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Quei migranti maltrattati e presi a bastonate sulle coste libiche

di Piero Innocenti il . L'analisi

Giornate impegnative quelle degli operatori interforze in servizio presso il Centro Nazionale di Coordinamento per l’Immigrazione “R.Iavarone”, attivo da diversi mesi presso la Direzione Centrale per l’Immigrazione e la Polizia delle Frontiere (Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Roma). Gli arrivi dei migranti partiti dalle coste libiche e soccorsi in mare si susseguono a ritmisempre più intensi. Anche in condizioni, come quelle di questi ultimi giorni, di “mar libico e stretto di Sicilia molto mossi”. Alcuni stranieri arrivano anche con evidenti segni di percosse sui volti. Sono quelli inferti, con i bastoni, dagli “accompagnatori” libici nel momento dell’imbarco suigommoni stracolmi di persone a coloro che si rifiutavano nel timore di un rovesciamento in mare. E’ la testimonianza di alcuni senegalesi soccorsi che hanno raccontato anche di almeno una decina di persone picchiate selvaggiamente per questo motivo nella notte del 13 giugno e rimaste sulla spiaggia nelle vicinanze di Tajourah. Questi alcuni dei “dettagli” poco noti sulle migrazioni mentre i giornali siciliani, ma anche quelli nazionali, dedicano ancora oggi ampio spazio alla emergenza che stanno vivendo i diversi Comuni dell’isola impegnati nella non facile attività di assistenza edalcune chiese vengono aperte per dare rifugio a intere famiglie. Tuona il sindaco di Palermo (“L’Europa è sorda, siamo rimasti soli”), mentre da Pozzallo, il Ministro dell’Interno Alfano torna a ribadire che “..Mare Nostrum non può durare all’infinito”, spalleggiato dal segretario della Lega, presente anche lui in Sicilia, che chiede il blocco immediato dei soccorsi in mare.

Un modo sbrigativo ( sconcertante, come quello “maroniano”, del 2009, dei respingimenti dei barconi in mezzo al mare) per risolvere il problema degli arrivi via mare che, nel 2014, alla data del 17 giugno, sono stati 58.235 di cui ben 53.353 partiti dalla Libia. Quante morti ci sarebbero state se se le navi della nostra Marina Militare non avessero consentito di soccorrere, dal 22 ottobre 2013 al 17 giugno c.m., le 42.562 persone stipate su gommoni e vecchie imbarcazioni in legno? Quanti sarebbero annegati senza le operazioni Hermes 2014 (27.757 le persone soccorse da maggio 2013 a giugno c.a.) ed Aeneas (379 persone salvate nei quindici giorni di giugno), entrambe coordinate da Frontex? Il Mare Mediterraneo è la grande “autostrada” che porta in Europa e, quindi, è qui che occorre concentrare il massimo sforzo di tutta l’UE per controllare e assistere le migliaia di persone che fuggono dai loro paesi e che saranno sempre di più perché altri paesi africani sono in rivolta (Ruanda, Mali, Kenya, Nigeria). Né ha molto senso pensare ad un trasferimento della sede Frontex da Varsavia in Italia pensando che ciò serva a migliorare la gestione dei flussi. L’unica cosa sensata, allo stato, è quella di costituire un centro europeo di accoglienza  in Libia dove poter garantire il diritto di asilo a tutti coloro che lo vantano e, quindi, provvedere al trasferimento nei vari paesi europei tenendo conto delle richieste dei singoli e delle situazioni locali degli Stati. I trafficanti di persone, in tal modo, vedrebbero tagliati i loro ignobili affari! D’altronde è difficilissimo venire a capo di queste bande di varie nazionalità che sono ben ramificate in territorio libico (e non solo) e che godono di evidenti protezioni locali. Pensare di giungere alla identificazione dei vari personaggi Al Kassih, Alonda, Djanal, Kaled, Mizar ecc… che vengono citati nelle diverse testimonianze rese dai migranti alla polizia italiana, o di risalire alla loro identità attraverso i numeri cellulari, è pura utopia. Servono a poco anche gli arresti in Italia degli “scafisti” ( oltre 160 nel 2014) che hanno pilotato le imbarcazioni.

In molti casi, poi, è stato impossibile anche la loro individuazione perché “..hanno tenuto il volto coperto per tutta la navigazione, salvo scoprirsi e mescolarsi con gli altri poco prima dell’arrivo dei soccorsi” (da una testimonianza di un migrante soccorso il 15 giugno u.s.). In altri casi gli “scafisti” sono stati reclutati tra gli stessi migranti che, non disponendo di denaro per pagare il viaggio in mare, hanno dato la loro disponibilità. Continuano a riempirsi di migranti in attesa degli imbarchi le diverse “safe houses” predisposte dai trafficanti nei vari punti delle coste dove sistemare provvisoriamente centinaia di persone in attesa del momento favorevole per i trasferimenti sulle spiagge per gli imbarchi. Case tenute chiuse a chiave dall’esterno e vigilate da uomini armati. Dettagli drammatici che molti ignorano.

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