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Storie della Quinta mafia/2

Di Adele Conte il . Dai territori, Lazio

La prima indagine che mette alla luce il potere dei Bardellino sulla zona e la loro capacità di “toccare” i rami politici locali è “Formia connection” del 2004.  Ernesto Bardellino (già ex sindaco di San Cipriano D’Aversa) viene coinvolto per l’estorsione ai danni di Giovanni Cianciaruso (presidente della cooperativa sociale di Formia “Solidarietà sociale”) ma le indagini non portano a prove certe e rimangono solo indiziarie. 

Dagli anni ’90 ad oggi il Sud-Pontino ha visto crescere a propria economia velocemente e senza alcun controllo. Vengono investiti sodi per ipermercati, negozi di vestiti, discoteche, ristoranti, alberghi, ville e villette, aziende agricole e anche aziende bovine di bufali. La via principale di Formia (via Vitruvio) dove vi erano storicamente i negozi migliori della zona inizia a soffrire una depressione economica forte a causa della concorrenza del centro commerciale e anche a causa dei debiti dei negozianti. Iniziano a spuntare come funghi negozi di vestiti  tutti riconducibili ad una stessa azienda con sede a Napoli. Stessa sorte tocca a Latina che ha il suo boom del cemento e dei centri commerciali durante una fase di teorica depressione economica. Anche nel centro di Latina le insegne dei negozi iniziano a cambiare più velocemente di prima. Un lavoro capillare che inizia con usura ed estorsione ma che punta alla rilevazione dell’attività economica in maniera da controllare direttamente l’economia locale. 

Il fenomeno dell’usura e dell’estorsione ha delle pieghe spaventose ma più passa il tempo più diminuiscono le denunce mentre rimane stabile il numero di incendi dolosi contro negozi e aziende (l’ultimo in ordine di tempo è contro la Blue Fish , azienda importante di Gaeta, incendiatasi verso la fine di giugno di quest’anno). La diminuzione delle denunce è un dato allarmante perché vuol indicare una presenza oramai accettata passivamente o un controllo delle attività diretto da parte dei clan. 

Ma non c’è solo Formia nel Sud Pontino. Un altro snodo di traffici e di riciclaggio di denaro sporco è Fondi. La capitale del commercio di prodotti agricoli del sud Italia. A  Fondi vi è il Mof, il mercato ortofrutticolo all’ingrosso più grande del Sud Italia. A Fondi e nei borghi di Latina vi sono aziende agricole direttamente controllate dai clan che le usano sia come depositi (a volte anche di armi) che come posti dove passare la latitanza o i “soggiorni obbligati”. Sembra che le tre mafie egemoni in Italia si siano “spartite” anche le tipologie di ortofrutta da smerciare: i siciliani le arance, i calabresi i pomodori, i casertani le mele annurche. Ma sono “voci di paese”. Vi è l’ipotesi che il commercio di ortofrutta venga usato anche per far viaggiare insieme alle merci sia armi che droga. Ma sono solo ipotesi non accora accertate.  

Di certo c’è che quelle volte che le mafie hanno commesso omicidi in zona sono state le uniche occasioni per trovare riscontri effettivi tra ipotesi e realtà. In questo ha contribuito la faida tra i Casalesi e i La Torre a cui ha partecipato il “Gruppo Mendico” di Santi Cosma e Damiano. A questa faida sono infatti ricollegati numerosi omicidi compiuti dal 1990 al 2000 che hanno fatto partire l’inchiesta “Anni ’90”. In particolar modo l’omicidio di Giovanni Santonicola e Rosario Cunto oltre che quello di Albrto Beneduce, ovvero colui che si occupava delle estorsioni per i clan dei Casalesi in tutto il Sud Pontino fino alla Baia Domitia.  

Per ammissione dello stesso boss La Torre (pentito) vi era un accordo per cui il 50% degli incassi in quelle zone era dei La Torre e il restante andava ai Casalesi tramite Beneduce, ma lo stesso Beneduce iniziò a non rispettare i patti e a sconfinare nei territori dei La Torre. I La Torre gestivano le estorsioni a Cellole, Formia, Scauri, Casteforte, Baia Domitia,Minturno e per accordo spartivano con i casalesi mentre dopo la morte di Bardellino i casalesi misero Beneduce a compiere direttamente le estorsioni in quelle zone facendo irritare i La Torre e soprattutto i De Falco che puntavano su quelle zone sapendo bene l’importanza economica del sud pontino per i clan. 

Formia quindi diviene luogo di caccia per i Casalesi che nella loro faida interna cercano di far fuori tutti i Salzillo (bardelliniani) e i compari. Dario De Simone (pentito) parla di “persone che già abitano a Formia” da mettere insieme per compiere l’operazione. Fa specie pensare alle dichiarazioni di alcuni pregiudicati del Sud Pontino che denunciarono di esser stati avvicinati da esponenti dei clan locali che , sotto la minaccia di armi, pretendevano di affiliarli in cambio della “libertà” di agire sul territorio (ovvero di continuare il loro lavoro di piccoli criminali locali con la loro benedizione purché pagassero una parte degli introiti ai clan). 

  Il loro potere sulla zona è assoluto se si pensa che non vi sono denunce a carico per i numerosi incendi dolosi avvenuti negli anni (segno di intimidazione ed estorsione) per paura di ritorsioni. Probabilmente uno dei pochi (se non l’unico) che osò alzare la testa fu Ferdinando Di Silvio, pregiudicato locale di origine rom che si occupava di  estorsioni, traffico di stupefacenti ed altro: fu fatto saltare in aria con un’autobomba azionata con un congegno a distanza sul litorale di Latina.

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