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Quel treno tricolore, chiamato Costituzione

di Pasquale Profiti* il . L'analisi

9 maggio. Giornata in memoria delle vittime del terrorismo e delle stragiIl ricordo* /// – Erano a bordo del nostro treno, Emilio Alessandrini, Mario Amato, Fedele Calvosa, Francesco Coco, Guido Galli, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Vittorio Occorsio, Riccardo Palma, Girolamo Tartaglione. Un treno partito nel 1948; un treno tricolore, chiamato Costituzione. Un treno progettato da ingegneri sapienti, che chiamiamo padri e madri costituenti. Un treno di proprietà di tutti i passeggeri: i cittadini italiani.  Un treno che non ha una destinazione finale, ma stazioni da raggiungere, dalle quali si parte e si dovrebbe ritornare, sempre: sono le stazioni delle libertà e dei diritti; la stazione libertà di pensiero e quella della libertà di religione, la stazione del diritto al lavoro e quella del diritto alla salute; e tante altre. Talune sono particolari: sono stazioni fondamentali, inviolabili. Un treno i cui passeggeri hanno la possibilità d’indicare al conducente la direzione di marcia, per raggiungere prima e meglio quelle stazioni.

Ma il treno può deragliare, a destra o a sinistra; ed è anche un treno  di cui possono impadronirsi in pochi, tra i passeggeri, per decidere solo loro dove andare, in maniera violenta o approfittando del disinteresse degli altri per quelle stazioni. Gli ingegneri sapienti, i costituenti del 48, lo avevano previsto.  Hanno cercato di tutelare il conducente dagli assalti di chi vuole farlo deragliare, questo treno della Costituzione, dagli attacchi di coloro che a quelle stazioni, soprattutto quelle fondamentali ed inviolabili, non vogliono arrivare.  I magistrati, in questo treno, sono passeggeri anche loro, dei cittadini con un compito particolare: fare in modo che il treno non deragli o non si fermi. Quando il treno si ferma o deraglia il conducente non serve più, e non servono più i passeggeri che devono orientare la sua marcia. Quei passeggeri non sono più cittadini, sono sudditi che a quelle stazioni non arriveranno mai.

Emilio Alessandrini, Mario Amato, Fedele Calvosa, Francesco Coco, Guido Galli, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Vittorio Occorsio, Riccardo Palma, Girolamo Tartaglione tenevano molto a quel treno chiamato Costituzione perché sapevano che solo il conducente  di quel treno può portare i loro concittadini alle stazioni chiamate Libertà e Diritto. Hanno deciso di proteggere quel treno, quel conducente ed i suoi passeggeri; lo hanno fatto per vocazione, per passione e per senso del dovere. Quel treno volevano farlo deragliare, alcuni passeggeri; dicevano di volerlo portare a destra o a sinistra, anzi all’estrema destra o all’estrema sinistra. Ma, come tutti gli estremismi, in particolare quelli violenti, si toccavano fra di loro in un punto: il rifiuto degli altri.  Volevano una guerra civile; ma la guerra non era possibile contro chi non è armato se non della forza della Costituzione.

Che guerra ci poteva essere contro chi, come Mario Amato, trova la morte mentre aspetta l’autobus che lo deve condurre in ufficio, perché non vi sono auto blindate, quel giorno, per Lui. Lasciato solo nel suo ufficio, la Procura di Roma,  dove nessuno se la sente di affiancarlo nei pericoli dell’indagine sul terrorismo di destra che conduce senza aiuto.

Che guerra ci poteva essere contro chi, come Girolamo Minervini, rifiuta la scorta perché, come dirà,  “non vuole avere sulla coscienza tre o quattro poveri ragazzi”; Minervini sa che prima di lui sono stati già uccisi due magistrati che occupavano il suo posto, direttore dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia. Minervini prende l’autobus, ogni mattina, e senza alcuna difesa viene ucciso. Anche lui sta andando al lavoro, al momento della morte. Non avrà sulla coscienza i tre o quattro poveri ragazzi; non si sa chi sono, ma devono la vita a lui.

Che guerra ci poteva essere contri chi, come Guido Galli, giustifica al padre la sua decisione di fare il magistrato con queste parole:Perché vedi, papà, io non ho mai pensato ai grandi clienti o alle belle sentenze o ai libri,io ho pensato, soprattutto, e ti prego di credere che dico la verità come forse non l’ho mai detta in vita mia, a un mestiere che potesse darmi la grande soddisfazione di fare qualcosa per gli altri. Chi lo uccide lo trova con un codice in mano, la sua unica arma di difesa. Chi lo uccide sa bene chi è Guido Galli, l’uomo che dà credibilità ad uno Stato per altri versi debole e pieno di contraddizioni. Lo uccidono proprio per questo, perché il terrore non vuole uomini che diano un volto credibile allo Stato, uomini che incarnano la Costituzione.

