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La “primavera” di Reggio Calabria

di Lucia Lipari il . Calabria

L’approfondimento a cura di Lucia Lipari/// – A Reggio Calabria si sta scrivendo una pagina importante della storia criminale del nostro Paese ed il vento del cambiamento è mosso dallo strenuo lavoro portato avanti dalla Procura e dalle Forze dell’Ordine.  L’operazione “Meta” fu eseguita nel giugno 2010 con gli arresti di 43 persone e 73 indagati. I capi d’imputazione variavano, a seconda delle posizioni, dall’associazione mafiosa alla turbativa d’asta aggravata dalla modalità mafiosa, dal trasferimento fraudolento di valori alla rete di estorsioni. Un processo lungo tre anni che ha trovato riscontro nelle dichiarazioni dei numerosi collaboratori di giustizia: Fiume, Moio, Villani, Mesiano, LoGiudice. A distanza di anni da quel ’99 che vide con il processo Olimpia gettare le basi per una ricostruzione delle dinamiche criminali dei clan, arriva una pietra d’angolo nel processo Meta. La sentenza di primo grado emessa lo scorso 7 maggio alle 13 e 40 è paradigmatica, perché riconosce anche in via giudiziaria l’esistenza di una ‘ndrangheta verticistica che non è più soltanto quella conosciuta nel corso degli anni. E’ una ‘ndrangheta che gioca in borsa, una ‘ndrangheta che fa affari con le lobby della finanza. L’impianto accusatorio sostenuto dal sostituto procuratore Giuseppe Lombardo ha retto all’esame dell’Aula e passa quasi indenne lo scoglio del primo grado di giudizio, è forse questo l’aspetto che più di tutto rappresenta un punto fermo. La peculiarità di questa pronuncia è proprio quella di rappresentare una base imprescindibile per il futuro lavoro della DDA di Reggio Calabria.

Gli invisibili al servizio della ‘ndrangheta. Il pool di magistrati diretti dal Procuratore Federico Cafiero de Raho sta cercando di ridelineare gli ultimi quarant’anni di storia della città e lo sta facendo tenendo presenti tutti gli elementi che in questo periodo sono emersi, come l’analisi di vecchi archivi, dove molto spesso sono quasi nascosti documenti, dichiarazioni e fascicoli che hanno un peso enorme per spiegare ciò che è oggi la ‘ndrangheta. Una ‘ndrangheta che si compone di una schiera di “invisibili” fatta di logge massoniche deviate, politica, pezzi insospettabili delle istituzioni. «La ‘ndrangheta – aveva avvertito in sede di requisitoria il Pm Lombardo – non finisce agli imputati di questo processo, questo è l’abito da lavoro del sistema criminale di cui fanno parte, siamo sulle orme di chi veste l’abito da sera e frequenta salotti dove l’abito da lavoro non è ammesso». Un’organizzazione strutturata e complessa che conta su una sorta di direzione strategica che decide come orientare le scelte del contropotere mafioso, strutturata in ossequio all’evoluzione registrata al termine della seconda guerra di mafia che, dal 1985 al 1991, vedrà cadere per le vie di Reggio oltre 700 morti ammazzati. «Gli invisibili sono una categoria di persone inserite in livelli sociali particolarmente elevati che consentono alle cosche reggine di muoversi con la consapevolezza di avere copertura in tutti i settori», afferma il Procuratore De Raho. «Le difficoltà di sviluppo della Calabria dipendono soprattutto da questa rete segreta, fatta di servizi deviati, massoneria, servitori infedeli dello Stato, politici collusi che hanno consentito alla ‘ndrangheta e ad altri personaggi di avvantaggiarsi a discapito di chi da questa rete resta fuori. Lo Stato però non arretra. Anzi, andiamo avanti per dimostrare che non esistono gli intoccabili». Il filone “Meta”, nato per individuare e catturare l’allora super latitante Pasquale Condello “U Supremu”, ha offerto un importante contributo alla ricostruzione delle dinamiche criminali consumatesi in città ancora prima della seconda guerra di mafia. Con questa sentenza è stato, infatti, dimostrato come le principali cosche di Reggio Calabria, i De Stefano, i Tegano, i Condello e i Libri, si siano accordate e abbiano composto “il direttorio”, con a capo Giuseppe De Stefano, il “capo Crimine”, che deciderà le infiltrazioni delle cosche in ogni angolo della città e detterà il “nuovo corso” della ‘ndrangheta reggina, suggellando, sul sangue dei morti, una pax mafiosa e necessaria per spartirsi pezzo a pezzo il capoluogo sulle rive dello Stretto. 

