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0.9 Operazione Naos, la mafia in Umbria

Di Norma Ferrara il . Umbria

“Diventa allarmante la portata dell’ ‘aggressione criminale’ nei confronti dell’ Umbria e di Perugia”. Queste le parole della Giunta comunale del capoluogo umbro a commento della prima operazione antimafia scattata lo scorso 13 febbraio del 2008 e condotta dai Ros in diverse regioni del centro e del sud.  “Non erano infondati dunque – si legge in una nota dell’esecutivo – i sospetti che, in particolare attraverso l’ intensificarsi del traffico degli stupefacenti, fosse in atto un tentativo di esportare e radicare in Umbria una pratica del malaffare da estendere poi a settori dell’ economia e della società umbra. Il lavoro compiuto per disarticolare il cartello ‘ndrangheta-camorra ha prodotto risultati importanti che contribuiscono a ridare serenità e sicurezza”.

 E’ racchiuso in queste frasi lo stato d’ansia scattato in Umbria all’indomani dell’operazione Naos, condotta dalla Dda di Perugia pm Anna Duchini che ha portato alla luce una consorteria criminale che operava fra la Toscana, l’Umbria e la Calabria. E’ la prima indagine che sancisce la presenza della mafia, così come la connota il 416 bis, in Umbria. Si tratta di un lavoro lungo un anno e contenuto in un ordinanza cautelare di oltre 300 pagine. Intercettazioni telefoniche, indagini a tappeto, imprenditoria, politica e mafia interessate in affari che superavano i confini calabresi arrivando ad interessare quelli umbri. Base di appoggio e nuovo terreno operativo di queste manovre mafiose, infatti, l’Umbria e alcuni affari possibili da realizzare nel cuore verde dell’Italia. Sono state 57 le ordinanze di custodia cautelare (una ventina rivolte a soggetti umbri) per un’indagine che ha coinvolto Toscana, Umbria e Calabria e che colpisce per le dimensioni e la capacità di collegamento acquisita dalle diverse cellule in azione: clan camorristici e albanesi in un primo tempo, ‘ndrine calabresi e personaggi umbri nel secondo.

Nell’azione condotta dai  Ros in Umbria scattano le manette ai polsi di politici di regioni del Sud come Pasquale Tripodi.  Tra gli arrestati, infatti, figura anche l’assessore regionale, con delega al turismo ed alle attività produttive della Regione Calabria, il sindaco del comune di Staiti (Reggio Calabria), Vincenzo Ielo ed il vicesindaco di Brancaleone (Reggio Calabria), Gentile Scaramuzzino, con un tecnico dello stesso comune, Domenico Vitale. Gran parte degli indagati umbri e calabresi in questa operazione sono poi stati scarcerati, su ricorso dei legali, con provvedimento emesso dal tribunale del riesame, i procedimenti giudiziari ancora in corso.

I racconti delle intercettazioni telefoniche però parlano chiaro e indicano in Giuseppe Benincasa, Ciro Zampella e Pasquale Magliulo, tre cardini dell’associazione a delinquere di stampo mafioso che disponevano e organizzavano in associazione con le cosche calabresi dei Morabito, Palmara, Buzzanti, gli affari della Calabria, come la costruzione della centrale Idroelettrica, e quelli in Umbria, tramite la costruzione di aziende pulite con le quali partecipare ad appalti in entrambe le regioni. In Umbria le mafie erano interessante ad affari nel settore turistico alberghiero, in particolare le ‘ndrine calbro umbre, si apprestavano a investire in un centro turistico a Norcia, fra i monti sibillini. Giuseppe Benincasa, calabrese di origine residente da anni sul territorio umbro e già noto agli inquirenti come pregiudicato, era riuscito a porsi grazie alle sue amicizie in noti ambienti calabresi e umbri a porsi come interfaccia, locale e mafiosa, sul territorio.

 “Dalle attività d’indagine -scrive il gip – emergeva come i guadagni illeciti dell’organizzazione venivano reinvestiti dai singoli in attività all’apparenza legali, che permettevano di ripulire enormi quantità di denaro. E’ altresì emersa di gestire un “cartello di imprenditori”, facenti capo a Giuseppe Benincasa ed indirizzare il mercato dell’edilizia, utilizzando espedienti illeciti e truffe. Nelle compagini societarie, oltre a nomi di comodo, figurano sempre gli indagati, in una sorta di rete di incarichi di rappresentanza che, da un lato, rende problematica dall’esterno la ricostruzione del gruppo societario, dall’altra consente al sodalizio di gestire, in maniera unitaria, gli interessi comuni. Significativa è la preponderanza della figura del Benincasa che svolge un ruolo di vertice cumulando in sé funzioni di promotore, procurando le commesse, impartendo disposizioni ai sodali, decidendo le strategia di impresa illecite”. Con Benincasa coinvolti nell’inchiesta molti altri soggetti umbri e calabresi, fra i quali Luigi Cicioni, Luigi Martelli.

