Il caso De Mauro: un delitto di mafia e di Stato
Non è la storia di un attivista antimafia, che dai microfoni di una radio sbeffeggiava il boss locale. Non è il silenzio imposto con la pistola a un giornalista, autore d’inchieste che davano fastidio a Cosa Nostra. Non è nemmeno soltanto un fatto di mafia, finito nel sangue perché la piovra trasforma in cadavere chi gli dà fastidio. A volerla scrivere da zero, inventarla di sana pianta e tirarci fuori un romanzo giallo, un noir anni ’70, ci vorrebbe la fantasia di dieci scrittori di fama. Ma nei libri, nei noir anni ’70, alla fine un colpevole c’è sempre. Quarantaquattro anni, invece, non sono bastati per trovare i boia di Mauro De Mauro, il cronista dell’Ora con un passato da militante della X Mas, scomparso nel nulla la sera del 16 settembre 1970.
Tre uomini sotto casa all’ora di cena, la Bmw blu scuro del cronista che si riempe dei carnefici, e una ripartenza brusca, che lascia nell’aria soltanto un ordine: amuninni, andiamo, che è poi l’urlo lanciato per strada da uno degli uomini con cui De Mauro risale in macchina dopo essere appena arrivato a casa, mentre la figlia Franca vede l’auto del padre sparire nella notte. La Bmw blu scuro ricomparirà 24 ore più tardi e poche centinaia di metri ma di Mauro De Mauro non si saprà più niente. Nessuna traccia, nessun indizio, quindi l’inizio di un’inchiesta che sembra puntare con decisione ai colpevoli: due mesi convulsi e sul più bello le indagini si arenano. A decretare la fine di ogni scampolo di verità ci avrebbe pensato direttamente il direttore del Sid Vito Miceli, arrivato a Palermo con un solo obiettivo: sganciare un pesante carico di sabbia sull’inchiesta. Nel frattempo le indagini su De Mauro sono già diventate un caso, anzi il Caso, e nella storia del cronista dell’Ora iniziano a sfilare personaggi di ogni levatura: dal cavaliere Buttafuoco, primissimo indagato poi scagionato, all’avvocato Vito Guarrasi, deus ex machina dello potere double face palermitano, a lungo sospettato di essere mandante del delitto. Quindi è la volta dei pentiti, delle dichiarazioni fuori tempo massimo, di un processo aperto con 36 anni di ritardo, quando tutti o quasi i protagonisti di questa storia sono passati a miglior vita. Il secondo grado di quel processo è una lapide senza epigrafe: il superboss Totò Riina è assolto per la seconda volta dall’accusa di essere il mandante del delitto dell’Ora. E se la storia di Mauro de Mauro non prevede colpevoli condannati secondo giustizia, rimane ancora nell’aria la traccia lasciata dai molteplici mandanti, dai plurimi moventi e dai probabili esecutori: tutti elementi riordinati dalle oltre duemila pagine di motivazione della sentenza di primo grado. Per fare fuori De Mauro – scrive il giudice Angelo Pellino – si muove “un fronte vasto di ostilità facenti capo a soggetti eterogenei, ben radicati in circuiti criminali e in ambienti istituzionali, diversi ma accomunati nell’obiettivo di far tacere per sempre una delle più note firme del giornalismo di inchiesta”.
C’è una busta gialla, di tipo commerciale, che Mauro De Mauro stringe tra le mani il pomeriggio del 16 settembre 1970: dentro c’è il suo lavoro per il regista Francesco Rosi che gli ha chiesto di documentare gli ultimi giorni di Enrico Mattei in Sicilia nell’ottobre 1962. Nel 1970 sono trascorsi solo otto anni dalla morte del presidente dell’Eni: per tutti Mattei è semplicemente una vittima di un incidente aereo, una disgrazia dovuta ad un errore del pilota Irnerio Bertuzzi che fa precipitare al suolo di Bascapè il Morane Saulnier dell’Eni. Solo che non è così: Mattei è stato ucciso, l’aereo sabotato con una piccola carica di esplosivo inserita nell’abitacolo, grazie a due telefonate che distraggono Bertuzzi e lo fanno allontanare dall’hangar dell’aeroporto di Catania dove era parcheggiato il velivolo. Lavorando sugli ultimi giorni trascorsi dal presidente Eni in Sicilia, De Mauro ha scoperto messo in ordine i vari elementi di quelle ultime ore di vita di Mattei: e ha capito che non si è trattato di un incidente. I risultati di quell’inchiesta, redatta sotto forma di copione (poiché Rosi vuole fare un film su Mattei) sono contenuti in quella busta gialla. Che lo stesso De Mauro consegna al suo amico Graziano Verzotto, preziosa fonte d’informazioni che si offre di portarla a Roma da Rosi. Solo che nella morte di Mattei, Verzotto c’è dentro fino al collo: e nel timore che il cronista dell’Ora possa davvero scoprire il suo coinvolgimento, si attiva per farlo eliminare. È a quel punto che Cosa Nostra, già coinvolta nelle fasi operative dell’omicidio Mattei, si mette in moto, come fosse solo un service dell’omicidio azionato da un livello superiore, per fare sparire De Mauro. A depistare le indagini, e affossare la verità sulla morte del cronista dell’Ora, penseranno gli altri: gli apparati dello Stato che si muovono per coprire un delitto eseguito da Cosa Nostra. Cerchi concentrici di mandanti ed esecutori animati da moventi convergenti che fanno di Mauro De Mauro probabilmente il paradigma di quello che è un delitto di Stato.
Giornalista, già redattore de I Quaderni de L’Ora, mensile d’inchiesta palermitano erede dello storico quotidiano antimafia del pomeriggio. Scrive su Il Fatto Quotidiano, occupandosi di giudiziaria, politica e inchieste. Per Editori Riuniti ha scritto Il Caso De Mauro. Per la Rai ha realizzato Maxi +25, reportage sul Maxi Processo 25 anni dopo. Con Trattativa? Nenti sacciu! ha vinto Generazione Reporter, il premio per giornalisti emergenti ideato da Michele Santoro, e nel 2013 è stato finalista del premio Roberto Morrione, sezione del premio Ilaria Alpi. Nel 2014 ha ricevuto la Menzione Speciale del Premio Giornalismo d’Inchiesta Gruppo dello Zuccherificio con l’inchiesta “Viaggio tra gli immigrati del Cara di Mineo”. Twitter: @pipitone87
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