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Formazione alla Pace: da Bogotà a Soacha la sfida dei giovani colombiani

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Diari dal progetto Giramondi e Atrevete!Mundo

Giramondi

28 maggio terzo giorno

“Se non ti piace il tempo a Bogotà, aspetta quindici minuti”. Con questo motto colombiano, ha inizio la terza giornata del viaggio della Memoria e dell’Impegno in Colombia, del gruppo “Giramondi”. C’è il sole, poi piove, poi c’è nuovamente il sole a Bogotà: tutto cambia continuamente in questa città e anche nelle vie del quartiere Teusaquillo che portano alla “Foundacion Escuelas de Paz” il traffico intenso di ieri lascia il passo al silenzio delle strade del quartiere “europeo”. Qui ci accoglie Amada, donna minuta dagli occhi attenti, e insieme ai ragazzi di “Atrevete!Mundo” diamo vita ad un incontro preparatorio per la nostra visita alla cittadina di Soacha, che si terrà domani. Soacha e’ un po’ la periferia di Bogotà, “un quartiere dormitorio”- spiega Amada – in realtà appartiene già ad un altro distretto: i confini sono segnati solo dai conflitti sociali in corso. Qui, difficoltà economiche, illegalità diffuse, la presenza dei paramilitari e molti altri problemi rendono la vita difficile agli abitanti e mettono a rischio la qualità della vita e talvolta la vita stessa dei giovani. A loro – spiega Amada – e’ rivolta la progettazione e l’attenzione massima delle “scuole di Pace”: l’obiettivo, ripetono più volte, e’ consentire ai ragazzi di diventare agenti di cambiamento. La Fondazione lavora facendo rete con molte altre associazioni con il comune intento di portare ad uno sviluppo completo dei giovani, individuale e sociale. Pranziamo, anche oggi, con un piatto tipico della cucina colombiana: una zuppa chiamata Ajiaco con pollo, patate, una pannocchia di mais e capperi accompanata con Avocado e riso. “Por la tarde”, ovvero nel pomeriggio, ci dirigiamo nel cuore finanziario della città, dove ha sede un centro studi e ricerche che si occupa di “giustizia transizionale”. “L’ International Center for Transitional Justice” nasce a New York e dal 2004 ha una sede colombiana. I ricercatori del centro ci raccontano del loro lavoro sulla “giustizia riparativa”, gli aspetti giuridici e politici delle leggi approvate in Colombia per le vittime del conflitto e per i familiari delle vittime. Un tema che si inserisce in una particolare congiuntura politica, con un ballottaggio presidenziale alle porte fra due candidati di destra, come spiega la direttrice del Centro, Camila Moreno Munera, che teme la vittoria del candidato di estrema destra, fra le altre cose, poco attento al tema del conflitto e alla situazione delle vittime. Di politica e memoria delle vittime parliamo in serata anche con José Antequera del Movimiento de Hijos y Hijas por la memoria y contra la Impunidad en Colombia. Ad accoglierci assieme a Josè, anche Fernanda, Silvy, Leonore, ragazze che fanno parte della rete di movimenti sociali di Bogota’. Quando arriviamo nel Barrio (il quartiere, ndr) La Macarena e’ in corso un black out, accade spesso da queste parti. Cosi’ l’incontro con il movimento diventa subito una allegra e piacevole cena fra amici illuminata soltanto dalle candele e accompagnata da buon vino argentino. Jose e le ragazze del movimento ci sorprendono subito. Pensavamo di incontrare un movimento impegnato sul tema della memoria e invece abbiamo avuto la fortuna di conoscere una rete di associazioni che ha costruito un impegno sociale e politico che sta “risvegliando” Bogotà. “Partire dalla cultura, dalla condivisione degli spazi pubblici in città per riaffermare – ci spiegano – la partecipazione politica, troppo a lungo negata e ostacolata in questa città e nel Paese”. Le elezioni presidenziali alle porte aprono ad uno scenario politico e sociale difficile ma José si dice comunque ottimista, durante la cena ci introduce, insieme alle compagne del movimento, dentro la “pancia” di una città che da più di un anno si sta mobilitando e sta ritrovando la forza della protesta, soprattutto grazie ai giovani e alle donne. Jose’ e’ figlio di un politico dell’Union Patriotica ucciso dalle forze paramilitari: un partito che a cavallo degli anni ’80 e ’90 ha subito un vero e proprio genocidio politico, con più’ di 5000 militanti assassinati. Con noi in viaggio c’é Flavia Fama’, figlia di una vittima della mafia. Jose’ e Flavia si scambiano le loro storie solo a fine serata: tanto basta per riconoscersi subito come appartenenti ad una unica famiglia, dolore e forza nei loro occhi, un lungo abbraccio quando andiamo via e l’impegno a tenersi in contatto, come già accade con altri familiari dell’America Latina. “Se non ti piace il tempo a Bogotà, aspetta quindici minuti” dicevamo alle prime ore del mattino, quindici minuti o poco più e’ il tempo del cambiamento a Bogotà, un cambiamento che abbiamo avuto la fortuna di incontrare sulla nostra strade grazie anche ai movimenti giovanili di Bogotà.

