Cuffaro “l’africano” e la procura di Palermo
La storia, come ebbe a dire Machiavelli, si ripete. Una volta i condottieri romani partivano per l’Africa a compiere atti e gesta mirabolanti (anche qualche massacro per la verità) tornado spesso colmi di onori e gloria. Ora i “nostri” leader partono dai palazzi della capitale con l’alto scopo di rendere edotti i politici africani sulla fine arte della politica. Così Totò Cuffaro (“vasa vasa” come nome di battaglia) vestiti i panni da novello Scipione è sceso giù fino al Congo per appoggiare la campagna elettorale della Democrazia Cristiana locale in vista delle elezioni politiche nazionali.
Il verbo (meno male non il congiuntivo) del vice segretario nazionale dell’Udc ha svelato l’arcano del suo viaggio: “Qui si sta lavorando per un governo istituzionale che metta “dentro” i democristiani. Chissà che il progetto che non siamo riusciti a realizzare in Italia veda la luce in Congo”.
Solo che, a proposito di mettere “dentro”, Cuffaro ha dimenticato di avere lasciato in Italia una condanna a cinque anni di reclusione per aver favorito singoli mafiosi. Sentenza alla quale i pubblici ministeri della Procura di Palermo, Maurizio De Lucia e Michele Prestipino, hanno depositato l’atto di appello. Impugnando le posizioni processuali di tre soli imputati su 14: Cuffaro, Aiello e dell’ex sottufficiale del Ros Giorgio Riolo.
Secondo i due Pubblici ministeri per Cuffaro “l’africano” sussistevano le prove del favoreggiamento aggravato a “Cosa nostra”. L’ex governatore, sostengono i magistrati, era a conoscenza dello spessore criminale del boss Giuseppe Guttadauro e sapeva anche che il suo pupillo, l’assessore comunale Mimmo Miceli, frequentava abitualmente la casa del capomafia.
Quando seppe dal suo collega di partito, l’ex carabiniere Antonio Borzacchelli, che i carabinieri indagavano su Guttadauro e avevano piazzato una cimice nel suo appartamento e lo rivelò a Miceli, dunque, “Cuffaro decise di agevolare non solo Guttadauro, ma l’intera organizzazione”.
Secondo i Pm, “Cuffaro sapeva che l’individuazione della microspia presso la casa del boss avrebbe avuto quale effetto la salvaguardia di quel sistema, impedendo di fatto lo smantellamento dell’organizzazione sul territorio”.
Ma la politica di Totò piaceva tanto ad un altro noto devoto della Madonna tale “Binnu Provenzano” che di professione, prima dell’arresto dopo 40 anni di latitanza, faceva il capomafia. «Cuffaro era ed è un uomo politico di cui “Cosa nostra” e in particolare Provenzano sostanzialmente apprezzava la linea politica- dicono i Pm- definita di vecchio stampo clientelare e ritenuta utile nel contesto di quella strategia della sommersione adottata dopo le stragi e che trova nell´intermediazione e nell´inserimento del mafioso in ogni profilo della vita sociale ed economica (ed in particolare nelle amministrazioni pubbliche) uno dei suoi momenti essenziali».
Contestualmente all’appello i magistrati hanno depositato i verbali di interrogatorio del collaboratore di giustizia di Belmonte Mezzagno, Giacomo Greco, che contengono nuove accuse a carico del manager della sanità privata Michele Aiello, condannato in primo grado a 14 anni di reclusione.
Ma per Totò e la sua famiglia, Il fratello Silvo, Sindaco del borgo natio Raffadali, e Peppe imprenditore, suona ancora la “Campanella” delle dichiarazioni fatte alla Dda di Palermo del pentito di Villabate Francesco (Campanella appunto) che definì “truffe megagalattiche” le attività imprenditoriali della famiglia Cuffaro. I fatti secondo il pentito si svolgevano così: “Facevano una srl scatola, utilizzavano attestazioni bancarie false o vere duplicate, come nel caso di Oasi, e ottenevano un decreto di finanziamento nel settore turistico-alberghiero. Poi, con una serie di compiacenze all´interno dei ministeri e della banche concessionarie, trasferivano, vendendoli, i decreti di finanziamento a società terze e ne lucravano il corrispettivo”. Il Campanella pentito aggiunge ancora: “Silvio Cuffaro con Padre Ferlauto, con la compiacenza della banca istruttoria, che non faceva i riscontri incrociati e con la compiacenza della struttura di padre Ferlauto che aveva questa patrimonialità, avevano duplicato in decine di progetti, le stesse fideiussioni che la struttura “Oasi” era in grado di presentare. Fideiussioni vere, però poi duplicate in 10 progetti diversi”.
Dunque mentre Cuffaro tenta di mettere dentro i democristiani nel governo istituzionale congolese, la magistratura italiana cerca di mettere “dentro” lui e affini continuando a ritenere importanti le prove accumulate.
Ma la fine di questa storia ha date lontane che potremmo provare a mettere in ordine: il processo di secondo grado non è stato ancora fissato, in Congo le elezioni sono nel 2011 e l’immunità parlamentare del senatore Cuffaro scade nel 2013.La domanda dunque potrebbe essere: ma in Congo esiste l’estradizione?
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