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La Calabria della fiction battuta dalla Calabria della realtà

di Paola Bottero il . Senza categoria

L’analisi della scrittrice e giornalista, Paola Bottero/// – Le coincidenze sono le cicatrici del destino. Non lo dico io. Lo scriveva Zafòn. E queste parole vibrano sospese da qualche giorno sulla punta dello stivale, mescolate alle atmosfere noir della sua ombra e del suo vento. Si accavallano immagini compiute, dai contorni sfumati. Cinghiali feriti che “minano a mmazzari”. Rotative di ultima generazione che si rompono provvidenzialmente, perché sono macchine, e le macchine si possono rompere in qualunque momento. Ricostruzioni a varie firme della vita di due gentil fratelli che da via Popilia conquistarono la città bruzia, catapultandosi poi da Cosenza a Catanzaro e Roma – un piede qui e uno là per mantenere fermo il baricentro. Poltrone che fanno la tarantella tra loro, tanto tremano presidenti, assessori e sottosegretari cui erano state destinate dall’alto. Contenitori radio-tv che urlano, format che cambiano in corsa per stare sulla notizia, battaglie per l’intervista dell’ultimora. Toni Servillo che tiene la sigaretta tra i denti muovendo l’anca al ritmo remixato della Raffaella nazionale, in mezzo a colori accesi come il nulla in cui è immersa l’Italia da Oscar superbamente dipinta da Sorrentino.

Hashtag – tag da cancelletti, o cancelletti tagganti, se preferite: quelle doppie croci, #, che ormai precedono ogni concetto, ogni parola al ritmo delle 140 battute imposte dalla cinguettata su Twitter – che declinano il tutto o il niente. A seconda della bisogna. #GreatBeauty e via con panorami mozzafiato sullo Stretto. #GentileDimettiti per dare la stura agli insulti: insulto ergo sum, recita il comandamento numero uno dei social da smartphone. #giudicemeschino in guerra con #GF13 (ha vinto la fiction, con un milione in più di spettatori), Zingaretti in lotta con se stesso, Mimmo Gangemi in lotta con Camilleri e Montalbano, occhi inchiodati per vedersi in comparsata, o per amare ancora di più Reggio, o per criticare Carlei, o per dire tutto il bene e tutto il male possibile. Una guerra, insomma. Tanto che parte la bomba. Sta ancora andando in onda l’ultima parte della prima parte (non è un gioco di parole: stasera c’è la seconda e ultima), Gentile è già dimenticato con tutti i cinghiali stracotti, l’hashtag è superato, ha sbagliato i tempi: poteva farlo alla fine della fiction, o almeno dopo la notizia che il suo nome non è nel registro degli indagati per la vicenda DeRose Ora della Calabria. #quandosidiceiltempismo.
La bomba, appunto. In pieno centro. A Reggio Calabria. A un passo da piazza Italia, quella dove sul piccolo schermo sta ancora passeggiando il giudice Lenzi, non più meschino perché colpito negli affetti più cari. La notte si riempie di telecamere, giornalisti, curiosi. I social impazzano: tutti indagatori dell’incubo. Tutti Dylan Dog alla ricerca delle ragioni di quel botto. Ma ancora non sanno che nella periferia sud, rione Modena, c’è un cadavere a terra. Aveva 43 anni, Fabio Quirino. Sparato per strada.

Ma oggi è un altro giorno.
Gentile torna in Calabria. L’ha scritto a Napolitano: «Torno a fare politica nelle istituzioni, come Segretario di Presidenza, e nella mia regione, come coordinatore regionale, aspettando che la magistratura, con i suoi tempi che mi auguro siano più brevi possibile, smentisca definitivamente le illazioni gratuite di cui sono vittima».  Ha fatto bene? Ha fatto male? Se lo chiede la rete. Se lo chiedono i vignettisti, i blogger, i contenitori interattivi che vogliono veder digitata la nostra, più siamo più sono popolari. In questa immensa Babele in cui ognuno dice la propria ma nessuno è interessato ad ascoltare quella degli altri, dove i like e i troll arrivano sui titoli, a volte sulla singola parola, giudicata senza darsi la pena di comprenderne il significato inserendola nel contesto, dove tutti scrivono e nessuno legge, dove esistere significa digitare, si è consumato un altro giorno mediatico. Gentile forse siede già al tavolo politico regionale. Un tavolo imposto da un altro nome importante in quel di Cosenza: Jole Santelli, giovane avvocata bruzia formatasi nello studio Previti, deputato da tre legislature, già sottosegretaria di Berlusconi e di Letta, amica intima – si dice – della Pascale, coordinatore regionale della neorinata Forza Italia. Jole ha fatto la voce grossa con Peppe – Giuseppe Scopelliti, il governatore alfaniano in attesa di –, gli ha tolto l’appoggio dei suoi in Consiglio regionale. Imponendo il faccia a faccia proprio con Gentile, coordinatore regionale del Nuovo Centro Democratico. Le voci parlavano di rimpasti assessorili. Ora hanno cambiato tono. Ora si chiede di liberare la poltrona di Fincalabra, quella occupata dal tipografo che ama le metafore di caccia (il De Rose che si è fatto garante dei Gentile, diligentemente registrato dall’editore Citrigno junior). Le malelingue dicono che Jole vorrebbe fare la Presidente di Fincalabra per un po’. Giusto quel che basta per arrivare alle prossime elezioni regionali. Giusto per abituare ad un cambio di mentalità, in una Regione che ha eletto cinquanta #dicasicinquanta consiglieri regionali tutti di sesso maschile (le due donne subentrate devono ringraziare non gli elettori, ma la magistratura che ha fatto decadere i consiglieri uomini di cui hanno preso il posto). L’azzurro rimarrebbe il colore di partito. Il rosa potrebbe colorare la poltrona di una governatrice in pectore. Sempre che non riparta la macchina del fango, a coprire altre interruzioni di rotative. Sempre che non vengano messi in campo altri «motivi pretestuosi e strumentali organizzati ad arte per “mascariare” in modo indegno» gli attori di questo teatrino senza registi e senza parti prestabilite, dove si recita a soggetto giorno dopo giorno.

Altro che fiction. È la grande bellezza. Anzi no. È la stampa, bellezza. Piena di cicatrici.

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