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Editoria italiana fra ricchezza e povertà

Patrizia Torchia il . Istituzioni

Il 5 agosto 2008 il Parlamento italiano ha approvato in via definitiva l’articolo 44 del decreto-legge 112/2008 messo appunto dal Ministro dell’Economia Giulio Tremonti.

Se l’approvazione del decreto ha sollevato una serie di preoccupazioni legate agli effetti diretti sulle imprese editoriali, è altrettanto vero che sono molte le perplessità relative alla destinazione dei capitali ad esse sottratti.
Dell’attuale contributo pubblico destinato ai giornali, pari a 414 milioni di euro, ne verranno detratti ottantasette nel 2009 e ulteriori cento l’anno successivo, per un totale del 40% in meno.

In base ai dati raccolti dalla trasmissione di Report  “Il finanziamento quotidiano”, in onda il 27 maggio 2007 e incentrata sui finanziamenti ai grandi gruppi editoriali: «Sommando le voci tra periodici e quotidiani nel 2004, La Repubblica-Espresso riceve 12 milioni di euro, RCS e Corriere della Sera 25 milioni di euro. Il sole 24 Ore della Confindustria, 18 milioni di euro. La Mondatori 30 milioni di euro. Sono contributi indiretti, ad esempio, Il Sole 24 Ore che è il quotidiano che ha più abbonati in assoluto. Ogni volta che il giornale viene spedito, invece di 26 centesimi ne spende 11. La differenza ce la mette lo stato. Nel 2004 ci ha messo 11 milioni e 569 mila euro».

Il finanziamento pubblico all’editoria iniziato con la legge del 1981 e finalizzato ad aiutare i giornali di partito incapaci di sostenersi autonomamente, fu modificato nel 1987: era sufficiente che 2 deputati dichiarassero un giornale organo di un movimento politico, affinché lo stesso potesse attingere al portafoglio statale. A partire dal 2001, poi, è diventato necessario organizzarsi in una cooperativa col risultato di una spesa statale pari a 667 milioni di euro annui. Il decreto Tremonti mira a ridurre tale spesa, attraverso una serie di tagli editoriali destinati alle imprese minori.

Di seguito, i dati raccolti da Report in merito alla distribuzione attuale dei finanziamenti statali:
Il Foglio: 3 milioni e mezzo di euro all’anno.
Libero: 5 milioni e 371 mila euro annui.
Il Riformista: 2 milioni e 179 mila euro annui.
Liberazione: 3 milioni e 700 mila euro all’anno.
L’opinione: 2 milioni di euro.
Avvenire: 6 milioni di euro annui.
Il Denaro: 2 milioni e 380 mila euro annui.
Napoli Più: 1 milione e 185 mila euro all’anno.
Il Giornale d’Italia: 2 milioni e 582 mila euro annui.
Europa: 3 milioni di euro all’anno.
La Padania: 4 milioni di euro annui.

Se  il proposito del decreto é quello di ridurre la spesa pubblica, sacrificando le imprese editoriali di piccolo calibro, non può passare inosservato il rischio che alcune voci importanti del panorama culturale italiano cessino di farsi sentire.

Come sottolinea la Federazione Nazionale Stampa Italiana, infatti, per intervenire correttamente è necessario distinguere fra chi fa informazione con riscontri di qualità e vendita e chi assorbe dal grande portafoglio statale; tra i giornali di partito in qualche modo significativi e quelli che si sono improvvisati strumenti di organizzazioni il più delle volte inesistenti.

Se è vero che bisogna impedire finanziamenti ad attività editoriali fasulle,  è altrettanto vero che l’attuale proposta del governo, affidando al ministero dell’Economia il compito di stabilire annualmente le risorse disponibili da destinare all’editoria,  minaccia fortemente la sopravvivenza e l’autonomia di stampa dei giornali di partito, delle voci comunitarie e delle organizzazioni non-profit.

Quello di Tremonti potrebbe dunque apparire come un provvedimento anticostituzionale che pregiudica la democrazia del sistema mediatico italiano.

1 – continua

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