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Raccontare una terra attraverso le storie di chi è rimasto

Di Stefano Fantino il . Campania, Dai territori

Appena ritornato da Milano, dove ha presentato il suo ultimo libro insieme a Nando Dalla Chiesa, Raffaele Sardo parla con noi de “La Bestia”, pubblicato da poche settimane da Melampo editore. Un testo che racchiude la storia di una terra, raccontata attraverso gli occhi dei superstiti, coloro che ha visto la tragedia, di chi è rimasto, di chi ancora, tenta di fare qualcosa di differente dal modo di pensare imperante.

Raffaele quando hai deciso
di iniziare questo libro, avevi già
in mente il particolare taglio che lo caratterizza?
 
 

No, non era questo il taglio
iniziale che ho voluto dare al libro. La volontà di impostare il libro

partendo dalle testimonianze
dei familiari delle vittime è venuta fuori il 2 luglio 2007. In quella
data a Casal di Principe si ricordava la morte del carabiniere Salvatore
Nuvoletta, ucciso dalla camorra venticinque anni prima. C’erano i suoi
fratelli, suo padre Ferdinando e  Bruno D’Aria, il ragazzo che
lo stesso Salvatore aveva salvato prima di morire sotto il fuoco dei
sicari. Rimasi impressionato nel conoscere quelle persone e la storia
del loro caro. Come fosse possibile che nessuno si ricordasse di quel
giovane carabiniere in servizio a Casale. Poi, alla commemorazione del
pomeriggio, a Marano, era presente anche Nando Dalla Chiesa, il cui
padre, morto poco dopo, era stato scortato, per diverso tempo, da Gennaro,
fratello di Salvatore. Conoscere questa vicenda e poi i figli di un’altra
vittima, Franco Imposimato, mi fece maturare l’idea di un libro che
fosse differente. L’impostazione finale deriva da questi incontri. 
 

Come mai hai deciso di raccontare
queste vite rispetto ad altre?
 

Tra queste figure c’è un tratto
comune molto forte. Ho voluto porre in risalto il punto di vista dei
superstiti, coloro che sono rimasti e hanno visto in faccia la tragedia.
Sei vittime di camorra che per me sono dei riferimenti, più vividi
e nitidi. Per cinque di queste storie ho cercato di entrare in contatto
con amici, familiari che potessero permettermi di entrare a fondo nei
loro drammi. Ho raccontato le loro vite, dopo gli omicidi, e solo in
un caso ho dovuto far riferimento solo, o quasi, agli atti giudiziari.
Il caso della famiglia Varone, resasi “invisibile”. Ho cercato comunque
persone e testimonianze che potessero portare informazioni dirette riguardo
a quella vicenda. 

Come sei riuscito ad avvicinarti 
così “umanamente” alle famiglie delle vittime?

Non è stato facile avvicinarsi
alla loro intimità. Le tragedie spesso sono custodite in posti dell’anima
inaccessibili agli estranei. Per far uscire fuori il racconto, bisogna
quantomeno stare sulla stessa lunghezza d’onda della sensibilità. E’
una cosa che l’interlocutore percepisce a pelle. Ricordo particolarmente
il caso di Natalia Romanò. Rimasi in casa sua fino a sera inoltrata,
ascoltandola rievocare la vicenda senza che interrompesse mai il suo
pianto. Sono elementi emotivi che ho cercato di trasferire nel libro. 
 

La scelta di far risaltare
il lato umano delle vicende che racconti non fa venir meno il tuo spirito
di cronista di razza. Sullo sfondo, ottimamente tratteggiati, ci sono
piu di vent’anni di storia di camorra nel casertano. Pensi che il giornalismo
abbia maggiormente bisogno di incorporare elementi di memoria, ricordo
delle vittime, “storie positive” rispetto alla mera cronaca
delle sortite violente e sanguinarie della camorra?
 

