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«La corruzione è seriale e diffusa»

di Antonio Maria Mira il . Lazio

«Non tollero che si dica che rubano tutti. Ma per distinguere si devono fare i processi. E ci vogliono almeno regole minime per i partiti. E anche colpire le aziende che fanno parte di cartelli che agiscono fuori dalla concorrenza». Parole chiare di chi se ne intende di tangenti e «degli effetti devastanti della corruzione ». È Piercamillo Davigo, ex pm del pool ‘mani pulite’, oggi consigliere di Cassazione. L’occasione è l’incontro su ‘Corruzione, legalità e comportamenti individuali’ organizzato alla Facoltà di Economia dell’università La Sapienza di Roma, in collaborazione con l’associazione ‘Etica e economia’. L’aula V è strapiena di studenti, troppo giovani per la ‘tangentopoli’ degli anni ’80-90, ma tutti hanno letto i giornali coi titoli delle nuove inchieste milanesi e non solo.Così Davigo, il magistrato che scriveva gli avvisi di garanzia e le richieste di autorizzazione a procedere, ricorda quei nomi che ritornano, da Gianstefano Frigerio a Primo Greganti e a Claudio Scajola. «Lo feci arrestare nel 1985 per una vicenda di appalti a Sanremo. Venne prosciolto perché nell’incontro decisivo per la spartizione non aveva aperto bocca. Venne definito ‘solo connivente’. Ma uno che è ‘solo connivente’ può diventare ministro dell’Interno? ». E poi ironizza: «Devo avere il ‘tocco di re Mida’ perché ognuno di quelli che ho indagato poi ha fatto carriera». Il riferimento è ai politici ma anche a manager e imprenditori.

Non si stupisce di questi nomi che ricompaiono dopo tanti anni. «Purtroppo sembra che abbiamo creato dei ceppi resistenti agli antibiotici. Corrotti, corruttori e intermediari sono uniti dal silenzio e così abbiamo dei ‘ritorni’ come quelli di questi giorni. Bisogna spezzare questa catena del silenzio prevedendo delle premialità per chi lo rompe per primo ». Ma anche, «come fanno negli Stati Uniti, mettendo alla prova dirigenti e funzionari offrendo loro delle tangenti». Proposte concrete e un’analisi netta, che spiega proprio perché dopo venti anni il fenomeno sia ancora così grave. «Questi fatti vengono presentati spesso come autonomi mentre sono frutto di un sistema. La caratteristica della corruzione – aggiunge ancora quello che era definito il ‘dottor sottile’ del pool – è di essere seriale e diffusa. Se funziona una volta, il corrotto si vende ancora perché convinto dell’impunità. E non è mai solo: quando ne scopriamo uno poi ne troviamo anche altri. Chi in un ufficio non ci sta se ne deve andare. Insomma si tratta di veri e propri sistemi criminali».

Ma non sono solo politici e ammi-nistratori. Davigo tira in ballo anche il mondo dell’economia, quello che va avanti con accordi di cartello. «Siamo di fronte a un mercato illegale che è capace di autoregolamentazione escludendo chi non sta ai patti. Ma in Italia c’è un ulteriore regolatore esterno: il crimine organizzato. Infatti si diceva che il Sicilia ‘c’era più disciplina’». La conferma, come sottolineato due giorni fa ad Avvenire dal procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, che «la corruzione è l’humus su cui la mafia si sviluppa». Davigo cita quello che diceva un anziano poliziotto lombardo: «I mafiosi sono come i pidocchi, vanno dove c’è lo sporco».

 

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