto del Sinai, a partire dal 2008, è uno dei peggiori verificatisi per il numero di persone coinvolte e le brutalità commesse nei confronti di profughi, soprattutto eritrei.
Anche a causa della complicità delle navi militari italiane che nel 2008 iniziarono i primi respingimenti verso la Libia, nacque la necessità per i flussi di profughi di trovare un percorso parallelo, un’altra via di fuga da guerre, carestie e persecuzioni. Il nuovo percorso andava verso Israele, in cerca della rotta che dal Sudan e dall’Egitto, passa attraverso il deserto del Sinai. Secondo la ONG Gandhi, di Alganesh Fessaha, il traffico di esseri umani è stato inizialmente gestito dal clan di nomadi Rashaida nel deserto fino al Sinai e, successivamente, dai beduini egiziani per il trasporto fino al confine settentrionale con Israele.
E’ proprio nel 2008 che però due clan di diversa etnia si organizzano per dar vita ad un ancora più lucroso traffico mafioso che vede le organizzazioni beduine comprare vite umane dai campi profughi etiopi e sudanesi, pagando ai Rashaida il viaggio dai campi al Sinai, e dare vita ad un agghiacciante mercato di giovani eritrei, etiopi, sudanesi, maliani e chadiani che serviranno a procurare ancora più soldi da investire in armi e per rafforzare i già presenti traffici illeciti verso la striscia di Gaza.
Da allora circa trentamila persone, tra cui moltissimi minori, sono state sequestrate e torturate da queste nuove mafie al fine di estorcere denaro alle famiglie, grazie ai telefonini e ai “money transfer”. Più di diecimila (quelle accertate) le persone uccise in seguito a maltrattamenti o espianto di organi (soprattutto reni e cornee destinati all’Egitto e ai compratori clandestini occidentali).
La Dottoressa Alganesh Fessaha, eritrea e cittadina italiana, vincitrice dell’Ambrogino d’Oro nella “sua” Milano, racconta le storie dei ragazzi che salva, anche grazie ad una rete di amicizie beduine che la accompagnano in queste imprese nel deserto. Da sette anni infatti la ONG Gandhi, con sede ad Addis Abbeba, promuove cure e istruzione nei campi profughi in Etiopia ma, anche e soprattutto, svolge un lavoro pericoloso per rintracciare e liberare i prigionieri dai clan trafficanti nel Sinai.
Il libro racconta e mostra, con foto reali e molto crude, la violenza subita dalle ragazze e dai ragazzi costretti per mesi in prigioni disumane e seviziati durante le telefonate alle famiglie, per convincerle ad inviare i soldi necessari al rilascio. Chi non ce la fa, muore e viene abbandonato nel deserto. I riscatti aumentano di anno in anno e vanno dai 10.000 dollari richiesti durante il 2009 fino ai 60.000 mila del 2014.
La maggioranza delle persone rapite dalle mafie del traffico di esseri umani sono provenienti dall’Eritrea, secondo l’ONU regime africano più oppressivo e senza libertà di informazione. In Eritrea, dal 2001 con la dittatura di Iasais Afewerki, la leva militare comincia dall’ultimo anno di scuola e dura fino ai 50 anni per gli uomini (40 per le donne) e costringe ai lavori forzati con paghe insufficienti. Si ritiene che mensilmente circa 3000 giovani eritrei fuggano dal proprio paese. Le famiglie hanno il compito di pagare 3000 dollari per ogni disertore. L’economia del paese è ridotta all’osso e soltanto le rimesse che gli espatriati sono costretti a versare, altrimenti i familiari potrebbero subire ritorsioni, permette al regime di mantenersi in vita. Una commissione ONU nel 2012 aveva individuato alcuni generali dell’esercito eritrei come responsabili e complici della tratta di esseri umani verso il Sinai, inoltre il muro eretto nel deserto dal governo israeliano dal gennaio 2013 impedisce l’accesso al paese ai profughi; come conseguenza sono aumentati i rapimenti dei beduini Rashaida.
La ONG Gandhi è l’unica che opera nel deserto del Sinai per la liberazione dei prigionieri e, ad oggi, ha liberato circa 3000 persone (di cui 650 senza pagare riscatto grazie all’aiuto dello sceicco Awwad Mohammed Ali Hassan). I prigionieri liberati vengono condotti nei campi profughi etiopi dove viene loro data assistenza.
Ad oggi Alganesh Fessaha, chiamata Gandhi da migliaia di eritrei nel mondo, porta aiuto a quanti, fuggendo dalla dittatura e dalle vessazioni, scappano per trovare una seconda occasione. “Alga” viaggia dal Sinai a Lampedusa, dalla Libia a Milano ed incontra i ragazzi sopravvissuti ai naufragi del mare e del deserto, cucina loro i piatti tipici del loro paese e regala umanità a chi pensa di averla perduta durante il viaggio.
Il ruolo di Gandhi non è solo quello diretto della liberazione bensì quello di denunciare e dare voce alle sofferenze, lottando le mafie internazionali del traffico di organi e il sistema di impunità e corruzione che permette questa odierna tragedia di schiavismo e indicibili abusi.
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Libera Internazionale contribuisce a dar voce a chi difende le vittime di tratta e si occupa delle tragedie dimenticate. Grazie alle reti di realtà e associazioni in Europa e America Latina abbiamo consolidato la costruzione di reti internazionali in grado di sensibilizzare, denunciare e costruire una società alternativa, fatta di riconoscimento di sistemi mafiosi e corruzione e basata su solidarietà, accoglienza e giustizia sociale.
La nuova sfida è quella di porre l’attenzione sulla zona del Maghreb – Mashrek e, a partire dal Forum Sociale Mondiale di Tunisi del 2012, abbiamo cominciato a costruire relazioni con associazioni per porre l’attenzione sui temi delle mafie internazionali nel traffico di migranti, della corruzione e della confisca che a livello europeo stanno già divenendo materia da parte delle istituzioni. Il dialogo con le realtà al di là del Mediterraneo è continuato in diversi momenti: nell’aprile del 2013 a Lampedusa in occasione delle giornate conclusive del campo di lavoro con Emmaus e Legambiente, in cui ci siamo confrontati con le realtàinternazionali della nuova “frontiera europea” su flussi migratori e modalità di accoglienza; a Monastir in Tunisia nell’aprile del 2014 dove Libera ha appoggiato l’idea della costruzione di un Osservatorio Migranti e Rifugiati nella zona Maghreb-Mashrek; durante le manifestazioni per la commemorazione del naufragio del 3 ottobre a Lampedusa, all’interno delle quali abbiamo rafforzato le relazioni con gruppi di familiari di vittime e dispersi tunisini, egiziani, algerini libici, ma anche con i giovani eritrei sopravvissuti alla tragedia; infine a Roma, poche settimane fa, durante una riunione del Social Forum Italia, all’interno della quale si è immaginato uno spazio di “alternativa mediterranea” insieme con i Comitati Nuovi Desaparecidos coi quali siamo interessati a camminare insieme.
Il World Social Forum di Tunisi nel 2015 sarà un altro importante momento non solo di condivisione, ma anche di costruzione comune di buone pratiche democratiche. Per Libera Internazionale sarà importante esserci per rafforzare le relazioni, imparare a costruire reti durature al di là del Mediterraneo e rafforzare il lavoro di contrasto alle organizzazioni criminali transnazionali che creano sofferenze a molti, impoverendo tutti.
Recensione del libro di Alganesh Fessaha “Occhi nel deserto: Gandhi nel deserto del Sinai” Edizioni SUI, luglio 2014
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