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0.12 L’ombra delle mafie sul ciclo dei rifiuti

Di Norma Ferrara il . Sicilia

Sin nel cuore verde dell’Italia. Tanto si sono spinti gli affari illeciti delle mafie e dell’imprenditoria mafiosa. Lo conferma Legambiente, nel suo ultimo rapporto, collocando la regione fra quelle isole oggi non più felici, sedicesima nella classifica che ogni anno stila in relazione alle illegalità ambientali: Nel 2007 l’Umbria rimane stabile con il 2.0% di infrazioni commesse, 557 persone denunciate e 117 sequestri effettuati. Cifre che sono rimaste immutate ma come ricorda Legambiente “destano preoccupazione se considerate in relazione alla limitata estensione territoriale”.

Ed è in particolare nel cosiddetto ciclo dei rifiuti che le mafie, la camorra, hanno trovato un varco definitivo, inserendo l’Umbria, così come era già accaduto per la Toscana e l’Emilia Romagna all’interno del quadrato criminale che tocca le regioni del centro Italia e segue la linea dell’imprenditoria illegale, della gestione illecita e della penetrazione sul territorio, oltreché partecipazione al business globale dello smaltimento illecito dei rifiuti, urbani e industriali. Al centro delle indagini dei magistrati  la discarica “Le Crete” situata poco fuori Orvieto (Orvieto Scalo).

Un contenitore di 84mila metri quadri,  stretto fra l’argilla e il fiume Paglia, un affare che subito imprenditoria e mafia abbracciano con entusiasmo. Così almeno stando ai dubbi mossi dalle autorità giudiziarie (e all’inchiesta di Carlo Bonini apparsa su Repubblica nel gennaio scorso). Sono dieci gli imputati accusati, fra l’altro di falsi, abusi e reati ambientali. A controllare la discarica le Crete è la società “Sao”, acquisita da Acea, per circa 150milioni di euro dopo il maggio del 2006.  Ma è da anni ormai che la procura della Repubblica di Terni vuole vederci chiaro sugli affari gravitanti intorno alla “Le Crete”.  Tra il ’97 e il ’98 una prima indagine ha accertato che in quel maxicontenitore di rifiuti ci sono una serie di irregolarità, strane e concomitanti.

Alcuni di questi, violano le prassi di compostaggio dei rifiuti producendo un “compost” di pessima qualità, altri invece rischiano di inquinare il vicino fiume Paglia. Alla luce di queste ed altre irregolarità a fine anni ’90  il sito viene chiuso, e si decide di riaprire un altro varco per lo smaltimento dei rifiuti. Dietro la società, la progettazione e messa in opera di questi smaltimenti verso la discarica di Orvieto, però secondo gli inquirenti, si muoverebbero altre forze. Su queste è concentrata l’attenzione degli inquirenti che sulla vicenda mantengono il più stretto riserbo.

Sullo stato delle indagini il procuratore di Terni, Fausto Cardella, commenta –  “l’inchiesta è in corso (anche se non la seguo io) è gestita da un nostro ufficio in Procura. A riguardo posso dirvi soltanto che le indagini proseguono e l’attenzione sul tema delle ecomafie, nel ternano, è massima”. Bocche cucite dunque dalla Procura del ternano e carte ferme nei faldoni giudiziari, in attesa che i singoli puzzle di questa vicenda, vadano ciascuno al  proprio posto. Tanto più che questo di Orvieto non è un caso isolato in Umbria. Come dichiara nel suo rapporto annuale Legambiente, i reati contro l’ambiente provenienti da illeciti sono numerosi. 

A Terni tredici ipotesi di reato sono state contestate nell’ambito di un’indagine sull’inceneritore da parte di un pubblico ministero. L’azienda che gestisce l’impianto è accusata di aver provocato un “disastro ambientale”; l’ipotesi è che siano stati bruciati materiali non autorizzati, come rifiuti radioattivi, e che i responsabili dell’impianto hanno dissimulato l’emissione di acido cloridrico e diossine dietro false attestazioni.  I responsabili dell’impianto – scrivono i magistrati – avrebbero cercato di “coprire” gli sversamenti illegali “diluendoli nel tempo con acque di raffreddamento provenienti dalle torri dell’impianto”. Lo stesso fiume, come segnalato dalla Guardia Forestale in un’inchiesta coordinata dalla Procura della Repubblica di Terni, è stato contaminato da composti altamente tossici tramite una condotta abusiva proveniente da uno stabilimento di fitofarmaci a Nera Montoro, nel comune di Narni. Ultimissime rese note da Legambiente solo alcuni giorni fa invece coinvolgono due titolari di un centro di rottamazione dell’eugubino che trattavano illegalmente circa 1.500 tonnellate di rifiuti, principalmente autovetture da demolire, bombole, oli.  Un giro d’affari di un milione e mezzo di euro.

Inoltre a seguire altri reati contro l’ambiente ma –  come afferma il procuratore Fausto Cardella –  “Terni è una realtà industriale e quindi il livello di contrasto a questi possibili fenomeni è alto, non solo da parte della polizia, ma anche da parte  del corpo Forestale dello Stato. Tutti collaborano perché sotto questo aspetto non si creino situazioni a rischio e per l’ambiente e per infiltrazioni della Camorra in quest’area”. Nonostante ciò Legambiente fra ipotetiche speculazioni edilizie, inchieste su sostanze inquinanti in corso nel suo rapporto traccia un quadro piuttosto allarmante che se sommato alle notizie che arrivano dal versante del riciclaggio del denaro sporco, dell’usura e dei traffici illeciti, pare mettere un sigillo su quello che rimane ormai solo un ricordo: Umbria cuore verde dell’Italia?

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