Puglia, chiedevano il “pizzo” agli stabilimenti balneari
A soli pochi giorni dall’operazione “Tam Tam” che ha portato alla luce un giro di estorsioni ai danni degli stabilimenti balneari della costa salentina, arriva un’ulteriore conferma: i clan della Sacra Corona Unita hanno allungato i loro tentacoli sul settore del turismo.
A dimostrarlo, una doppia inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce. Ben 43 le ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal GIP Alcide Maritati su richiesta della DDA.
Due indagini condotte rispettivamente dalla Squadra Mobile della Questura di Lecce e dai Carabinieri del ROS. La prima, denominata “Terre d’Acaia”, si è svolta tra l’aprile 2010 e il settembre 2011. La seconda, battezzata “Alta Marea”, è compresa tra il periodo dell’agosto 2012 e il maggio 2013. Le due inchieste sono state riunite in unico procedimento che ha dato il via all’operazione chiamata “Network” dal Procuratore Capo Cataldo Motta, perché, come sottolinea l’alto magistrato, quella che è stata smantellata è una vera e propria “rete criminale che controlla il territorio”.
Il blitz “Tam Tam” aveva interessato i lidi della fascia Jonico meridionale. Adesso, invece, al centro dell’indagine della Procura, ci sono le estorsioni imposte sulla fascia costiera Adriatica della Provincia di Lecce (Lecce, Vernole, Melendugno, Calimera, Lizzanello, Cavallino ed altri, con le rispettive marine).
Gli indagati sono, a vario titolo, accusati di “associazione mafiosa”, “associazione finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti”, “spaccio di sostanze stupefacenti”, “calunnia”, “favoreggiamento personale”, “rapina”, “estorsione”, “ricettazione”, “danneggiamento seguito da incendio”, “illecita concorrenza con minaccia e violenza”, “porto e detenzione illegale di armi”, tutti “aggravati dalle modalità e finalità mafiose”.
Per gli investigatori è stato fandamentale il contributo di due collaboratori di giustizia: Alessandro Verardi (gestito dal ROS) e Giuseppe Manna (gestito dalla Squadra Mobile).
Le indagini condotte dalla Squadra Mobile grazie anche all’uso di intercettazioni telefoniche ed ambientali hanno permesso di acquisire prove sull’attività dell’organizzazione mafiosa molto attiva nel traffico di sostanze stupefacenti provenienti soprattutto dalla Spagna. Organizzazione nata su input del capo storico della Sacra Corona Unita Salvatore Rizzo e guidata da Andrea Leo e Alessandro Verardi, entrambi a capo del clan denominato “Vernel”.
Le confessioni del Verardi hanno spianato la strada agli uomini del ROS che, avvalendosi anch’essi di intercettazioni telefoniche e ambientali e di acquisizioni di corrispondenza tra detenuti, sono riusciti a fare luce sulla struttura del clan mafioso e sulle sue attività criminali. Il gruppo, dopo il pentimento di Verardi, ha avuto come unico capo Andrea Leo. Nell’organizzazione ricopriva un ruolo importante la moglie di Andrea Leo che faceva da tramite tra il marito e gli affiliati che si trovavano all’esterno del carcere. È accusata di associazione mafiosa e traffico di stupefacenti.
Ma le indagini di Squadra Mobile e Ros hanno svelato l’esistenza di altre organizzazioni mafiose riconducibili alla Scu. Sono stati individuati altri tre clan mafiosi: quello con a capo Roberto Nisi, attivo a Lecce e dintorni, quello di Pasquale Briganti, detto Maurizio, operante soprattutto a Lecce e quello riconducibile alla famiglia di Bruno De Matteis attivo su Merine e paesi vicini.
