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“Gioco d’azzardo in locali regolamentati”

di Daniele Poto il . Senza categoria

L’intervista/// – Marco Buticchi, 57 anni, figlio di Albino (ai tifosi del Milan, qualcosa dirà, presidente nel pre-Berlusconi) è uno scrittore italiano di largo e indiscriminato successo. Accostato a Wilbur Smith per i suoi libri editi da Longanesi: solide trame di fiction, gettonatissimi romanzi di avventura. Bagnino per hobby, amante del mare nel suo feudo di Lerici, è anche il responsabile di Fipe La Spezia, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi, cioè l’associazione leader nel settore delle imprese che svolgono attività di ristorazione e di intrattenimento. Lo intervistiamo per una significativa analisi sull’azzardo fortemente insediato nei locali pubblici e con l’elemento più pericoloso di sistema, cioè le famigerate “macchinette” (termine generico che accomuna vecchie e nuove slot).

L’Italia ha il primato continentale dell’azzardo. Una valutazione sul fenomeno che ha riflessi sociali, sanitari, antropologici, etici e persino urbanistici dato che le nostre città hanno mutato aspetto.

Non vorrei buttarla in politica, ma osservatela sotto il profilo sociale. Non troppi anni orsono un premier fece visita a Lampedusa, prossima al collasso per gli sbarchi dei migranti. In quella occasione il premier sciorinò la sua ricetta per cancellare i problemi che assillavano (e ancora assillano) l’isola: costruire a Lampedusa un bel casinò. Se questa è la mentalità nazionale che ci hanno inculcato, ovvero se è la falsa chimera del vincere al gioco quella che fa superare le difficoltà, allora si capisce come mai siamo a questi punti. Per non parlare degli interessi enormi che si muovono dietro alla macchina del gioco d’azzardo in Italia. E si tratta di interessi che troppo spesso presentano risvolti non chiari, ma comunque capaci di piegare parlamenti e governi. Nessuna impresa in Italia ha mai ricevuto agevolazioni e sconti come quelli praticati alla filiera del gioco d’azzardo, anche dopo violazioni contestate dagli organi competenti e relative ammende comminate ai trasgressori.
Tra le anomalie italiane anche il primato mondiale dei locali battezzati per il gioco: circa 140.000 tra bar, tabaccai, sale giochi, luoghi impropriamente denominati Casinò. Come è potuto succedere tutto ciò?
“Mentre avveniva quello che ho descritto, nello stesso tempo nessuno muoveva un dito per fermare la “corsa al riarmo” degli esercizi trasformati in sale da gioco legalizzate. Una slot machine in un bar può garantire, nel breve, introiti difficilmente traguardabili a suon di caffè e cappuccini. Così tabaccai e baristi si sono trasformati in biscazzieri grazie all’imperante disegno che “gioco è bello, giocare è sano e scaccia le magagne”.

Peccato che gli avventori del bar sotto casa non siano i nababbi che si aggirano per le sale ovattate dei casinò, ma normale gente di tutti i giorni, con i problemi di tutti i giorni, cui si vanno ad aggiungere le perdite al gioco in una spirale che spesso conduce alla rovina. La trasformazione del bar in casa da gioco ha anche creato problemi che un normale gestore di pubblico esercizio non si sognava d’avere e in molti hanno rinunciato all’avventura dell’azzardo. 

E come se ne esce?
Il modo più semplice per uscirne è tornare al punto in cui eravamo prima che questa dissennata corsa a Las Vegas iniziasse: c’erano alcuni casinò (pochi e ai confini nazionali) ove era consentito il gioco d’azzardo e ippodromi, sale corse, botteghe del lotto e ricevitorie dove si poteva giocare. Tutto il resto era vietato. E al bar si andava per incontrare gli amici e prendere un caffè, al massimo per giocare a briscola. Mi rendo però conto che non sia facile, dopo aver sbracato su tutti i fronti, ritornare alle origini. E allora perché non confinare il gioco d’azzardo in locali contingentati, regolamentati e, possibilmente, fuori dai centri urbani?  Anche per gli esercenti vale il principio generale: nel gioco, l’unico a vincere sempre è il banco. La cuccagna delle video-slot finirà presto perché è fisiologico che finisca. Non fa parte del compito dell’esercente vendere fiche, ma regalare sorrisi, buoni cibi e augurare buone giornate ai propri clienti. Se il mercato ristagna bisogna inventare soluzioni attinenti al proprio lavoro. È inutile cercare ossigeno nel gioco.
Il deterrente del risparmio fiscale (Irap e dintorni) con l’attribuzione del marchio “no slot” è una soluzione che può facilitare una decongestione di sistema? Inoltre gli italiani perdono nell’azzardo 17 miliardi all’anno, lo Stato ci guadagna solo 8 miliardi su una movimentazione complessiva di 85, le malattie patologiche sono un enorme spesa sociale. Dov’è l’errore e il rimedio in queste cifre dissonanti?
Ma possibile che nessuno parli di imposizioni congrue, prima di arrivare alle defiscalizzazioni premio? Provino a gravare il gioco di imposte che ripaghino almeno dei costi sociali che proprio dal gioco derivano, prima di promettere agi a chi continua, come è giusto che sia, a fare il proprio mestiere.

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