Indubbiamente la cronaca non
può prescindere dalla storia e anche se il taglio dato al libro privilegia
l’aspetto umano delle vicende, non si è potuto escludere un il contesto
storico in cui sono accadute le vicende di cui narra il libro.. Penso
certamente che sia importante, nel giornalismo antimafia, far emergere
il positivo e non lasciar monopolizzare la narrazione dagli eventi cruenti.
La volontà di raccontare “storie positive” è un elemento fondamentale
in questo tipo di giornalismo, che va messo in risalto. 

Ci sono state sottovalutazioni
del problema camorra e una sua “ghettizzazione” nei territori
della Campania?
 

Sicuramente.
Io penso che se ora si stanno finalmente accendendo i riflettori sulla
nostra terra sia perchè noi tutti stiamo beneficiando di un “effetto
Saviano”. Per anni nessuno si curava di noi e ora, dopo il libro di
Roberto, c’è una esplosione di interesse. Prima che fosse pubblicato
“Gomorra” facevamo onestamente il nostro lavoro. Solo che dalle
redazioni, dove si scelgono e si filtrano le notizie, si è sempre sottovalutato
quanto accadeva qui. Ora, invece, si rischia l’effetto opposto: Se
non si parla di Casal di Principe o dell’agro aversano le altre notizie
sulle criminalità organizzata  sembrano non  interessare. 

“Non
è finita, ma qualcuno, almeno, ci sta provando a rendere più
vivibili questi luoghi”. Così inizi la postfazione al libro. E poi
racconti dell’importante manifestazione di giugno, con il festival in
memoria di don Diana, un segno tangibile di riconquista sociale di spazi
usurpati dalla camorra. Quanto valgono i simboli, secondo te, in questa
battaglia civile?
 

Ci sono stati e ci sono attualmente
“pezzi” del territorio che cercano di cambiare e rendere più vivibili
questi luoghi: l’associazionismo, le parrocchie, la scuola, ma ci
sono  anche imprese, che insistono per portare avanti una cultura
alternativa alla camorra. Di questo si tratta: sradicare anche un modo
culturale di intendere la vita. Siamo una minoranza; è perciò difficile,
ma si cerca quotidianamente di fare del nostro meglio.  Fare quell’iniziativa
sui beni confiscati è stato significativo perchè la stessa di idea
di bene sottratto alla criminalità organizzata è una riappropriazione
da parte dello Stato. Se al camorrista togli il potere visibile, quello
economico, lo riduci ad essere una persona normale, senza nulla. Ed
è la prova lampante che fare il camorrista non conviene. 

Siamo alla vigilia di importanti
appuntamenti. Il 19 e il 21 marzo del 2009, si svolgerà
in Campania, tra Napoli e Casal di Principe, la giornata della memoria.
Come si sta preparando questo evento?
 

Proprio ora sto andando ad
una riunione per programmare la nostra attività locale in vista di
questi importanti appuntamenti. Ci si attende che decine di migliaia
di persone parteciperanno all’evento sperando di bissare i grandi numeri
di Bari, lo scorso anno. Ma l’obiettivo è quello di coinvolgere quanto
più possibile, i cittadini che abitano queste terre. Spero che il mio
libro possa contribuire a far conoscere il dramma di chi ha perso un
familiare per mano della camorra 

Un’altro elemento chiaramente
enucleabile dal libro è l’assenza o le presa di distanza da parte
di istituzioni, statali e non, in molte vicende di camorra. Cosa ne
pensi?
 

Alla presentazione del mio
libro Giancarlo Caselli  ha ricordato come i successi della lotta
alla mafia non sono venuti per “volontà dello Stato”, ma da una
minoranza di società civile che ha positivamente influenzato l’opinione
pubblica (associazioni antimafia, giornalisti, sacerdoti, insegnanti,
pezzi di istituzioni).  Anche qui è stato così. Si tratta sempre
di un lavoro fatto da minoranze. Ma noi andiamo avanti. In fondo sono
anche queste minoranze a dare senso alla storia.

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