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Roma capitale dell’Antimafia: “Rafforzare azione comune delle associazioni”

di Norma Ferrara il . Lazio

Si riprendono la parola con convinzione. E lo fanno da un luogo simbolo dell’autonomia e della partecipazione per la città di Roma: la Casa internazionale delle Donne. Lo scorso 14 marzo oltre trenta associazioni si sono date appuntamento nel cuore della città per fare il punto sulla lotta alla cultura mafiosa. A convocarle, in vista della XIX Giornata della Memoria e dell’Impegno che si terrà a Latina il prossimo 22 marzo, Libera, che fra pochi giorni – come ricorda Gabriella Stramaccioni, dell’ufficio di presidenza dell’associazione, «compie vent’anni, una giornata storica per le tante realtà che fanno parte della rete sin dalla sua nascita e che richiama a un impegno superiore». Anche a partire da quello delle donne – sottolinea Francesca Koch, presidente della Casa internazionale delle Donne – «sia di coloro che rompono con la cultura mafiosa nelle loro famiglie, nei loro territori, che delle tante donne, magistrate, giornaliste, sindache impegnate in una attività di contrasto diretto». Donne come Saveria Antiochia, madre di Roberto, vittima della violenza mafiosa negli anni ’80 in Sicilia, che ha dato impulso decisivo alla nascita di Libera. «Roma è una città che già vent’anni fa aveva ben presente la presenza delle mafie sul proprio territorio – spiega Gabriella Stramaccioni – nel suo intervento che apre l’assemblea. Qui nacque la prima bottega di Libera, ora sono 20 in tutta Italia, qui venne fatta la prima edizione degli Stati generali dell’Antimafia e da qui serve ripartire. Cosa c’è da fare? Una lettura nuova del fenomeno mafioso nella nostra città per chiamare a strumenti nuovi di contrasto. Un maggiore collegamento per una antimafia sociale, fatta di rapporti anche con istituzioni e forze dell’ordine». Le stesse cui – ricorda la Stramaccioni – «Spesso abbiamo dovuto contestare negazionismo e poca attenzione». E mentre questo accadeva «Latina, dicono gli investigatori, diventava il laboratorio criminale più avanzato d’Italia» per il «forte legame con pezzi di istituzioni e politica», legame non ancora reciso perchè li «lo Stato ha perso molti colpi, per questo – chiosa la Stramaccioni – in quel territorio abbiamo deciso di accendere i riflettori, anche per le tante aree di confine». A due passi dalla Capitale. «Nelle aule di giustizia – spiega Marco Genovese, responsabile del presidio di Libera a Roma – si sta cercando di fare chiarezza sulle vicende che riguardano Ostia e gli affari dei Fasciani – Triassi ma si tratta solo di una delle tante storie di mafie della città dove «serve una attenzione a quello che accade nelle periferie in cui c’è già un controllo del territorio e quello che accade nel centro storico della città, dove la penetrazione economica è molto forte». Roma è al quinto posto fra le città per numero di beni confiscati «Ora serve ragionare insieme su come farli rinascere a fini sociali nell’interesse della collettività». «Una occasione – sottolinea Ferdinando Secchi, referente di Libera nel Lazio – per le associazioni per ritrovarsi in una battaglia comune che ci vede tutti impegnati nei nostri diversi ambiti».

