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‘Ndrangheta, due sindaci in cella

Di redazione il . Calabria

Una consulenza al nipote del boss, lavori e delibere accomodati, appalti pilotati, un sistema di potere consolidato. Un terremoto, quello scatenato dalla Dda di Reggio Calabria, che ha portato in cella il sindaco e il vicesindaco di Gioia Tauro (comune sciolto per infiltrazioni mafiose), Giorgio Dal Torrione e Rosario Schiavone, il sindaco di Rosarno Carlo Martelli e Gioacchino Piromalli insieme al nipote omonimo,  ai vertici del potente casato della Piana reggina.

Per i tre amministratori l’accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa. Accuse che arrivano dopo lo scioglimento del consiglio comunale di Gioia, nello scorso aprile. L’operazione è la naturale prosecuzione  della commissione di accesso agli atti e soprattutto dell’operazione “Cento anni di storia”, che ha decapitato i vertici della cosca Piromalli con l’esecuzione di 18 fermi. Proseguendo le indagini ed ampliando i filoni riguardanti i rapporti con la pubblica amministrazione, i pm della Dda reggina Salvatore Boemi, Roberto di Palma, Roberto Pennisi e Maria Luisa Miranda sono giunti alla richiesta avanzata al gip dell’emissione di cinque ordinanze di custodia cautelare.

Secondo gli inquirenti, la cosca Piromalli era diventata “soggetto attivo dello sviluppo territoriale di Gioia Tauro”, riuscendo pilotare il programma di recupero urbano dei comuni e ad infiltrarsi nei lavori per la ristrutturazione della statale 111 e
dell’A3 . In particolare, come rivelerebbero alcune intercettazioni che il sindaco Dal Torrione avrebbe fatto modificare il progetto dello svincolo della Salerno-Reggio per venire incontro alle richieste della cosca. Con la regia del 74enne Gioacchino Piromalli, ritenuto a capo di quella che è ritenuta una delle più potenti ‘ndrine calabresi.

Altro elemento che emerge dall’accesso agli atti del comune reggino, Dal Torrione avrebbe cercato di far acquisire a una società mista pubblico-privata, la Tauro Ambiente, l’appalto per la pulizia degli arenili e dell’acqua adiacente il porto cercando di ottenere un bando di gara «blindato» per riuscirvi. «Un interesse – scrivono i pm della Dda reggina – che si ricollegava a quello della criminalità organizzata».

Una pratica non nuova. Dalle inchieste che si sono succedute negli anni, i Piromalli hanno gestito gli appalti riguardanti tutti lavori pubblici della zona (processo “mafia delle tre province”. Dalla costruzione dell’A3 negli anni 60, alle opere relative al Quinto centro siderurgico fino alle infiltrazioni nel porto di Gioia (operazione Porto) e ai lavori di ammodernamento della Salerno-Reggio. Negli anni 70, il re della ‘ndrangheta Mommo Piromalli è stato il grande tessitore della Santa, il nuovo assetto criminale che ha permesso alle cosche di intensificare i rapporti con il mondo della politica e dell’imprenditoria e di entrare nella massoneria dalla porta principale.

In una fotografia di quegli anni relativa alla cerimonia di posa della prima pietra del centro siderurgico, Gioacchino Piromalli fu immortalato accanto a Giulio Andreotti, ospite del suo albergo di Gioia Tauro. Secondo i giudici, il vecchio Gioacchino sarebbe il tramite della famiglia con le amministrazioni locali. Mentre il giovane e omonimo avvocato è già stato condannato per associazione mafiosa, ma anche condannato in sede civile (nell’ambito del procedimento Porto) al risarcimento di 10 milioni di euro, la prima sentenza in assoluto che sancisce il danno ambientale provocato dalla criminalità organizzata su un territorio. Una vicenda di grande portata, proseguita con un colpo di scena: l’avvocato, incapace di pagare la cifra, chiese di essere impiegato dai comuni, che gli affidarono una consulenza. “In spregio a qualunque norma giuridica e morale, nonché del buon senso – scrivono i procuratori – le due amministrazioni locali avevano espresso la volontà di pagare consulenze all’avvocato Piromalli.  stato così concesso alla cosca di entrare ufficialmente all’interno dei municipi agevolando le possibilità, già ingenti, di controllo e di indirizzo della pubblica amministrazione”.

Anche il faccendiere Aldo Miccichè è uno degli indagati nell’inchiesta. Per Miccichè, originario di Marapoti, un centro poco distante da Gioia Tauro, negli anni ’80 è stato dirigente della Democrazia cristiana. Da anni si è rifugiato in Venezuela. Nei suoi confronti era già stato emesso un provvedimento di fermo nell’ambito dell’inchiesta che nel luglio scorso porto all’operazione che ha decapitato al cosca Piromalli. L’uomo è al centro di una inchiesta della Dda su presunti brogli degli italiani all’estero alle ultime elezioni che, secondo l’accusa, avrebbero dovuto portare ad un’attenuazione del regime detentivo del 41 bis che Miccichè avrebbe cercato di ottenere mettendosi in contatto con il senatore Marcello Dell’Utri. Alcune telefonate, già riportate nel provvedimento di fermo del luglio scorso sono riproposte nell’ordinanza di oggi. Dell’Utri era stato citato come teste nell’inchiesta su Miccichè. Nell’ambito dell’operazione di oggi Miccichè, è accusato di associazione mafiosa e per lui era stata chiesta l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare.

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