Che guerra ci poteva essere contro Emilio Alessandrini, che dalla morte viene raggiunto dopo aver lasciato il figlio a scuola. Viene ucciso colui che mentre aveva il coraggio di seguire la verità contro le deviazioni delle istituzioni sulla strage di Piazza Fontana, si ricordava ogni anno, unico in quel gesto, di portare una bottiglia ed un panettone ad ognuno dei centralisti ciechi del palazzo di giustizia di Milano, per stringere loro la mano e ringraziarli del loro lavoro. L’uomo il cui funerale riesce a dare un’anima ad una città, che, da allora, sarà più da bere che da vivere.

Che guerra ci poteva essere contro Vittorio Occorsio, ucciso con le mitragliette da fanatici di destra mentre si reca a lavoro sulla sua utilitaria. Non ha nessuna difesa contro chi lo uccide; i killer sanno che Occorsio persegue la verità contro il neofascismo romano, caparbiamente e con intelligenza. Per questo non gli lasciano trascorrere nemmeno l’ultima vacanza estiva con la famiglia, con la quale doveva partire di lì a pochi giorni.

Che guerra ci poteva essere contro chi, Francesco Coco, andò incontro alla morte perché non voleva  strappare la legge, non voleva trattare con i nemici della Costituzione, non voleva scambi di prigionieri, perché Sossi non era un prigioniero, era un sequestrato e gli altri, la merce di scambio, dei detenuti secondo legge.  Fu il primo dei magistrati ad essere ucciso, dai terroristi, alle spalle, insieme a chi doveva proteggerlo, due giovani innocenti militari dell’Arma dei Carabinieri, anche loro a difesa della Costituzione, anche loro in pace, non in guerra.

Che guerra ci poteva essere contro Riccardo Palma, freddato, ancora una volta, mentre si reca al lavoro, quel lavoro che gli è costato la vita, sulla sua auto, con il giornale appena acquistato.  Doveva recarsi al suo ufficio, direttore degli istituti di prevenzione e pena, al Ministero della Giustizia. E’ morto per ciò che rappresentava: una funzione dello Stato, solo per questo.

Che guerra ci poteva essere contro Girolamo Tartaglione, un magistrato che sapeva dell’omicidio del collega Palma e che, proprio per questo, disse che non voleva vittime innocenti a proteggerlo. Anche lui, come Minervini  andava in autobus al lavoro, al Ministero della Giustizia; anche lui ucciso perché rappresentava lo Stato; anche lui, come Minervini e Palma, ha salvato delle vite preferendo morire da solo. Anche questa volta non sappiamo il nome di queste vite salvate, ma siamo consapevoli che esistono grazie a lui. Non c’è guerra possibile contro chi vive per salvare gli altri.

Che guerra ci poteva essere contro Fedele Calvosa, che viene ripagato con la morte perché la legge prevede il reato di violenza privata e lui, Procuratore della Repubblica, non può fare a mano di indagare gli operai segnalati per tale reato in occasione di una manifestazione. Un gesto imposto, innocuo; il rispetto dell’obbligatorietà dell’azione penale viene ripagato con la sua morte, quella del suo autista e del suo agente di scorta.  Non c’è guerra se lo scontro è tra la legge e le armi.

Che guerra ci poteva essere contro Nicola Giacumbi, ucciso dopo aver visto un film con la moglie, mentre torna a casa dove l’aspetta il figlio di 5 anni con i nonni. E’ Pubblico Ministero a Salerno, questa la sua unica colpa. Altrove, a Roma, è morto un militante di sinistra ed un magistrato, nella logica perversa del terrore, deve pagare; come i nazisti fanno pagare le loro perdite ai cittadini innocenti, i terroristi placano il loro fanatismo con chi indossa la toga, solo per questo.

Quel treno tricolore chiamato Costituzione è ancora in corsa grazie a loro, al loro sacrificio. Ma, nonostante quel sangue versato e quello di tanti altri servitori di quel treno, il conducente è ancora fragile, ha ancora bisogno di protezione. I magistrati e, con loro, tanti altri, l’hanno protetto per tutti questi anni, fino ad oggi, anche con la loro vita. Ma quel conducente non è al sicuro, è sempre sotto attacco. Oggi, più che mai, vale la pena ricordare a tutti i passeggeri che solo a bordo del treno partito nel 1948, il treno chiamato Costituzione, quel conducente può sopravvivere, il treno può evitare di deragliare e bloccarsi per sempre nel suo moto di ricerca delle stazioni di Libertà e Diritto.

Anche il conducente di quel treno, per il quale tanto sangue è stato versato, ha un nome: si chiama Democrazia. Difendiamola anche per loro, uccisi perché hanno voluto preservarla per noi tutti.

* Pasquale Profiti – Associazione nazionale magistrati – Trento

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