“Ripartire dal welfare e dalle periferie”- l’appello delle associazioni alle istituzioni. «Nonostante i rapporti istituzionali da anni parlino di Roma come luogo di radicamento di tutte le mafie, italiane, straniere e autoctone, sino a due anni fa c’era poca consapevolezza nelle istituzioni – denuncia Giampiero Gioffredi dell’ Osservatorio regionale Sicurezza e Legalità. Ritengo, dunque, decisiva l’azione delle associazioni ed è importante capire come tornare a riprenderci le periferie, come quella di San Basilio e liberarsi dallo spaccio». «Mancano spazi di confronto, aree, luoghi dedicati alla pratica della democrazia, alla partecipazione – spiega la presidente del Cesv Lazio – Francesca Danese. Sono troppe le risorse tolte al volontariato, in questa direzione i beni confiscati possono diventare una occasione per far ripartire il welfare in questa città e nella regione». Un impegno in cui è in prima linea la Cgil Lazio, come ricorda Stefano Bianchi, che quest’anno ha depositato in Parlamento con altre associazioni, una proposta di legge per sostenere i percorsi di rinascita delle aziende confiscate ai boss. «Siamo in una fase di emergenza democratica – commenta Bianchi – e ciascuno di noi ci deve mettere il suo impegno e la sua responsabilità». Un impegno da anni portato avanti anche dalla Uil, come ricorda Rossella Giangrazi che sottolinea «Serve sfatare mito che pubblico è brutto e privato sia bello, serve una nuova legge sugli appalti, un impegno di soggetti coinvolti istituzioni, forze dell’ordine e attori sociali, e serve responsabilizzare le categorie di imprenditori e di lavoratori». Ma anche mettere in comune le informazioni e farle circolare – come cercano di fare le oltre 130 realtà che partecipano al laboratorio permanente “Carte in Regola” costituito da comitati di quartieri, da singoli professionisti come gli architetti, ingegneri. «Vogliamo riprenderci una città pubblica che non consenta terreno fertile per mafie – spiegano. Dal controllo delle delibere, alla diffusione delle informazioni, alla partecipazione attiva dei cittadini, sino al censimento di comitati romani impegnati per il territorio». Una città, quella di Roma, che ha il fiato sul collo di tutte le mafie – come sottolinea Danilo Chirico di Dasud – ma che ha «spesso sottovalutato la gravità della situazione e a tratti ha negato. Tutte le volte in cui i cittadini capiscono solo dopo le operazioni magistratura, è già troppo tardi. Serve una antimafia popolare, di tutti. Un partecipazione non solo on line ma vissuta quotidianamente nei luoghi di partecipazione». «Luoghi in cui dobbiamo imparare a lasciare bellezza – aggiunge Valentina Romoli di Legambiente Lazio. Che ricorda la forza e la solitudine dei comitati cittadini che a Borgo Montello e nel Sud Pontino lottano contro “la terra dei fuochi” a pochi passi dalla discarica, dai traffici di rifiuti tossici, dai livelli di inquinamento ambientale a lungo negati dalla politica locale». Non solo il business dei rifiuti – «A Roma centinaia di miliardi “sporchi” inquinano l’economia di una città, di una regione, e condizionano politica e istituzioni – ricorda Antonio Panicucci del Silp Roma, che aggiunge – Non è allarmismo, è emergenza democratica, lo dico da uomo delle istituzioni». Trasparenza, antiriciclaggio, anticorruzione. E la crisi economica che diventa una occasione per ridisegnare confini di una nuova azione antimafia. «C’è una certa omertà diffusa – denuncia Cinzia Lanza di Equorete – davanti alla colata di cemento continua sulla città, alla concessione di licenze per centri commerciali». La Lanza punta il dito su un certo “immobilismo” o peggio “una certa complicità” anche nei municipi territoriali, di quartiere, che a Roma potrebbero già essere primo argine contro le mafie. Una lotta antimafia, quella portata all’assemblea del 14 marzo, che è anche soprattutto lotta alla cultura mafiosa che «lede i diritti di tutte le persone» – come ricordato da Andrea Maccarroni, del Circolo Mario Mieli. «Dove c’è cultura della violenza c’è discriminazione e la violazione dei diritti è terreno fertile per insediamento delle mafie – spiega». Il diritto alla propria identità sessuale e quello ad una formazione accessibile per tutti perché «E’ la cultura il primo strumento antimafia su questo territorio – dicono Andrea del sindacato degli studenti medi (Uds) e Alessio  del sindacato degli studenti universitari e, infine, Mario Mansueto, responsabile dei giovani per L’Azione Cattolica. Risorse che si perdono nei rivoli dell’economia illegale, la stessa che monitorano da anni i responsabili di “Sos impresa” e della “Rete della Legalità” come spiegano Fabio Maria Galiani e Alessandro Langiu– cerchiamo di mettere in fila «i numeri dell’economia delle mafie e di denunciare il tema dell’usura». Siamo parte civile nei processi, ci occupiamo di formazione di una cultura alternativa alle mafie ma dobbiamo denunciare spesso la mancanza delle istituzioni sui territori». Non solo mafie italiane, l’esperienza del progetto Alina, portato in assemblea da Valerio Pagnotta, apre un ampio passaggio sul ruolo delle organizzazioni criminali straniere, «leader nella gestione della prostituzione». Il progetto Alina di Alternativa Onlus cerca di intervenire sul territorio di Ostia proprio in favore delle ragazze vittime della tratta e dello sfruttamento con un aiuto concreto: dall’assistenza sanitaria a quella legale, cercando di sopperire alla mancanza delle istituzioni in quest’ambito. Un progetto-simbolo, quello di Alina, che palesa quanto centrale sia il ruolo giocato dalle associazioni nel contrasto concreto alle mafie.

L’appuntamento è a Latina il 22 marzo ma – come ricordano in tanti – soprattutto al “dopo Latina” per rafforzare questa rete, per farla cooperare nella quotidianità e rilanciare un appello forte alle istituzioni: seve un nuovo impegno antimafia che parta dal welfare e dal riutilizzo sociale dei beni confiscati e rilanci economia e formazione antimafia nella città.

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