Il clan dei “Vernel”, con la benedizione di Salvatore Rizzo, sin dal 2010, ha cercato di imporre la sua egemonia sul territorio. A cadere tra le grinfie di questo gruppo i lidi situati sul litorale tra Torre Specchia e San Foca. Ai gestori veniva chiesto il pagamento di un pizzo corrispondente al 25% dei ricavi. Ma non solo, a far gola all’organizzazione criminale era anche la gestione di altri servizi come la gestione dei parcheggi delle zone circostanti e l’imposizione dei servizi di vigilanza ai lidi della marina di Vernole.
Proprio Alessandro Verardi, nell’estate del 2011, aveva chiesto il pizzo agli stabilimenti balneari e ad altri esercizi commerciali come bar e gelaterie della costa Adriatica del Salento, soprattutto nelle marine di Vernole e Melendugno. Latitante in Spagna, Paese da cui gestiva il traffico di droga,Verardi aveva anche stretto accordi con il gruppo di Roberto Nisi.
Dalle indagini, infatti, emergono rapporti di collaborazione tra i sodalizi criminali finalizzati alla gestione delle sostanze stupefacenti e delle estorsioni. Settori, questi, ritenuti dagli inquirenti alla base dell’economia criminale della Sacra Corona Unita.
“Questi gruppi mafiosi hanno la caratteristica della fluidità, della capacità di modificarsi, della intercambiabilità. Nel momento in cui viene meno la logica del conflitto, capita di assistere al passaggio di personaggi da un gruppo all’altro – afferma il Procuratore Cataldo Motta -. I clan hanno capito che è meglio spartirsi il territorio e operare di comune accordo”. Quindi, il capo della Procura Leccese, punta il dito contro le vittime che non solo non hanno denunciato, ma hanno anche negato davanti all’evidenza: “Le vittime non hanno collaborato, hanno anche negato davanti all’evidenza, bisogna che si comprenda che significa essere vittima di estorsione”. “La Sacra Corona Unita era una struttura verticale e verticistica – continua Cataldo Motta – con responsabili delle singole aree che confluivano in una cassa comune che era unica. Adesso la Scu ha una struttura orizzontale, è composta da più gruppi che operano in autonomia. In alcuni casi in una situazione di conflittualità tra loro ma, in linea di massima, con una spartizione del territorio fatta di intesa”. Il Procuratore torna poi sul comportamento delle vittime: “In un paio di casi abbiamo avanzato l’accusa di favoreggiamento per il comportamento reticente. In un altro caso addirittura per proteggere i veri autori dell’estorsione, una persona ha accusato ingiustamente un’altra. A suo carico l’accusa è di calunnia. Siamo un passo più avanti rispetto al semplice favoreggiamento personale”. Infine, il richiamo: “È un problema di mentalità, di cultura. La prevenzione è fondamentale. Bisogna battersi per cambiare la mentalità di chi è disposto a pagare. Dovremmorileggere la Costituzione della nostra Repubblica all’interno della quale c’è tutto. C’è l’obbligo di denunciare e difendere la società civile e non la criminalità organizzata”.
Sulle stesse posizioni del Procuratore Motta, il Colonnello Paolo Vincenzoni a capo del ROS di Lecce: “Non posso che allinearmi alle considerazioni molto esplicative del Procuratore della Repubblica. C’è stata una forte infiltrazione dei clan della Scu nel settore turistico che è il più remunerativo, soprattutto nel periodo estivo. Ci sono richieste estorsive ammontanti al 25% dei guadagni non solo ai lidi ma anche agli esercizi commerciali sempre legati al settore turistico.Abbiamo anche riscontrato l’imposizione di una dazione di percentuale sui parcheggi e l’imposizione della vigilanza e della security durante le serate e le feste. Quindi, parliamo di una penetrazione abbastanza imponente nel tessuto imprenditoriale, da parte della Sacra Corona Unita”.“È stato inferto un duro colpo, non escludiamo che possano riprendersi, ma noi siamo sempre qua”,afferma soddisfatto e deciso il Comandante dei ROS.
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