29 maggio, quarto giorno

Oggi insieme ai ragazzi di Atrevete!Mundo, siamo stati a visitare una favela, la Comuna 4, Altos de Cazucà, nella municipalità di Soacha, poco fuori Bogotà. L’intento della visita è stato quello di condividere con le associazioni del territorio, l’esperienza di impegno sociale in questa realtà così vulnerabile. La Comuna 4, infatti, abitata in prevalenza da dezplasados, è controllata dalle forze paramilitari, in uno stato di totale precarietà caratterizzata dall’assenza di servizi pubblici di prima necessità. La sensazione che si ha arrivando in questo luogo è di essere ai confini del mondo e dell’umanità . Siamo arrivati in una città, una megalopoli di oltre 800.000 anime, con un conglomerato di case per la maggior parte auto costruite in maniera approssimativa. Le strade sono sterrate, polverose e popolate da cani randagi. L’umanità che sembra assente, ci viene incontro quando visitiamo la scuola CDA, Congregazione Dìos es amor, dove gli educatori e gli studenti ci raccontano come è cambiata la loro vita grazie ai progetti di partecipazione attiva portati avanti dalle associazioni come Pies descalzos, escuela de paz e tiempo de juego. I ragazzi vogliono mostrarci il loro murales, così usciamo un attimo all’angolo della scuola, ma subito ci si avvicinano delle moto della polizia per avvertirci che i paramilitari sono tornati nella zona e che se vogliamo possono farci da scorta. La quiete percepita in quella realtà costruita, sparisce non appena varchiamo il portone della scuola. Nonostante la precarietà e le difficoltà quotidiane cui vanno incontro, questi ragazzi sono molto lucidi e consapevoli di quale sia la vera base che alimenta il conflitto e il disastro colombiano: il narcotraffico. In questa situazione di vero e proprio assedio, è da ragazzi come Mario, che vive qui da quando aveva 8 anni e si ritiene fortunato ad essere cresciuto in questa realtà per poterne capire le dinamiche, che si diffonde la voglia di non accettare passivamente lo status quo, ma di essere ognuno di loro protagonisti del cambiamento. Lui, come altri, ha studiato all’università pubblica, ma ha deciso di tornare per contribuire al cambiamento della Comuna. Adesso fa parte di tiempo de juego ed insegna arti plastiche. In questo contesto così abbrutito, hanno scoperto il valore della bellezza. La musica e l’arte sono la forza del loro cambiamento e come ci dice sorridendo uno dei ragazzi, contribuiscono a rendere questo quartiere “non così male”. Concludiamo questa giornata così densa di emozioni incontrando Ricardo Vargas Meza, un ricercatore indipendente su droga, conflitto e sviluppo alternativo, che ci ha offerto inedite chiavi di lettura per questa situazione complessa e drammatica che si chiama Colombia. Abbiamo percepito ancora di più come il fenomeno del narcotraffico sia il burattinaio che muove i fili della vita quotidiana di questo Paese ( e non solo…). Per fortuna le ragioni di speranza non mancano e sono dettate dalle tante realtà e movimenti giovanili che si impegnano quotidianamente per il cambiamento. Non mancheremo di darne conto. Stay tuned!

