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La scomunica delle mafie

di Gianni Bianco il . L'analisi

Una decina di uomini in cerchio, tutti insieme in una giornata d’estate di qualche anno fa, al santuario della madonna di Polsi a san Luca. Fotogramma che poteva star bene in un filmato amatoriale di pellegrini e che invece è tra i più celebri mai ripresi dai Carabinieri, finito agli atti di un’inchiesta sulla ‘ndrangheta che ha fatto epoca. Perché quelli in circolo non erano calabresi scesi da un torpedone, devoti della Madonna della Montagna. Ma i capi delle cosche più potenti, riuniti attorno a quel simbolo della fede per discutere di strategie mafiose, intenti a dibattere del “crimine che non è di nessuno, ma è di tutti”, magari sperando in una benedizione divina su quelle parole di morte.

Basta forse questo fermo-immagine per dire quanto nuovo e dirompente sia stato il messaggio lanciato da Papa Francesco in Calabria. Un anatema che non si ferma alla condanna delle collusioni del passato, ma chepiuttosto chiede ora a tutti, uomini di Chiesa e laici, di contribuire a scrivere un nuovo presente, un futuro finalmente disintossicato dalla gramigna mafiosa.“La ‘ndrangheta è adorazione del male e disprezzo del bene comune” ha tuonato Bergoglio, “questo male va combattuto, va allontanato, bisogna dirgli di no. La Chiesa deve sempre più spendersi perché il bene possa prevalere. Ce lo chiedono i nostri ragazzi. Ce lo chiedono i nostri giovani, bisognosi di speranza”.

Parole di condanna che in parte il Papa argentino aveva già pronunciato con uguale partecipazione ed energia, alla veglia di Libera a Roma quattro mesi fa. Ma che hanno ben altro impatto ripetute proprio lì, a Sibari, nella culla della mafia fra le più potenti del pianeta, spesso cullata e legittimata anche da esponenti della Chiesa. Non a caso se Giovanni Paolo secondoaveva lanciato la sua più forte invettiva (“Convertitevi verrà il giudizio di Dio”), nella valle dei templi ad Agrigento, nel ’93 quando Cosa Nostra, con le stragi, veniva avvertita come il nemico pubblico uno avendomostrato il suo volto più sanguinario e feroce, Papa Francesco ha attaccato frontalmente le mafie proprio in Calabria, dove più alto è – vent’anni dopo – l’allarme, e più forte il bisogno di legalità condivisa proprio a partire dalle parrocchie, dall’organizzazione, ad esempio, delle feste patronali.

A cogliere per primo il cambio di marcia, a segnalare il potenziale di cambiamento che quelle parole richiedono, non poteva che essere Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, che combattendo senza sosta la ‘ndrangheta, spesso, come nell’ultimo libro, “Acquasantissima”, ha finito per denunciare anche le troppe reticenze, i silenzi complici, le passeggiate a braccetto tra capoclan e uomini al servizio di Dio, ma talvolta asserviti alle esigenze dei clan. ”Una dichiarazione storica. Da tanto tempo aspettavamo che un Papa pronunciasse queste parole” ha commentato a caldo Gratteri, “ora tutti noi, credenti e non credenti, addetti ai lavori e non, dobbiamo essere consequenziali e coerenti. Quel monito servirà ad ognuno di noi per prendere posizione: non si potrà più dire che ci vuole il certificato antimafia per sapere, in un paese di cinquemila abitanti, chi è il capomafia, chi vive commettendo reati e soffocando la libertà e la dignità delle persone”.

“Ora” aggiunge sulla stessa linea don Luigi Ciotti, “non dobbiamo lasciarlo solo. Il Papa indica e chiede a tutta la comunità cristiana da che parte stare. Il Vangelo invita a parlare chiaro, che è il contrario dell’ipocrisia”.

A Sibari, la Chiesa ha fatto un passo avanti dal quale non potrà più tornare indietro. Dopo i tempi di Monsignor Bregantini a Locri, assieme all’opera di tanti sacerdoti che in questi anni non si sono mai tirati indietro, altripiccoli passi sono stati fatti, come la recente decisione della Conferenza episcopale regionale di far studiare la ‘ndrangheta nei seminari, così che i preti, assieme alla vocazione, maturino una volta di più la consapevolezza che la mafia fa sempre a cazzotti con il Vangelo. Ma assieme a questo, è tutta la comunità, non solo calabrese, ad essere d’ora in avanti chiamata in causa, non lasciando più solo (ma sostenendo concretamente) chi già si è esposto in prima persona. Gente come l’ex sindaco di Rizziconi, Nino Bartuccio, un amministratore pubblico che ha subìto violenze e visto minacciare il figlio tredicenne e il padre, per aver fatto arrestato quei boss, che al suo posto, volevano decidere del futuro del piccolo paese reggino. Lo stesso Bartuccio che ad un padre di famiglia come lui, intimorito dalle ritorsioni come potremmo essere tutti noi, diceva :  ”ma tu cosa vuoi, che vinca la mafia? Se siamo i buoni dobbiamo stare con i buoni”

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