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Quei capitali “clandestini” all’estero

di Piero Innocenti il . Lazio

Sono diverse le “Svizzere” nel mondo dove molti evasori italiani trasferiscono le loro ricchezze. In molti casi sono gli stessi governi a favorire questo sistema di evasione-elusione fiscale per costituire fondi neri all’estero da utilizzare anche per il finanziamento illecito ai partiti e, più in generale, per attività corruttive. Oggi, che il fenomeno in Italia ha raggiunto livelli insopportabili, si continua ancora solo a parlare di lotta all’evasione e, in questo quadro, di migliorare una direttiva comunitaria antievasori (riunione Ecofin del 14 ottobre dei 28 ministri finanziari) che prevede lo scambio automatico di informazioni fiscali tra i paesi dell’Ue ( ma solo dal 2017), con resistenze ancora forti di alcuni paradisi fiscali (Lussemburgo, Montecarlo, Andorra, San Marino, Austria). Alla Camera dei Deputati, intanto, è in discussione la legge sul rientro dei capitali trasferiti illegalmente all’estero, che prevede una sorta di sanatoria (non un condono, si sostiene) con uno sconto sulla sanzione in caso di autodenuncia (il c.d. “voluntary disclosure” cioè il “ravvedimento volontario”) entro un anno dall’evasione. Tutto questo mentre il tentativo di introdurre la norma che punisce l’autoriciclaggio incontra ancora resistenze di alcuni settori della politica ed è sempre più stringente l’esigenza di poter disporre di risorse economiche nelle esangui casse statali.

A quanto ammonta l’economia sommersa collegata all’esportazione illegale di capitali? Nel 1998 la Commissione europea parlava di una stima media nell’Unione che si attestava tra il 7 e il 16% del Pil. Alcuni anni fa (2007), alcuni esperti avevano rilevato un dato italiano tra il 21 e il 23% che si collocava tra i più elevati all’interno dell’Ocse. Più recentemente, un interessante lavoro della Banca d’Italia ( poco pubblicizzato), ha parlato di in una cifra compresa tra i 124 e i 194 miliardi di euro ( quattro, sei volte la manovra finanziaria preannunciata in questi giorni dal Governo per il 2015) a fine del 2008, per la stima delle attività all’estero non dichiarate dagli italiani (cfr. “Questioni di Economia e Finanza- Occasional Papers. Alla ricerca dei capitali perduti” di Valeria Pellegrini e Enrico Tosti, entrambi funzionari del Servizio Statistiche economiche e finanziarie della Banca d’Italia). Che si tratti di una dimensione rilevante, per il denaro custodito all’estero, lo si evince anche dai capitali emersi in conseguenza degli scudi fiscali adottati dai governi negli ultimi dieci anni: 77miliardi di euro nel periodo 2001/2003 e 104,5 miliardi nel biennio 2009/2010, con un incasso per il fisco, rispettivamente, di 2 e 5,6 miliardi di euro. Davvero poco per chi ha voluto nascondere e sottrarre all’accertamento e all’imposizione fiscale nazionale i proventi di attività economiche non dichiarate.

Quanto sia collegato ad attività criminali resta un punto interrogativo. Continuano, intanto, le fughe di capitali e profitti all’estero con metodologie ben note ai settori investigativi della Guardia di Finanza, cui compete, in via prioritaria, la repressione di tali attività. Alle imprese che utilizzano il sistema delle sotto-fatturazioni delle esportazioni e delle sovra-fatturazioni delle importazioni di merci e servizi si aggiungono le più complicate operazioni di conto finanziario, anche se il trasferimento in contante oltre la frontiera (tramite gli “spalloni”) sembra il sistema migliore e quello più utilizzato perché non lascia traccia. Accanto alle persone di fiducia, cui vengono affidate borse piene di denaro contante, ci sono esperti operatori muniti di auto attrezzate ad hoc per occultare il denaro o eccellenti conoscitori di piccoli valichi di frontiera facilmente attraversabili, senza alcun pericolo di incappare in qualche posto di controllo. Poi ci sono Montecarlo e San Marino, i due paesi stranieri in casa nostra dove gli “spalloni” si recano spesso a “depositare” (ancora) senza grossi problemi.

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