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Mafie senza crisi

di Fabio Basile il . Senza categoria

di Fabio Basile /// — “Le mafie non conoscono crisi”, è questo il titolo del ciclo di seminari interuniversitari nato con l’intento di far sì che il dibattito sul contrasto alla criminalità e i valori della legalità circolino tra i corridoi degli Atenei milanesi. Libera, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli Studi di Milano, ha organizzato il convegno “Lotta alla mafia: nuove leggi… vecchi problemi?”. Obiettivo del convegno della Statale era quello di illustrare e discutere i risultati dei lavori di due Commissioni ministeriali che, sotto il precedente Governo, erano state incaricate di formulare proposte legislative per una più efficace lotta, anche patrimoniale, alla criminalità di tipo mafioso: da un lato, la Commissione istituita dall’allora Presidente del Consiglio Enrico Letta con decreto del 7 giugno 2013; dall’altro, la Commissione istituita con decreto del 10 giugno 2013 dall’allora Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri (il testo completo delle relazioni delle due Commissioni è reperibile sulla rivista giuridica on line Diritto penale contemporaneo).

A rappresentare la prima Commissione è intervenuto direttamente il suo Presidente, Roberto Garofoli, consigliere di Stato e attualmente Capo di Gabinetto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il quale si è soffermato, in particolare, sulle misure di prevenzione patrimoniale e sulla confisca di aziende. Come è noto, infatti, uno degli strumenti più efficaci per contrastare la criminalità organizzata consiste nel colpirla al suo cuore: alle sue ricchezze, alle sue disponibilità immobiliari, alle aziende da essa gestite. Si tratta, tuttavia, di uno strumento non facilmente ‘maneggiabile’, che richiede professionalità e competenza: basti pensare al fatto che l’azienda, una volta sottratta al controllo criminale, va ‘disinquinata’ e quindi gestita, anche nell’interesse dei lavoratori e dei creditori coinvolti, con l’obiettivo di riportarla in condizioni di concorrenzialità, nel rispetto (finalmente!) della legalità. Ad illustrare i lavori della seconda Commissione (c.d. Commissione Fiandaca, dal nome del suo presidente), è intervenuto un suo autorevole componente, il prof. Alberto Alessandri, docente di diritto penale dell’economia nell’Università Bocconi.

Nel suo intervento, riprendendo alcuni spunti già formulati dal cons. Garofoli, il prof. Alessandri ha esposto le possibilità e gli ostacoli dell’introduzione dei reati c.d. di auto-riciclaggio e di auto-impiego. Come è noto, infatti, il nostro codice penale già punisce il delitto di riciclaggio (vale a dire la consapevole attività di ‘ripulitura’ di denaro, beni o altre utilità di provenienza delittuosa: art. 648 bis), e il delitto di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (vale a dire l’utilizzo dei proventi illeciti, una volta ‘ripuliti’, in attività economiche o finanziarie: art. 648 ter): si tratta di condotte assai gravi, perché attraverso di esse non solo si ostacola l’identificazione e il recupero dei proventi illeciti, ma soprattutto si consolida il danno all’economia legale, in quanto la criminalità viene a disporre di preziose risorse al di fuori degli schemi della concorrenza di mercato e dei vincoli di legge. Nella loro attuale conformazione, tuttavia, queste norme non sottopongono a pena l’autore del delitto da cui originano i proventi illeciti (c.d. delitto-presupposto). Al momento in discussione è, pertanto, l’opportunità di cambiare sul punto, punendo, attraverso gli artt. 648 bis e 648 ter c.p., anche all’autore del delitto–presupposto. Tale cambiamento andrebbe, tuttavia, operato con congrue modalità al fine di evitare di punire due volte, o addirittura tre, quella che potrebbe essere, nella sua sostanza, un’unica condotta delittuosa che reca alla società una sola offesa: si pensi solo che una malaccorta riformulazione degli articoli in parola potrebbe condurre a punire in termini sproporzionatamente rigorosi anche il ladruncolo che dopo aver rubato un motorino ne altera la targa, lo rivende e con il ricavato si va a fare una mangiata al ristorante con i suoi compari.

Nel convegno della Statale è poi intervenuto Don Ciotti, il quale ha prima di tutto riportato la testimonianza di Libera come soggetto impegnato – pur tra mille ostacoli, e non solo legislativi – nella gestione di beni sottratti alla criminalità organizzata di tipo mafioso. Don Ciotti ha poi cercato di ‘scuotere gli animi’ dell’ampio pubblico presente, sottolineando i limiti, i ritardi, e, ovviamente, le iniquità che la presenza della criminalità mafiosa impone allo sviluppo, economico e sociale, del nostro paese, compromettendo il futuro dei nostri giovani. Il convegno, i cui lavori sono stati moderati dal giornalista del Corriere della Sera, Luigi Ferrarella – tra i più competenti commentatori della cronaca giudiziaria italiana – ha visto infine la partecipazione del prof. Emilio Dolcini, il quale ha sottolineato la piena consonanza, sia pur in sedi e con strumenti differenti, tra gli obiettivi di Libera e quelli del Dipartimento C. Beccaria dell’Università degli Studi di Milano, di cui egli è direttore. Si è trattato, in effetti, di una feconda occasione in cui è stato possibile riflettere sulle possibili scelte future del nostro legislatore, portando tale riflessione all’interno dell’Università ed in tal modo sensibilizzando un ampio pubblico, formato soprattutto da giovani, sull’urgenza di un contrasto, diffuso e condiviso, alla criminalità mafiosa.

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