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Caselli agli studenti: “Mafie mirano al monopolio economico ma nel nostro Paese la legalità conviene”

di Marta Silvestre il . Lazio, Senza categoria

“Prima, pretendere di combattere la mafia era come presumere che fosse possibile sconfiggere una corazzata con una cerbottana”. Questa l’immagine scelta da Gian Carlo Caselli per raccontare agli studenti della facoltà di Giurisprudenza di Roma Tre, la prima fase della lotta alle mafie nel nostro Paese: prima del maxi processo, prima delle stragi del ’92 e dell’arresto di importanti latitanti di Cosa nostra. L’occasione è stato il terzo e ultimo incontro del ciclo di appuntamenti intitolato “Progetto Antimafia: le mafie, la lotta, la memoria” che si è tenuto il 28 marzo scorso presso l’aula del consiglio di Facoltà dell’Ateneo. Oltre due ore intense di dibattito con il magistrato Gian Carlo Caselli – giudice istruttore a Torino dove, per un decennio, ha condotto le inchieste sul terrorismo delle Brigate rosse e di Prima linea; poi, negli anni successivi alla strategia stragista di Cosa nostra, dal 1993 al 1999, ha guidato la Procura della Repubblica di Palermo e, negli ultimi anni, è stato procuratore capo della Repubblica di Torino.

“L’intervento del pool” – spiega Caselli nella sua analisi del contrasto alle mafie nel nostro Paese “introdusse un metodo di lavoro nuovo, rivoluzionario e vincente basato sulla specializzazione e sulla centralizzazione, che rese possibile il miracoloso capolavoro del maxiprocesso”. Con amara consapevolezza, il magistrato racconta della tempesta che si scatenò contro Falcone e Borsellino “da morti celebrati come eroi” sostiene Caselli “ma da vivi trattati a pesci in faccia” e fa riferimento all’articolo di Sciascia uscito sul Corriere della Sera – giornale allora più venduto in Italia – che parlava di loro come ‘professionisti dell’antimafia’. Il procuratore Caselli, richiama alla memoria gli effetti disastrosi prodotti dalle ignominiose infamie diffuse nei confronti di questi operosi magistrati: quando Antonino Meli fu eletto capo dell’ufficio istruzione – come sostituto di Antonino Caponnetto – il pool venne letteralmente distrutto e la lotta alla mafia tornò indietro di 40 anni.

Dopo le stragi di Capaci e di via d’Amelio, per la mafia iniziò la fase dell’inabissamento e l’acuirsi della sua camaleontica capacità di mimetizzarsi; il classico “calati iunco ca passa la china” dice Caselli. In realtà, in questo modo, la mafia si adeguò ad assecondare il limite culturale che la considerava semplicemente un problema di ordine pubblico. “Adesso come allora” sostiene Caselli “i magistrati continuano a subire le identiche calunnie e le polemiche, si sa, rallentano le attività; è come se, durante una partita, i giocatori venissero improvvisamente mandati nello spogliatoio e, uscendo, trovassero il campo non più pianeggiante ma in salita”.

 Oggi le mafie non uccidono più come un tempo, tuttavia “non bisogna stupirsi del fatto che l’acqua bagna, ma aprire l’ombrello!” asserisce Caselli a proposito dell’espansione delle mafie al nord e dello sviluppo della attività di riciclaggio. “L’obiettivo ultimo delle mafie, che vogliono creare un regime di monopolio” sostiene il procuratore “è dimostrare che stare dalla loro parte conviene”, eppure l’Italia è tanto un Paese di mafia, quanto di antimafia non solo istituzionale e repressiva ma, soprattutto, sociale e dei diritti. “La legalità conviene, l’antimafia paga e, allora, non possiamo stare con le mani in mano” stimola Caselli “ma dobbiamo fare del coraggio una categoria emotiva e abbracciare l’impegno organizzato, tipo quello dell’associazione Libera, che è il miglior modo per cercare di cambiare le cose”. Con questo messaggio di costruttiva speranza si conclude l’incontro con il magistrato piemontese che ha fatto la Resistenza contro le illegalità nel nostro Paese, per amore della democrazia.

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