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Fiaccolata per ricordare vittime delle mafie

di Matteo Dalena il . Calabria

 Fuochi di speranza nella città fantasma. Sibari sembra un luogo altro rispetto a quello invaso, discusso e fotografato quasi un mese fa in occasione della visita del Santo Padre. Le finestre tanti occhi aperti ma chiusi su quel che accade in strada, i vessilli dello stato Vaticano gli ultimi sdruciti testimoni di qualcosa di accaduto e ben vivo in alcune coscienze, intorpidito negli animi di chi ieri ha preferito stare a casa disertando la strada, sbarrando finestre e cuori alla continuità nel cambiamento.

La continuità recava ieri l’emblema della Parrocchia di San Giuseppe e di alcune zelanti associazioni della Sibaritide: duecento fiaccole in strada contro gli “adoratori del male”, contro quei mafiosi già scomunicati da Papa Francesco in una memorabile spianata già ricolma d’indifferenza. Il piccolo borgo rurale dell’alto Ionio cosentino fa fatica a riprendersi dal bagno di euforia collettiva, tutti hanno un episodio da raccontare ma, al di là della pura “letteratura papale”, è rimasto poco altro. Silenzio rispettoso quello sì, ma la piattezza e la regressione sono palesi. Alcuni fischi ad indirizzo del corteo hanno più il sapore di “segnale” che di contestazione. Perché c’è poco da contestare al di là di un sindaco che, tricolore in dosso, ha scelto comunque di esserci, di metterci la faccia, di accompagnare la bella iniziativa di un parroco di strada. Don Francesco Faillace è uno tosto, fa capire subito che la fiaccolata di Sibari, a ridosso del viaggio papale e della scomunica ai mafiosi, non nasce sotto i migliori auspici: «Il Papa è stato ospite gradito. Quella voce dolce, quello sguardo amorevole ci ha dato una nuova forza che forse, a volte, viene nascosta perché si cade in quei gesti intimidatori o di paura che però non ci fermano». E le parole appesantite d’umori e dense di significato rendono appieno la drammaticità del quotidiano e la responsabilità dell’essere guida, riferimento.

«Grazie» e «perdono» sono – rivela il sacerdote – le due parole lasciate da Papa Francesco ai fedeli della parrocchia di San Giuseppe: «Questi due termini devono risuonare oggi nelle comunità – commenta Faillace – a noi non importa quale mano violenta ha voluto attaccare, non importa la vendetta, ci interessa che quell’inno di coraggio venga alzato, come lo sguardo del Papa diretto negli occhi della gente».

E poi ci sono le vittime, incarnate nel volto umile e dignitoso dei loro familiari. Una vela reca il volto di Fazio Cirolla, innocente operaio e padre di famiglia freddato per errore con un colpo in faccia e davanti al proprio figlioletto il 27 luglio di cinque anni fa. Marco è in testa al piccolo corteo, ancora una volta testimone, questa volta assieme alla madre e ai fratelli, artefici di un riscatto possibile ma che, da queste parti, stenta ancora a diventare volontà collettiva e impulso generalizzato. Sulla maglietta il piccolo Marco scrive: «Papà non ti dimenticherò mai» e poi «No alla mafia»: memoria che si fa azione, volontà vera di liberazione di una terra ancora funestata dal male.

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