Il danno alla legalità e una sentenza “storica”. Libera ha sempre colto la centralità del processo, costituendosi parte civile nel 2011 proprio per ribadire quanto la ‘ndrangheta leda e soffochi i diritti della società civile e responsabile, in una regione complicata come la Calabria. La presenza di Libera nelle aule di giustizia ed a fianco della Magistratura vuole rappresentare il fatto che la società civile vuole prendere parte al percorso di verità e giustizia che nelle aule si perfeziona e scardinare quel sistema di violenza criminale e di intimidazione che condiziona la vita civile di tutti i cittadini onesti. Lo scorso 17 marzo Libera ha ascoltato la dura requisitoria che il Pubblico Ministero Giuseppe Lombardo ha presentato ai giudici per chiedere la condanna dei 17 imputati ritenuti ai vertici della ‘ndrangheta. E’ stata presente alla lettura di una sentenza che segna un punto di volta nella storia del contrasto alle mafie. Un processo che già nella fase del rito abbreviato aveva visto Libera ammessa come parte civile e riconosciuto un risarcimento di 500 mila euro, ne ha visto confermato il riconoscimento anche nell’ordinario. L’associazione presieduta da Don Luigi Ciotti ha  avviato con 12 scuole della provincia uno innovativo progetto che ha consentito a circa 500 giovani degli Istituti Superiori di partecipare anche alle udienze. Una autentica scuola di formazione per avere piena consapevolezza dei danni che la ‘ndrangheta quotidianamente opera contro le nostre comunità. Il primo pensiero è andato alle vittime e a tutte quelle persone la cui vita è stata distrutta e condizionata dalla criminalità organizzata. Questa sentenza ha scritto una pagina di verità e di giustizia soprattutto per loro.  «Il nostro ringraziamento va a tutte le forze dell’ordine e ai magistrati che con un lavoro serio e preciso continuano a difendere questa regione e a stanare gli affari criminali – ha dichiarato Domenico Nasone, referente regionale di Libera – Ho pensato ai tanti giovani sfruttati dalla ‘ndrangheta, assoldati come bassa manovalanza, e a cui viene negata la possibilità di riscatto e libertà. Questa sentenza è un grande passo avanti e ci spinge a fare la nostra parte sempre con maggiore impegno, per fare emergere il marcio che si annida anche nel cuore delle diverse istituzioni. Un susseguirsi di emozioni e di ricordi si sono accavallati nella mia mente: la netta condanna della ‘ndrangheta di don Italo Calabrò, le denunce di don Luigi Ciotti, le profonde indicazioni di Papa Francesco che ha chiesto ai mafiosi di cambiare vita. Spero che i mafiosi dal cuore di pietra – prosegue Nasone – possano accogliere quelle parole di perdono e di conversione. Faccio mie le parole di don Italo Calabrò quando con voce profetica gridò: che se c’è qualcuno che non è un uomo è il mafioso, e se c’è qualcuno che non ha l’onore è il mafioso. I mafiosi non sono uomini, i mafiosi non hanno onore. Dio può mutare il cuore degli uomini. Se c’è ancora un barlume di bontà, una scintilla appena, Dio può soffiare su quella scintilla e far tornare il fuoco dell’amore, della libertà. Della vita». Una sentenza, questa del Processo Meta, destinata a lasciare una traccia indelebile nel cammino di liberazione dalle mafie. Un segnale di speranza che spinge a guardare al domani con fiducia e considerare questa pronuncia non come un punto di arrivo, ma di partenza per ricostruire l’altra metà dell’operazione ‘Meta’.

 

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