Atrevete!Mundo

28 maggio, terzo giorno

Dopo una passeggiata mattutina alla scoperta del centro storico passando per Piazza Bolivar, il centro culturale Gabriel Garcia Marquez e il teatro Colón, i nostri Atrevete hanno incontrato la fundacion Escuela de Paz. La fondazione, attraverso fondi nazionali ed internazionali, promuove progetti per lo sviluppo educativo e culturale degli abitanti di Soacha, una municipalità molto povera nella periferia di Bogotà, e di altre comunità locali. Durante l’incontro con Escuela de Paz i due gruppi Giramondi ed Atrevete!Mundo sono stati informati per l’appuntamento del giorno seguente: la visita di campo alla Comuna 4, una delle favela più grandi di Soacha. Dopo aver pranzato in un piccolo ristorante familiare nel cuore del quartiere di Belen si è dato inizio alle attività a Casa B. Tanti i volumi e i DVD catalogati dentro la futura mediateca dove i tecnici Atrevete hanno montato i computer che “La Redada” – centro socioculturale della Candelaria che lavora a stretto braccio con Casa B – ha regalato ai bambini di Belen. I ragazzi hanno aiutato inoltre a organizzare eventi e incontri con il quartiere, in particolare una serata di scambio di buone pratiche chiamata “Cien Pasos – Nuevo Cinema Paraiso” che si terrà domenica 1 Giugno a Casa B e sarà aperto a tutta la comunità. Nel frattempo un’altra parte del gruppo Atrevete!, appassionato di pollice verde, si è dedicato alla sistemazione della CineHuerta: cinema-orto-comunitario aperto ai giovani e agli abitanti del quartiere. L’obiettivo di questo spazio è di promuovere il cinema comunitario e promuovere l’educazione nutrizionale in un luogo circondato da fiori e pareti verdi. Dopo tanta polvere, mattoni da spostare e bambini con cui giocare, “los compañeros italianos” si sono meritati una classica “arepa” doppio formaggio e burro e si sono incamminati verso Casa Iraca, per concludere la giornata interculturale con un concerto di musica Africana! …Musica no tiene nacionalidad..Musica tiene sueños.
 29 maggio, quarto giorno

Immersi in un inquinamento asfissiante, i gruppi Atrevete e Giramondi  si dirigono verso Soacha, uno dei municipi più poveri e popolati, nel dipartimento di Cundinamanca, alle porte della città di Bogotà. Il mezzo di trasporto utilizzato è il Transmilenio, uno degli autobus più moderni che si incontrano nelle caotiche vie colombiane. Durante il tragitto, si incontrano mercati di carni a cielo aperto affollati di persone, indaffarate nella contrattazione, il metodo di compravendita ancora corrente, che tanto ricorda le società agricole tradizionali del mezzogiorno Italiano. Giunti al confine con Soacha si cambia mezzo di trasporto: i due gruppi trasbordano in un vecchio e piccolo autobus che si arrampica sull’unica strada che conduce in cima al municipio; la carreggiata non è asfaltata, le casette sono in mattoni e legno e coperte da lamiere in ferro. Le fogne non ci sono e l’acqua è raccolta in cisterne sui tetti delle case. In queste baracche fatiscenti vivono quasi 1 milione di persone, uno dei municipi più popolati del paese a causa delle migliaia di persone “desplazados” (sfollati), più di 50000, che dalla regioni limitrofe, dal 1999 al 2006 si sono riversate in questo smisurato quartiere dormitorio. Giunti in cima, a quasi 3000 metri di altezza, i due gruppi trascorrono tutto il giorno nel “Collegio Dios es Amor”, partner della Escuela Memoria y Paz. La giornata si apre con alcuni esercizi di educazione alla pace – mani unite, contatti fisici, giochi – che rompono l’iniziale imbarazzo e generano fiducia reciproca e collaborazione. Divisi poi in gruppi, insieme ad alcuni studenti della scuola, si avvia l’attività mattutina, “il dialogo tra i saperi”, uno scambio di esperienze e vite con i ragazzi colombiani. Alla fine di ogni conversazione, ciascun gruppo presenta il proprio “dialogos de los saberes”, ognuno ricco di vita, sofferenza e profonda umanità.  In ogni storia affiora l’importanza di occupare il tempo libero;  “non voglio che los muchachos – i ragazzi – vivano ciò che ho vissuto io”, racconta  Estirk. Lui ha 17 anni ma ha trascorso 15 mesi in carcere per furto e oggi, grazie alla Fondazione, è diventato educatore e monitor di altri ragazzi più giovani. “E’ così che occupavo il mio tempo libero; rubavo sia per noia, sia per avere màs plata – i soldi”.
Rapiti da questi racconti e accompagnati dal “sambuco”, tipica musica colombiana, suonata dai bimbi che appartengono allo stesso progetto “occupare il tempo libero per non cadere nelle mani della criminalità”, la commozione fatica a trattenersi ma le parole di Lina, un’attivista ventenne che si descrive come anarchico socialista, lasciano a tutti i partecipanti la strana sensazione di essere parte di un cambiamento:  ” i problemi sociali della Colombia – la corruzione, la criminalità – sono globali; il cambio può avvenire veramente perché noi giovani di tutto il mondo stiamo contribuendo a questo cambio”.

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