Al centro gli appalti e la loro gestione. Gli inquirenti hanno individuato sul territorio, fra Perugia e Ponte San Giovanni, imprese, intestate a prestanome e quindi “pulite” nate esclusivamente per la partecipazione ai bandi di gara. Alcune di queste aziende contenute nell’ordinanza di custodia cautelare sono: Teti spa; Bnn costruzioni srl; Emmebì costruzioni srl; Italappalti; Imextra spa, IV millennio, Magliulo Costruzioni, Edil Benny.  Gli appalti erano concentrati in gran parte nel comune di Marsciano (Pg) dove per realizzare un lavoro sarebbero stati utilizzati materiali scadenti, all’insaputa della ditta”pulita” che ne copriva l’appalto e che a sua volta lo aveva subappaltato ad altre due ditte del “cartello” la EdilBenny e la IV Millennio.

I tentativi di infiltrazione all’interno del tessuto imprenditoriale umbro sono evidenti e non si limitano alla mimesi dentro imprese a capitale pulito ma in alcuni casi si sono spinte sino a imporre racket ed estorsione ad altri imprenditori e commercianti umbri: alcuni di loro pagavano il Benincasa per poter lavorare; anche un’attività di ristorazione è risultata vittima del racket, un fenomeno non in uso sul territori umbro. Poi a seguire altri business possibili: un villaggio turistico, comprensivo di campeggio, albergo, ristorante, minimarket ed una cinquantina di mini appartamenti nel bel mezzo del Parco nazionale dei monti Sibillini. Ma l’affare che più incuriosisce e che segnala la capacità imprenditoriale e la forza di questo cartello di mafie che sul suolo umbro stavano prendendo piede è  senza dubbio quello della centrale idroelettrica da realizzare in Calabria. Scrive il Gip di Perugia – “Un’intesa per la realizzazione della centrale idroelettrica di Bivongi (Reggio Calabria) fu trovata tra gli esponenti delle cosche della ‘ndrangheta reggina nel corso di un summit svoltosi a Monasterace. Nelle conversazioni del Ros, si fa riferimento ad un incontro tra “gruppi criminali – sostiene il Gip di Perugia – storicamente non alleati che hanno stabilito accordi volti a gestire gli interessi e in questo caso, come si evince dal lavoro investigativo, l’affare era così grande da essere riuscito a mettere d accordo le famiglie dei Mazzaferro – Ierinò (Salvatore Agostino) dei Morabito – Palmara – Buzzaniti (Ielo Carmelo e Vadalà Antonino) e  quella dei Speranza – Palamara – Scriva (Luigi Martelli). Gli investimenti in sostanza si gestivano così: numerosi incontri fra la Calabria e l’ Umbria, servivano per pianificare le mosse mentre una pax mafiosa sul territorio di origine stabilita di comune accordo garantiva, senza destare sospetti, “l’affaire centrale”.

Mentre in Calabria si affinavano le armi della diplomazia per questo appalto storico e gli altri e venire in Umbria si muovevano le pedine più interessanti, gli istituti di credito. Questo era il nodo delicato che la cosca doveva gestire per il bene delle famiglie calabresi, per la buona riuscita dell’ affare ma anche per il proprio insediamento in terra umbra. La costituzione di questa società, la richiesta di mutui alle banche , erano tutti tentativi di garantire un luogo del riciclaggio capace all’occorrenza di investire in grossi affari anche in Umbria. L’ associa
zion – secondo gli inquirenti – operava da una anno circa sul suolo umbro. A dirigere gli affari in un primo tempo camorristi e albanesi, dunque operanti intorno al traffico di cocaina e di alcune forniture per i su appalti. Successivamente ad avere la meglio sul territorio invece sarebbero state le ‘ndrine calabresi, che utilizzando quando necessario anche questa prima joint venture, erano riuscite a mettere in piedi anche un vero e proprio controllo del territorio, tramite imposizione delle ditte che dovevano lavorare, estorsioni ai piccoli imprenditori umbri, e infine avevano tentato anche qui un contatto diretto con la politica, che per quanto riguarda i grandi partiti era stata rimandata all’anno successivo, non ritenendo ancora maturo “il territorio umbro della politica a pressioni di questo tipo”.

Forse i clan calabresi si erano accorti che di regione in regione anche la mafia deve cambiare linguaggio e modo di avvicinarsi alla politica se vuole ottenere risultati certi nelle tornate elettorali. E a giudicare dalla capacità d’infiltrazione delle ‘ndrine in tutto il mondo, non è da escludere che anche qui in Umbria, la ‘ndrangheta cercherà un nuovo e più efficace varco per un ingresso stabile, anche con il mondo politico – finanziario della regione.

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