Storia di un albergo in mano alla mafia
Cinque avvisi di garanzia per estorsione aggravata e intestazione fittizia di beni. Sono stati notificati a Castellammare del Golfo ad un ex consigliere comunale della sinistra, ing. Camillo Navarra a suo figlio Giacomo, all’imprenditore Vincenzo Caleca, all’ex ragioniere del Comune Francesco D’Angelo e, in carcere, all’imprenditore condannato per mafia Mariano Saracino. Oltre agli avvisi anche il sequestro di due alberghi costruiti di fronte all’antico baglio di Scopello. Una costruzione «sponsorizzata» dalla mafia per i magistrati della Dda di Bologna che indagano dopo che dalla procura di Trapani per competenza è stato trasmesso il fascicolo di indagine. Dentro ai faldoni una vicenda che nel suo complesso è nuova, ma che si è sviluppata secondo i soliti «inciuci» tra mafia, politica e imprenditoria, sfruttando una burocrazia se non collusa disattenta, e prendendo di petto il territorio ancora oggetto di colate di cemento e speculazioni. La storia in sintesi è questa. C’è una coppia di anziani coniugi che posseggono un terreno a Scopello, vengono costretti a venderlo alle imprese che si muovevano con la copertura mafiosa, una volta acquisita la proprietà si camuffa tutto con un bell’intervento utile ad aumentare la ricettività alberghiera, e in tutto questo ci guadagna solo e soltanto la mafia ed i suoi mammasantissima.
Non è stata trovata una sola carta fuori posto tra quelle prodotte dalla burocrazia per fare costruire questi alberghi ora sequestrati da 160 e passa posti letto, sorti in una zona suggestiva, tra il golfo di Castellammare, l’antico borgo di pescatori e agricoltori di Scopello, e la riserva naturale dello Zingaro. Addirittura c’è stata anche una conferenza di servizi che ha dato il nulla osta per l’avvio dei lavori. Con tanto di variazione urbanistica concessa in un periodo cruciale, quando è intervenuta la decadenza dei vincoli paesaggistici e quindi il cemento non era più incompatibile col territorio. In Sicilia i piani di tutela paesaggistica hanno una caratteristica: non hanno vigenza a tempo indeterminato, ad un certo punto scadono, e per fare scattare nuova efficacia ci vuol tempo, in questi spazi arrivano al momento giusto imprenditore e progetto che riescono a costruire laddove prima non si poteva. Questo è successo a Scopello, ma anche altrove, nelle Egadi per esempio, ma questa è un’altra storia.
A Scopello la costruzione dei due alberghi davanti alle vecchie casupole del borgo è andata avanti tranquillamente nonostante le proteste degli ambientalisti e delle associazioni culturali. Nessuno però degli organi chiamati a vigilare ha mai osservato nulla di illecito, adesso se ne capisce il perchè, c’era l’ingerenza mafiosa.Della costruzione di questi alberghi si può leggere qualcosa nel rapporto firmato dagli ispettori ministeriali che portò tre anni addietro allo scioglimento per mafia del Comune: gli ispettori individuarono opere, pubbliche e private, che sono servite a Cosa Nostra per comandare. Sull’albergo ora sequestrato ci sono i nomi di un paio di «potenti» della mafia castellammarese, Gino Calabrò, per esempio, il lattoniere esperto di stragi mafiose e Mariano Saracino, l’imprenditore che faceva il «cassiere» della cosca. L’indagine da Trapani è finita alla Dda di Bologna, pm Piro e Orsi, quando, all’esito dell’inchiesta condotta dai carabinieri della Compagnia di Alcamo, si è scoperta essere avvenuta a Bologna l’estorsione mafiosa per costringere a vendere un’anziana vedova; dopo la morte del marito era rimasta l’unica proprietaria del terreno dove è stata realizzata la struttura turistico ricettiva. Successivamente sono entrati in campo i Gico della Guardia di Finanza, e adesso il cerchio si è chiuso attorno a cinque persone, indagate a piede libero per estorsione aggravata e intestazioni fittizia di beni. La vendita fu concordata per un prezzo notevolmente più basso rispetto al valore dei 60 mila metri quadrati. A convincere in modo mafioso la donna a vendere (per telefono ricevette un paio di telefonate di qualcuno che si presentava dall’altra parte come Totò Riina – all’epoca già detenuto – che le diceva che doveva vendere quel terreno) sarebbe stato l’ex ragioniere capo del Comune Francesco D’Angelo. Quello che è accaduto dopo, è ben visibile. Si sono costruiti due alberghi, valore 6 milioni di euro, in quell’area che nel frattempo è risultata intestata a Vincenzo Caleca, ma questi sarebbe solo prestanome di un paio di mafiosi di Castellammare.
A casa dell’ex ragioniere capo del Comune, Francesco D’Angelo sarebbero state sequestrate delle armi. L’ex pubblico funzionario nel rapporto antimafia è indicato tra i presidenti di quelle gare di appalto che sono risultate «condizionate» dall’associazione mafiosa. Fu la commissione straordinaria che sostituì la Giunta «licenziata» per inquinamento mafioso, a «sollecitarlo» a suo tempo al pensionamento anticipato; e lui accettò a suo modo l’invito, andò in pensione e l’ultimo giorno di servizio finì con l’espletare i propri bisogni fisiologici nel cassetto della sua ex scrivania.
La vicenda offre uno spaccato di come nel tempo sono andate le cose a Castellammare del Golfo che non è un paese qualsiasi della Sicilia, ma quello dove la mafia tiene ancora bene piantate le sue radici, tieni i collegamenti con le cosche Usa e non solo con queste. Una mafia che gode anche di trasversalismi in politica, da destra a sinistra passando per il centro. Collegamenti tra politici della sinistra e mafiosi che non erano del tutto sconosciuti, ma al solito fare finta di non vedere è una caratteristica comune a molti, tessere a parte, da queste parti della Sicilia.
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